Costituzione letteraria. Art. 11

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

La nostra Costituzione è una legge pacifista. L’art. 11 oggi grida vendetta a causa delle politiche di riarmo in costante e spaventosa crescita in Europa, quell’Europa nata da un sogno di pace, concordia e armonia tra popoli uscenti dagli orrori della Seconda guerra mondiale. Il verbo scelto dalla Costituente è ripudia, un verbo forte, deciso, che non dà adito a interpretazioni fuorvianti: l’unica guerra ammessa dalla Costituzione è quella difensiva (nel combinato disposto con l’art. 52 (La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino).
Nel commento alla Costituzione a cura della Fondazione Roberto Franceschi leggiamo: «Ci si chiede quindi se il sostegno a Stati in guerra, anche mediante la fornitura di armi, la repressione di gruppi terroristici, l’applicazione di sanzioni economiche siano compatibili con il ripudio della guerra.
La risposta a questa domanda non può che dipendere dalla stretta correlazione fra le varie parti dell’articolo: il ripudio della guerra, in negativo, si accompagna infatti alla promozione, in positivo, di un sistema di relazioni che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; per sciogliere eventuali dubbi sulla compatibilità di un’iniziativa con la lettera e lo spirito della norma, occorre dunque chiedersi se questa aumenti o riduca la conflittualità internazionale e se favorisca o meno la “giustizia”, ossia quel contemperamento dei diversi interessi tra le parti che non può realizzarsi se non attraverso il reciproco riconoscimento e la comprensione delle rispettive ragioni ed esigenze».
Abbiamo smesso di porci questa domanda, o forse meglio sarebbe dire che i nostri governi hanno smesso di chiedersi se la strada del sostegno armato agli Stati attualmente in guerra aumenti o riduca la conflittualità internazionale e favorisca o meno la giustizia, perché è questo il tema. Noi cittadine e cittadini ne siamo convinti: la risposta è no alla guerra, no al riarmo, e lo confermano le statistiche e i movimenti pacifisti che scendono nelle piazze di tutto il mondo ma non vengono ascoltati quando non ostacolati («Nove italiani su dieci sono in disaccordo con le politiche “interventiste” e la partecipazione alle missioni militari e Nato: 87% contro 13%», da https://www.avvenire.it/attualita/pagine/i-cittadiniin-camp-768bda8d3fc749a0b61cda09e553b97b; «Il 63 per cento degli italiani si dice infatti contrario ad aumentare le spese militari ma il 32 per cento non sa o non risponde e quindi solo il 9 per cento si dichiara a favore di maggiori investimenti nella Difesa», (da https://www.analisidifesa.it/2024/07/sondaggio-ecfr-solo-il-9-per-cento-degli-italiani-approva-maggiori-spese-militari/).

Guerra a Gaza

Emergency ci ricorda: «Oggi, in Italia e in Europa, i governi si riarmano. E dicono che la pace è un lusso. A noi sembra che il lusso sia quello dell’industria bellica: nell’ultimo anno la spesa militare globale è cresciuta del 27%. Oltre 2.400 miliardi di dollari. E nel 2024 l’Italia ha destinato 29 miliardi di euro per il sistema di difesa più altri 25 per il riarmo, 13 dei quali per carri armati e missili. Soldi che non curano, non insegnano, non salvano. Non possiamo dimenticare che il 90% dei morti e dei feriti in guerra sono civili. Che la spesa per un F-35 vale quanto 3.244 posti letto di terapia intensiva. Ancora una volta, la nostra storia ci dice di non tacere. Di impegnarci per abolire la guerra, di non perdere mai di vista le vittime, di non sentire ragioni quando si tratta di curarle» (da https://www.ripudia.it/).
Chissà cosa direbbe oggi la voce decisa e netta di Gino Strada di fronte alle vittime della guerra in Palestina, in Ucraina, di fronte alle vittime di tutte le guerre. Forse userebbe l’espressione forte e incisiva della campagna di Rete italiana pace e disarmo, ovvero che la spesa per le armi e per la guerra è un “furto di futuro”: «L’iniziativa promossa da Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della pace, Greenpeace Italia, Rete italiana pace e disarmo e Sbilanciamoci! intende rimettere al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica italiana le spropositate spese per strutture militari e armamenti nel nostro Paese. Vogliamo svelare alle cittadine e ai cittadini italiani — con analisi e strumenti informativi — le cifre enormi di questo “furto di futuro”, con i suoi impatti negativi ed evidenziando quanto, con questi soldi, si potrebbe realizzare in termini di spesa sociale, di pace e di sviluppo del Paese» (da https://retepacedisarmo.org/spese-militari/2024/ferma-il-riarmo-lanciata-la-nuova-mobilitazione-contro-le-spese-militari/).

