Caravaggio in mostra a Roma

L’attesissima mostra dedicata a Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio, è arrivata a Roma, a Palazzo Barberini, che, in occasione del Giubileo 2025, ospita ventiquattro opere autografe del maestro lombardo più un dipinto a parete, esposto al Casino dell’Aurora a Villa Ludovisi, opere difficilmente visibili e nuove scoperte. Vi starete chiedendo come mai mi interesso a un artista di genere maschile, dal momento che vi ho sempre introdotto alla conoscenza di grandi artiste donne, spesso poco conosciute. La risposta è semplice: ovviamente ci sono grandi artisti anche nel genere maschile e Caravaggio è uno dei miei artisti preferiti, insieme a Giotto, Michelangelo, Picasso; mi piace perché, come un regista teatrale, mette in scena figure in pose drammatiche ed espressioni intense e fa un uso spettacolare della luce e dell’ombra. E poi la sua rappresentazione del femminile, tenendo sempre conto che si tratta di un artista vissuto tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, non è stereotipata, ma ha una forza che non vedo in altri artisti, anche più moderni. Caravaggio ritraeva donne non come oggetto di desiderio, ma con una umanità e una espressività che sfidano la visione tradizionale del tempo; le sue sono donne coraggiose, eroine, sono autentiche, vere, anche perché l’artista utilizzava modelli reali. Certo non si può dire che fosse “femminista” nel senso moderno del termine, ma le sue donne sono sicure, consapevoli del proprio potere, sante o prostitute a distanza di secoli ci parlano delle loro emozioni, della loro intimità più autentica. Sono donne vere, nuove, potenti e complesse.

Le opere esposte nella mostra Caravaggio 2025 arrivano da tutta Italia, Napoli, Milano e Firenze, ma anche da Stati Uniti, Spagna e Irlanda, disposte in un percorso che è sia cronologico, sia trasversale, basato sulle sue tante fondamentali committenze. Curata da Francesca Cappelletti, Maria Cristina Terzaghi e Thomas Clement Salomon, direttore delle Gallerie Barberini Corsini, sarà aperta fino al 6 luglio 2025.
L’esposizione si sviluppa in quattro sezioni tematiche e copre un arco cronologico di circa quindici anni, dall’arrivo dell’artista a Roma intorno al 1595 fino alla sua morte a Porto Ercole nel 1610.

La prima sala – il Debutto romano

La prima sala racconta il Debutto romano, la sua vita di espedienti e i primi passi nella bottega del Cavalier d’Arpino, dal quale venne impiegato per dipingere fiori e frutti, esperienza che lascerà tracce importanti e profonde nella prima produzione caravaggesca. Poi l’incontro con il suo più prestigioso committente: Francesco Maria del Monte, e l’inizio di quella “pittura comica” che caratterizza la fase giovanile di Caravaggio. Sono osservazioni realistiche di situazioni quotidiane e personaggi spesso provenienti da ambienti popolari, figure che violano le norme morali o sociali, come ad esempio i bari, i ciarlatani. Il Narciso, dipinto tra il 1597 e il 1599, è conservato nella stessa Galleria Nazionale di Palazzo Barberini; il Ragazzo che monda un frutto, 1592-1593, è copia autografa della Collezione Longhi da un originale perduto. Non si capisce bene che frutto stia sbucciando il ragazzo, ma è probabile che abbia un significato allegorico.

Narciso (sin) – Ragazzo che monda un frutto (dex)

Fra gli altri capolavori della prima sala si ammirano I Musici, 1597, dal Met di New York e I Bari, datato 1594 -1595 e proveniente dal Kimbell Art Museum di Forth Worth (Texas, Stati Uniti).

