Vestito a righe 

Quel giorno mi trovavo sul filobus di linea che dalla casa di un’amica di famiglia mi portava al mare. 
Ero sola; i miei genitori e mio fratello mi attendevano a Miramare, dove erano arrivati con la Vespa. 
Ero sola e mi sentivo grande e piccola insieme. Esclusa dal cerchio familiare, importante per l’autonomia guadagnata. 
Avevo circa tredici anni. 
Ricordo il vestito che indossavo: un tubino a righe verticali di vario colore. Forse era la prima volta che sentivo di indossare un abito da grande, da donna; un abito che evidenziava il mio corpo da adolescente. 
Con impaccio e ostentazione. 

Improvvisamente avverto una sensazione di calore su una gamba… e non capisco… Anche perché la sensazione va e viene. 
Poi… la mano! È il dorso di una mano che tocca la mia gamba. 
Penso sia dovuto alla vicinanza tra i viaggiatori: l’autobus è abbastanza pieno. 
Mi sposto. 
Adesso è la gamba di quest’uomo che si affianca alla mia. 
Comincio a provare fastidio e un disagio strano, di cui non capisco la causa. 
Mi sposto. 
La gamba mi segue. 
Adesso anche la mano… 
Sento che divento rossa… per l’imbarazzo 
Mi muovo di due passi in avanti e tiro un sospiro di sollievo. 
Poi, di nuovo la stessa sensazione. 
Non oso guardare il volto dell’uomo. 
La mano adesso ghermisce la gamba, la palpa e sale… 
Con il cuore che mi batte all’impazzata, piena di vergogna mi sposto ancora. 
Tutto il suo corpo si appoggia al mio. 
Arrabbiata e impotente. 
Inizia un inseguimento: mi sento una preda.  
Non so come “salvarmi”. 
Vorrei urlare, guardarlo in faccia, svergognarlo… ma sono io che mi vergogno. 
Il ricordo ora si confonde. 

Forse, improvvisamente, accanto a me si libera un posto a sedere e io mi sento salva. 
Forse sono saltata giù dall’autobus e ho preso il successivo… forse i miei mi hanno rimproverato per il ritardo… ma io non ho avuto il coraggio di spiegare il motivo, forse… mi sento colpevole per il mio corpo. 
Mi rimane la sensazione di un contatto viscido che mi ha impiastricciato, di un pastrano lurido che mi ha sporcato, di un volto untuoso e uno sguardo lascivo che, come una bava, si posa sul mio corpo. 

Mi tuffo nell’acqua salata del mare… per ripulirmi. 
Ma la traccia rimane… nella memoria. 

***

Articolo di Paola Malacarne

Psicologa clinica e di comunità, ex docente e coordinatrice di scuola dell’infanzia, attualmente sono Presidente della commissione Pari Opportunità del Comune di San Casciano e membro del direttivo di Tf. Coniugando ruoli e interessi (tanti!) e qualche competenza (pittura, cinema, teatro, questioni e parità di genere) conduco e realizzo percorsi formativi, progetti, eventi… mentre cammino e penso alle Donne che fanno libere le strade da percorrere.

Un commento

  1. “mi sento colpevole per il mio corpo”.

    Esperienza che ha segnato l’adolescenza di tutte. Ancora così?

    La mia è ancora, davvero, una domanda. Che si angoscia per la possibile, probabile risposta.

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