In un’epoca in cui la comunicazione è totalmente asservita al potere, i governi spendono ingenti somme per le fabbriche della morte, Italia inclusa: «Nel quasi totale silenzio dei media mainstream, l’Italia si sta armando come non aveva mai fatto prima. Non è una metafora, né un’esagerazione: è la fredda realtà che emerge dall’analisi della Legge di Bilancio condotta dall’Osservatorio Milex sulle spese militari italiane.
Per la prima volta nella storia della Repubblica il budget militare supera i 30 miliardi di euro, attestandosi a 32 miliardi per il 2025. Di questi, ben 13 miliardi saranno destinati all’acquisto di nuovi armamenti, segnando un’escalation che supera in percentuale di crescita qualsiasi altra voce di spesa pubblica». Tutto questo in un Paese occidentale, fondatore dell’Europa, membro del G7, in cui la povertà cresce e fa numeri preoccupanti: «In Italia cresce sempre di più il tasso che fa più male: quello della povertà. È senza dubbio il dato più doloroso contenuto nell’ultimo Rapporto dell’Istat. Secondo l’istituto di statistica l’incidenza della povertà assoluta è al 9,8% tra gli individui e all’8,5% tra le famiglie: i livelli più alti degli ultimi dieci anni. E i numeri assoluti sono ancora più impressionanti: parliamo, infatti, di un totale di 2 milioni 235 mila famiglie e di 5 milioni 752 mila individui» (da https://www.collettiva.it/copertine/italia/in-italia-il-record-piu-triste-quello-della-poverta-gcgfki56).
Oggi i pacifisti sono sotto attacco: ‘pacifinti’, ‘filoputiniani’, ‘filonazisti’, ‘filoHamas’, ‘antisemiti’. Come se le persone ragionassero tutte secondo la logica del pro/contro, del ‘se non sei con me, sei contro di me’, del bianco o nero. Ma chi chiede la pace non è a favore dell’aggressore, è a favore della vita, della diplomazia, del diritto internazionale, è a favore della voce del dialogo, non delle bombe, è a favore dell’art. 11 della nostra Costituzione.

