Le statue giuste

L’ultima battaglia civile di Tomaso Montanari, storico dell’arte, saggista, rettore dell’Università per stranieri di Siena, prende a bersaglio i monumenti che negli spazi pubblici ricordano figure storiche controverse. Le statue giuste, edito da Laterza, nel 2024, si inserisce nel dibattito sui segni del passato nelle nostre città, negli ambienti pubblici, che negli ultimi tempi si è acceso tra storici, giornalisti, esponenti dell’associazionismo, e le amministrazioni locali. Una figura che si innalza di pietra, di marmo o di bronzo, al centro di una piazza viene indicata come modello di virtù, alla pari delle figure titolari di strade, e servono come esempi da seguire, quindi non è un discorso che riguarda il passato, piuttosto il futuro. Eppure targhe, statue pubbliche trasmettono per la gran maggioranza la memoria di famiglie regnanti o dell’universo ecclesiastico, celebrano l’idea di chi domina, «dei maschi, dei bianchi, degli occidentali, dei cristiani, della cultura classica», omaggiano gli anni del fascismo e del colonialismo, poche ricordano invece figure della nostra stagione democratica e costituzionale.
Il saggio prende le mosse dal caso di Edward Colston, la cui statua il 7 giugno 2020 fu buttata giù a Bristol da cittadini che protestavano contro l’uccisione da parte della polizia di George Floyd. Colston era un uomo d’affari di Bristol vissuto tra ‘600 e ‘700, responsabile della riduzione in schiavitù di circa 80.000 africani e della morte di altri 20.000 sulle navi negriere. Eppure veniva presentato come uno dei figli più virtuosi della città. Nonostante tante petizioni e richieste di risemantizzazione del monumento, il governo della città era rimasto sordo.
Ma il caso più clamoroso di sperequazione nell’apparato urbano della memoria riguarda le donne. Montanari lo chiarisce col sostegno di numeri, che sono gli stessi a cui è arrivata Toponomastica femminile con le sue indagini: su cento strade intitolate a uomini, appena otto sono intitolate a donne; quasi il 4% se si fa la percentuale sul totale delle strade, e la maggioranza appartiene alla sfera religiosa, Madonne, sante, benefattrici. Stessa cancellazione della memoria femminile anche nei monumenti presenti nelle nostre città: pochissime le statue che ricordano figure femminili, donne reali, figure che potrebbero essere di forte ispirazione per le giovani generazioni. A Roma dei 311 busti (229 al Pincio e 82 al Gianicolo) le donne ritenute meritevoli sono soltanto quattro. A Milano delle 121 statue in città, tutte fino a qualche anno fa rappresentavano uomini. Solo nel settembre 2021 è stata svelata una statua dedicata a Cristina Trivulzio di Belgioioso, eroina del Risorgimento, e nel 2022 un’altra all’astrofisica Margherita Hack. Ad oggi lo spazio pubblico risulta androcentrico, anche per l’enorme sproporzione tra autori e autrici dei monumenti femminili censiti: il 90% è a firma maschile.
Ancora presente negli spazi pubblici è l’esaltazione del fascismo, come, ricorda Montanari, l’enorme pittura murale, opera di Mario Sironi, nell’Aula Magna dell’Università della Sapienza a Roma, dove compare il duce stesso a cavallo con la sciabola sguainata; anche sul soffitto dell’Aula Magna dell’università di Siena un’iscrizione celebra l’Italia fascista e coloniale. E gli esempi continuano col mausoleo eretto ad Affile, nel 2012, dall’amministrazione comunale al suo concittadino, Rodolfo Graziani, nonostante sia stato dichiarato criminale di guerra per la sua collaborazione coi nazisti e la spietatezza nelle colonie. E a Roma il Colosseo quadrato, che reca un’iscrizione inneggiante all’invasione dell’Etiopia da parte di Mussolini, è considerato monumento di interesse culturale. Anche il culto americano di Colombo, col diluvio di statue in suo onore, celebra la colonizzazione europea dei popoli indigeni, quando andrebbe celebrata invece la loro sopravvivenza. Nonostante la nostra costituzione non ammetta alcuna condivisione col fascismo e le atrocità di cui è stato responsabile, non c’è stata una completa defascistizzazione della sua eredità monumentale. Anzi Montanari nota che non si tratta solo di survival, piuttosto di revival. Basti pensare al Museo che a Ponti sul Mincio dal 1960 conserva i cimeli della campagna in Africa. E alla Stele di Axum, che il regime fascista depredò e portò a Roma nel 1937, e solo nel 2005 è stata restituita all’Etiopia: il vuoto che ha lasciato, Montanari lamenta, avrebbe dovuto essere colmato almeno da un monumento alle vittime del colonialismo, invece che, come è successo, da un monumento alle vittime dell’attentato del 2001 alle torri Gemelle. E che dire della statua che a Milano è stata innalzata a Indro Montanelli nel 2006, giudicato il più importante giornalista italiano del Novecento, nonostante la sua completa ed entusiasta adesione all’esperienza coloniale? 
Il sistema politico rimane sordo, anzi addirittura insorge anche contro i giovani militanti di Ultima Generazione che fanno azioni dimostrative nei musei per denunciare l’ecatombe ambientale. Chi imbratta non merita di essere ascoltato: questa è la posizione di governanti, ma anche di illustri giornalisti. Eppure la loro protesta non fa danni, e sia la Gioconda, come il Laocoonte o la Cappella degli Scrovegni o i Girasoli di Van Gogh, bersaglio delle loro manifestazioni, sono rimasti illesi.
Alla fine Montanari propone delle possibili soluzioni per vivere in un paese che celebra i valori della Costituzione e non quelli del colonialismo razzista: risemantizzazione in loco dei monumenti, oppure la loro musealizzazione e rimozione dallo spazio pubblico. Non la distruzione quindi, la cancellazione, né il silenzio della complicità, ma una nuova interpretazione, una loro risignificazione, da affidare a storici che ne accompagnino l’esposizione con commenti adeguati. Oppure nel loro trasferimento dallo spazio pubblico a uno spazio museale «in cui la loro intera storia venga narrata nel modo più oggettivo, largo e inclusivo». Per esempio, la vera risposta agli attivisti che usano i musei per la loro denuncia potrebbe essere quella di dedicare manifestazioni a mostrare gli effetti del collasso climatico, o spazio agli artisti in conflitto con la società attuale, o anche quella di evitare il più possibile gli spostamenti delle opere d’arte per ridurre le emissioni inquinanti. E restituire il patrimonio culturale, bottino coloniale, ai loro paesi di appartenenza, per riparare, educare. La celeberrima statua di Apollo e Dafne nella Galleria Borghese, capolavoro del Bernini, alla fine raffigura uno stupro, che andrebbe evidenziato per esempio con istallazioni di artiste che diano voce alle donne e stimolino una riflessione esplicita sulla violenza contro le donne. L’indignazione di Montanari non va considerata quindi come sostegno alla cancel culture, ma da quella scaturisce l’esigenza di trovare una terza via tra distruzione e adesione acritica.

Tomaso Montanari
Le statue giuste
Laterza, Bari, 2024
pp. 152

***

Articolo di Livia Capasso

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile. Ha scritto Le maestre dell’arte, pubblicato da Nemapress nel 2021, una storia dell’arte tutta al femminile, dalla preistoria ai nostri giorni.

Lascia un commento