Iniziamo ad affrontare il penultimo capitolo del report Interwoven lives, threads of hope: “sono le donne a comporre la trama”. In questa nuova sezione, oltre ai diversi studi e ricerche, protagoniste sono le problematiche vissute dalle donne nella loro complessità, e nella loro vastità. Infatti, come leggiamo nel testo «in un mondo ideale, l’avanzamento dei diritti riproduttivi delle donne sarebbe motivato dai principi di giustizia umana e sociale» ma questo obiettivo è continuamente disatteso e il progresso è relegato a determinate volontà politiche che orientano il suo avanzamento. La Conferenza Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo (Icpd) del 1994, dopotutto, ha dimostrato come una piena e costante crescita della legislazione e delle possibilità collegate della salute riproduttiva e materna possa essere un importante boost economico e sociale, a livello individuale quanto collettivo. Non va dimenticato, però, che c’è una stretta correlazione con gli investimenti e con i fondi destinati a tali cause: i programmi coprono una vasta gamma di questioni, come la contraccezione, l’aborto sicuro, la prevenzione, il trattamento delle malattie sessualmente trasmissibili e la violenza di genere, rendendo più complicata la pianificazione totale. Una delle difficoltà principali è la seguente: gli incentivi in una specifica area possono portare a risparmi in altre, ma esiste una relazione bidirezionale tra i programmi di salute riproduttiva che promuovono l’emancipazione economica delle donne e, a sua volta, l’empowerment economico che può aumentare l’utilizzo di tali servizi.
Tenere traccia dell’investimento complessivo della sanità e dei diritti sessuali e riproduttivi è complesso, poiché non esiste un’analisi globale delle spese. I bilanci mostrano che, tra il 1990 e il 1999, i contributi globali annuali sono rimasti sotto i 2 miliardi di dollari, ma sono aumentati con gli Obiettivi di Sviluppo, raggiungendo 12,3 miliardi nel 2011; in seguito, i contributi sono oscillati tra 9 e 13 miliardi di dollari all’anno, con una crescente parte destinata alla salute sessuale e riproduttiva. E non solo: nel 2022, l’Unfpa ha stimato che investire 79 miliardi di dollari per migliorare la pianificazione familiare e il benessere materno potrebbe generare 660 miliardi di dollari in profitti, prevenendo milioni di gravidanze non volute e morti materne entro il 2050. Mentre l’Istituto Guttmacher (una Ong che si occupa di ricerca in materia) ha mostrato che fornire queste possibilità costerebbe sì 68,8 miliardi di dollari all’anno ma ridurrebbe più del 60% delle gravidanze non intenzionali, degli aborti non sicuri e dei decessi neonatali; l’Ong evidenzia anche che «i benefici a breve termine degli investimenti nella cura contraccettiva coprirebbero ampiamente tali costi».
Sebbene le metodologie varino fra i diversi enti, i risultati sono concordi: l’impiego di somme in salute sessuale e riproduttiva offrono enorme giovamento economico per tutta la popolazione, con ritorni di interesse in diversi settori. Seppur queste stime appaiano variabili, a causa della difficoltà di classificare un così grande campione di dati e di situazioni differenti, si può cogliere un’altra sfida: tenere traccia in maniera adeguata dei diversi contesti sociali e dei numeri per ciascun paese e per ciascuna contingenza, permetterebbe di arricchire le statistiche a riguardo, fornendo un quadro più completo. Come esito si otterrebbe un impatto molto più influente sotto forma di sviluppo del capitale umano, raggiungendo comunità che finora non hanno beneficiato del progresso globale.
È significativa la storia raccontata dal dott. Adel Botros che riporta l’episodio in cui un padre rifiutò di far curare il figlio affetto da sifilide congenita a causa della vergogna legata alla malattia.
Infatti, la sifilide e altre infezioni sessualmente trasmissibili (Ist) sono spesso soggette a stigma sociale (che ostacola il trattamento e perpetua la diffusione di queste condizioni avverse) storicamente usato per dividere comunità e rafforzare gerarchie sociali. Spesso tali malattie venivano chiamate con nomi che le attribuivano a gruppi considerati “nemici” e, nel contesto coloniale, la popolazione araba era vista come particolarmente vulnerabile alla sifilide, un espediente utilizzato per sminuire questo gruppo.
Nonostante i progressi medici, questa infezione è in aumento a livello globale, con un incremento dei casi da 8,8 a 14 milioni tra il 1990 e il 2019 ma, in alcune regioni come il Nord Africa e il Medio Oriente, è stato registrato un calo, sfidando gli stereotipi precostituiti: fra questi c’è il Marocco, che ha visto diminuire drasticamente l’incidenza della sifilide congenita.