Campagna Ferma il riarmo

Per questa nona tappa del nostro viaggio di interconnessione tra il dettato costituzionale e la letteratura, il libro che mi ritorna alla memoria non è uno solo, ma tanti. Allora tesso i fili che riaffiorano come citazioni nella mia mente per costruire la mia tela della pace.
«La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire» (Albert Einstein).
«Non c’è bene che paghi la lagrima pianta invano, il lamento del ferito che è rimasto solo, il dolore del tormentato di cui nessuno ha avuta notizia, il sangue e lo strazio umano che non ha servito a niente» (Renato Serra).
«Di queste case / non è rimasto / che qualche / brandello di muro… È il mio cuore / il paese più straziato… Come questa pietra / è il mio pianto / che non si vede… Non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita (Giuseppe Ungaretti).
«In fondo i soli veramente ragionevoli erano i poveri, i semplici, che stimarono subito la guerra una disgrazia, mentre i benestanti non si tenevano dalla gioia, quantunque proprio essi avrebbero potuto rendersi conto delle conseguenze… Soltanto l’ospedale mostra che cos’è la guerra… Io vedo dei popoli spinti l’uno contro l’altro, e che senza una parola, inconsciamente, stupidamente, in una incolpevole obbedienza si uccidono a vicenda» (Erich Maria Remarque).
«Uomo del mio tempo, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, / senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, / come sempre, come uccisero i padri, come uccisero / gli animali che ti videro per la prima volta» (Salvatore Quasimodo).
«Un senso di raccapriccio mi invade e cerco di guardare altrove. Ma lì è come una calamita e il mio sguardo vi ritorna… Su ogni carro vi sono dei soldati russi con armi automatiche in pugno. È la prima volta che ne vedo in combattimento così da vicino. Sono giovani e non hanno la faccia cattiva, ma solo seria e pallida, e compunta, guardinga… E tanti e tanti altri dormono nei campi di grano e di papaveri e tra le erbe fiorite della steppa… E quei pochi che siamo rimasti dove siamo ora?» (Mario Rigoni Stern).
«Senza neanche togliersi la cintura della divisa, incurante che costei fosse una vecchia, si buttò sopra di lei, rovesciandola su quel divano-letto arruffato, e la violentò con tanta rabbia, come se volesse assassinarla. La sentiva dibattersi orribilmente, ma, inconsapevole della sua malattia, credeva che lei gli lottasse contro, e tanto più ci s’accaniva per questo, proprio alla maniera della soldataglia ubriaca» (Elsa Morante).
«Questo luogo non è più un luogo, questo paesaggio non è più un paesaggio. Non c’è più un filo d’erba, non una spiga, un arbusto, una siepe di fichi d’India… tutto è bruciato… asini morti, gonfi d’aria come palloni. Grappoli di proiettili come sterco di capra. Ossa scarnificate che affiorano dal terriccio» (Melania Mazzucco).
«Ho scelto di essere libera. Libera da questa guerra, che altri hanno deciso per me. Libera dalla gabbia di un confine, che non ho tracciato io. Libera da un odio che non mi appartiene e dalla palude del sospetto. Quando tutto attorno a me era morte, io ho scelto la speranza» (Ilaria Tuti).
«Per quanto tempo dovranno volare le palle di cannone prima che vengano bandite per sempre? la risposta, amico mio, se ne va nel vento… The answer, my friend, is blowin’ in the wind» (Bob Dylan).
«Io dico sì, dico si può saper convivere è dura già, lo so. Ma per questo il compromesso è la strada del mio crescere. E dico sì al dialogo perché la pace è l’unica vittoria, l’unico gesto in ogni senso che dà un peso al nostro vivere» (Piero Pelù-Ligabue-Jovanotti).
«Il fatto che la guerra abbia segnato il nostro passato non significa che debba essere parte anche del nostro futuro. Come le malattie, anche la guerra deve essere considerata un problema da risolvere e non un destino da abbracciare o apprezzare» (Gino Strada).
«Con la guerra siamo tutti sconfitti! Anche coloro che non vi hanno preso parte e che, nell’indifferenza vigliacca, sono rimasti a guardare questo orrore senza intervenire per portare la pace. Tutti noi, in qualsiasi ruolo, abbiamo il dovere di essere uomini di pace. Nessuno escluso! Nessuno è legittimato a guardare da un’altra parte» (Papa Francesco).
«Non c’è via per la pace, la pace è la via» (Thich Nhat Hanh).
«Ci sono cose da non fare mai, / né di giorno né di notte, / né per mare né per terra: / per esempio, la guerra» (Gianni Rodari).

Premio Nobel per la pace 2024

Pillola di bellezza ri-costituente
Il Premio Nobel della Pace 2024 è stato assegnato all’organizzazione giapponese Nihon Hidankyo premiata dal Comitato «per gli sforzi per raggiungere un mondo libero da armi nucleari e per dimostrare attraverso testimonianze dirette che le armi nucleari non devono mai più essere usate». La Confederazione giapponese delle organizzazioni di vittime delle bombe A e H riunisce i sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki del 1945, noti come Hibakusha: come afferma il Comitato Nobel nel suo comunicato ufficiale, «gli Hibakusha ci aiutano a descrivere l’indescrivibile, a pensare l’impensabile e a comprendere in qualche modo il dolore e la sofferenza incomprensibili causati dalle armi nucleari». Questa organizzazione pacifista ci invita a rafforzare il principio di ripudio della guerra e della corsa al riarmo, con un impegno civico di opposizione alla logica della morte che riguarda tutti noi, che abbiamo la facoltà di animare le piazze, di dissentire sui social, di educare i nostri figli e figlie, di votare contro i fabbricanti di morte.

Non sono state le armi nucleari a fare da deterrente all’uso di quelle stesse armi in questi decenni. È stato ciò che abbiamo fatto noi a fare da deterrente.
(Masako Wada, sopravvissuto di Nagasaki)

In copertina: guerra in Ucraina.

***

Articolo di Valeria Pilone

Già collaboratrice della cattedra di Letteratura italiana e lettrice madrelingua per gli e le studenti Erasmus presso l’università di Foggia, è docente di Lettere al liceo Benini di Melegnano. È appassionata lettrice e studiosa di Dante e del Novecento e nella sua scuola si dedica all’approfondimento della parità di genere, dell’antimafia e della Costituzione.

Lascia un commento