I corpi delle donne. Estensione del campo di battaglia

Non è un segreto che in tempi di guerra le donne siano quelle che subiscono le conseguenze più gravi. Le violenze nei loro confronti sono perpetrate così sistematicamente che ormai sono accettate con rassegnata indifferenza, considerate come fenomeni “normali” durante una guerra. Il problema è che chi assiste all’ennesima circostanza che, per quanto drammatica, si ripete sempre uguale nel tempo, rimane “anestetizzato” e non prova più alcun sentimento. Infatti, quando una situazione è data per scontata, l’essere umano, non più commosso, smette di “con-partecipare” emotivamente con la persona che soffre, quindi cessa di provare pietà. Per questa ragione non molte persone si fermano a pensare agli atti di crudeltà che le donne subiscono in contesti di guerra.
Tali brutalità diventano dunque un simbolo di prevaricazione: lo stupro nei confronti delle donne, considerate proprietà del proprio nemico, diventa spregio verso gli uomini a cui appartengono. D’altronde che le donne vengano trattate al pari di un oggetto non è una novità. Infatti, già nell’Iliade, poema datato al 750 a.C., è centrale per la trama il “bottino di guerra”, ovvero le donne che, sottratte al nemico, vengono rese schiave, quindi ritenute oggetti conquistati in seguito a una vittoria, diritto dell’eroe che ha sopraffatto l’avversario. Lo stupro come arma di guerra ha continuato a essere usato nei secoli. Per approfondire l’argomento, si può leggere su Vitamine vaganti l’articolo Stupri di guerra, ancora. Prevedibilmente l’attuale conflitto a Gaza non fa eccezione e sia le donne palestinesi che quelle israeliane hanno subito abusi sessuali. Tuttavia, gli stupri non sono le uniche conseguenze. Nella striscia di Gaza più di 10.000 donne sono state uccise; inoltre, le palestinesi sono state costrette a vivere in condizioni disumane, prive di accesso a cibo, medicine, assorbenti e altri beni di prima necessità. In effetti, donne e bambini/e palestinesi sono coloro che maggiormente stanno sopportando il peso della guerra, sia in termini di perdite umane che di accesso limitato ai servizi sanitari. Ad esempio, si contano circa 50.000 donne incinte, le quali non possono contare sulle cure mediche necessarie.
La violenza di genere a Gaza rappresenta solo l’ultimo eclatante esempio di ciò che accade regolarmente durante una guerra. Quando un Paese è colpito da una crisi umanitaria, sia essa dovuta a un conflitto o a un disastro naturale, la disparità di genere viene inevitabilmente esacerbata, e le donne subiscono sistematicamente le conseguenze peggiori. Un caso significativo è rappresentato dai dati sulla frequenza scolastica nei Paesi in conflitto. Secondo il Global Humanitarian Overview del 2019, le bambine hanno più di due volte la probabilità di non frequentare la scuola rispetto ai bambini. Alla scuola secondaria, la situazione è ancora più drammatica: il 90% delle ragazze che vivono in Paesi in conflitto non frequenta la scuola rispetto alle coetanee dei Paesi in pace. Una delle ragioni principali è la paura di subire delle violenze nel momento in cui frequentano l’ambiente scolastico: in Nigeria, nell’aprile del 2014, furono rapite duecento studenti.
Per quanto riguarda la violenza sessuale, il rapporto dell’Onu stima che almeno una profuga su cinque ne sia vittima, subendo gravi conseguenze che includono il peggioramento della salute fisica e psicologica, lo stigma sociale, la povertà, le malattie sessualmente trasmissibili e le gravidanze indesiderate. Le donne, infatti, sono spesso viste come coloro che custodiscono e rappresentano l’identità etnica che i nemici cercano di annientare. Di conseguenza, lo stupro diventa un’arma di guerra e il corpo femminile un’estensione del campo di battaglia. Emblematico è l’esempio dei 700.000 rifugiati e rifugiate Rohingya nel 2017, le cui donne sono state vittime di quella che è stata definita una “frenesia” di violenza sessuale da parte delle forze armate del Myanmar. Tuttavia, definire questa atrocità come una “frenesia” è fuorviante in quanto non si tratta di uomini colpiti da una improvvisa follia e che quindi si sono comportati senza essere in grado di intendere e volere, bensì di uomini che hanno agito con piena consapevolezza, utilizzando lo stupro come un metodo deliberato di sopraffazione e annientamento. Alcune madri hanno testimoniato come le loro figlie fossero state stuprate e poi lasciate morire nelle case incendiate dai soldati; altre hanno raccontato come alcune fossero state legate e stuprate da più uomini fino a essere uccise.
La violenza sessuale in tempo di guerra non può essere ridotta all’azione di qualche soldato aggressivo e corrotto. Si tratta invece di una vera e propria tattica di guerra che raggiunge livelli di crudeltà impensabili nei confronti di donne di tutte le età, dalle neonate alle anziane.
Spesso i costi e le conseguenze di tali atrocità durano per generazioni.
Nonostante l’efferatezza di simili atti e nonostante lo stupro di guerra sia riconosciuto
come un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità, come riportato da UN Women, questi delitti restano per lo più impuniti e sistematicamente ignorati durante
i negoziati di pace.

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Articolo di Elena De Giacomo

Laureata in Politics, Philosophy and Economics presso l’università Luiss Guido Carli, sono appassionata di filosofia politica, sociologia e politica europea. Amo la ricerca ed esplorare nuove idee attraverso la scrittura. Mi piace immergermi nella lettura di romanzi, analizzare il significato dei film e dei testi delle canzoni, viaggiare e trascorrere il tempo all’aria aperta con la mia cagnolina.

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