Lo stigma legato alle Ist continua anche oggi, dove preconcetti razzisti e omofobici hanno alimentato intolleranza e discriminazione: la comunità scientifica sottolinea l’importanza di coinvolgere e non demonizzare le comunità colpite per affrontare efficacemente tali patologie, permettendo un accesso indiscriminato e consapevole ai trattamenti sanitari.
Questa infezione rappresenta, difatti, non solo una sfida sanitaria, ma anche una questione di giustizia sociale, dove il superamento dei pregiudizi è essenziale per garantire cure e prevenzione efficaci.
Come possiamo, però, realizzare questi obiettivi? Tre elementi risultano cruciali: l’autonomia riproduttiva (misurata dall’uso della contraccezione), la prevenzione della violenza di genere e l’educazione sessuale approfondita, tutte componenti che contribuiscono a migliorare l’uguaglianza di genere e a rafforzare i diritti sessuali e riproduttivi.
Il concetto di autonomia riproduttiva è fondamentale ma ancora poco definito: gli indicatori degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dimostrano che solo 115 paesi forniscono informazioni al riguardo.
Un modo per valutare questo indice è analizzare l’uso dei contraccettivi tra le donne che desiderano evitare gravidanze: si è calcolato che circa la metà delle gestazioni nei paesi a basso e medio reddito sia indesiderata, con un’alta percentuale di donne in età riproduttiva che non utilizzano metodi moderni di contraccezione, nonostante la loro volontà. Esistono disparità significative sia tra che all’interno dei paesi: le adolescenti mostrano i tassi più elevati di bisogno non soddisfatto nel reperimento di tali farmaci, mentre le donne provenienti da famiglie più ricche e con maggiore istruzione tendono a avere meno difficoltà nell’accesso. Il Consorzio per l’Impatto della Pianificazione Familiare ha esaminato il valore degli investimenti nella pianificazione familiare, evidenziando che il controllo sulla fertilità consente alle donne di prendere decisioni riguardanti il momento e il numero dei figli, contribuendo a un maggiore livello di istruzione e a una gamma più ampia di scelte professionali. Questo tipo di progettazione favorisce la progressione nella carriera e offre vantaggi, come ad esempio un miglior accesso alle cure sanitarie e una maggiore consapevolezza dei propri diritti. Le aspettative di controllo sulla fertilità influenzano anche le scelte professionali, con un significativo impatto sui guadagni: esiste una relazione reciproca tra istruzione e contraccezione, in quanto carriere scolastiche più avanzate aumentano l’accesso ai servizi contraccettivi. In più, ciò genera un circolo virtuoso di emancipazione, portando benefici anche alle generazioni future in quanto le donne lavoratrici tendono a trasmettere questa visione di vita alle loro figlie, aprendo la strada a maggiori opportunità: fra queste, il completamento degli studi prima del matrimonio che ha un impatto positivo sull’empowerment personale, finanziario e sociale.
L’autonomia riproduttiva ha un’influenza significativa sull’economia nazionale: secondo uno studio promosso dal Consorzio, se il bisogno disatteso di contraccezione moderna fosse appagato in paesi come Kenya, Nigeria e Senegal, il reddito pro-capite potrebbe aumentare dal 31 al 65% entro il 2030; in particolare, in Kenya, assecondare due terzi di questa esigenza potrebbe portare a un incremento del Pil pro-capite del 51% entro il 2050.
Sebbene molte ricerche evidenzino i benefici del controllo della fertilità, nessun metodo contraccettivo è infallibile, ed è appurato che sei gravidanze non pianificate su dieci finiscano in aborto, mentre le interruzioni non sicure comportano un’alta percentuale di morti materne e malattie diffuse (alcune stime indicano che tra il 5 e il 13% dei decessi neonatali sono attribuibili a tali situazioni).
Le spese annuali per questi trattamenti medici nei paesi a basso e medio reddito sono di circa 2,8 miliardi di dollari, ma se tutte le pratiche non idonee fossero effettuate in modo sicuro, questi costi potrebbero ridursi a 600 milioni di dollari.
(continua)
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Articolo di Nicole Maria Rana

Nata in Puglia nel 2001, studente alla facoltà di Lettere e Filosofia all’Università La Sapienza di Roma. Appassionata di arte e cinema, le piace scoprire nuovi territori e viaggiare, fotografando ciò che la circonda. Crede sia importante far sentire la propria voce e lottare per ciò che si ha a cuore.