I Bari e Musici

L’Autoritratto in veste di Bacco (o Bacchino malato), 1594, proveniente dalla Galleria Borghese, nel titolo fa riferimento al pallore del volto e al colorito bluastro delle labbra del soggetto. Secondo alcuni studiosi, sarebbe un autoritratto dello stesso Caravaggio, eseguito durante la sua convalescenza in seguito a una ferita causatagli dal calcio di un cavallo.

Un’altra opera giovanile è l’enigmatica Buona ventura realizzata tra il 1593 ed il 1594 e conservata nella Pinacoteca Capitolina di Roma.

Autoritratto in veste di Bacco (sin) – La Buona ventura (dex)

Primo esempio di opera sacra realizzata dall’artista a Roma è il San Francesco in estasi, 1594/95, conservato nel Wadsworth Atheneum museo di Hartford nel Connecticut, Stati Uniti.

San Francesco in estasi

È inoltre qui esposta la Conversione di Saulo, 1600/1601: non è ovviamente quella conservata nella cappella Cerasi della chiesa di Santa Maria del Popolo, ma la prima redazione che oggi fa parte della collezione Odescalchi, difficilmente visibile e uno dei pochi Caravaggio ancora in mano privata. Realizzato su una tavola di legno di cipresso di grandi dimensioni, ritrae il momento della conversione di Paolo, quello in cui gli appare, sulla via di Damasco, Gesù Cristo, che con una luce accecante lo fa sbalzare da cavallo.

Conversione di Saulo

La seconda sezione è intitolata Ingagliardire gli oscuri, in riferimento alle parole del biografo Pietro Bellori, secondo cui da un certo momento Caravaggio comincia a “ingagliardire gli scuri”, cioè rinforza gli scuri per estrarre la luce dall’oscurità.

La seconda sala Ingagliardire gli oscuri

Si ha l’occasione unica qui di vedere accostate per la prima volta due versioni del ritratto di Maffeo Barberini, futuro papa Urbano VIII, praticamente il padrone di casa. Entrambe le tele provengono da collezioni private.

Ma le protagoniste di questa sala sono tre donne, Caterina, Giuditta e Maria Maddalena, che hanno lo stesso volto. Caravaggio infatti utilizza la stessa fanciulla come modella, che è stata riconosciuta nella giovane cortigiana Fillide Melandroni, o nell’altra cortigiana romana Maddalena Antognetti.

Santa Caterina d’Alessandria, 1597, proveniente dal Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, è vestita con abiti lussuosi, con un piccolo cerchio a indicare l’aureola della santità, ha uno sguardo vivace e spontaneo, e ha tra le dita una spada insanguinata. Lo strumento di tortura, la ruota dentata, è spezzata, secondo la leggenda per cui la santa fu inizialmente condannata a essere straziata dalla ruota dentata, ma la ruota si ruppe miracolosamente, e successivamente, fu decapitata.

Santa Caterina d’Alessandria

Marta e Maddalena (conosciuto anche col titolo di Conversione della Maddalena) 1598, del Detroit Institute of Arts, raffigura le due sorelle bibliche Marta e Maria Maddalena; Marta è raffigurata mentre rimprovera la sorella per la sua condotta peccaminosa, Maria indossa abiti lussuosi, appoggia la mano su un grande specchio, simbolo di vanità, e nella mano destra tiene un ramoscello di fiori d’arancio, simbolo di purezza.

Marta e Maddalena

Giuditta e Oloferne, 1599, conservato presso la stessa Galleria Nazionale di Palazzo Barberini, mette in scena una di quelle storie più frequentemente rappresentate, soprattutto nella pittura del Seicento. L’eroina biblica salva il suo popolo dall’assedio dell’esercito assiro, fingendo di volersi alleare con il nemico e uccidendo con le proprie mani il generale Oloferne, dopo essere stata accolta nell’accampamento nemico con un fastoso banchetto. Caravaggio ha attualizzato la scena, poiché l’abbigliamento di Giuditta è quello delle donne a lui contemporanee; e l’ha resa drammatica per i forti contrasti chiaroscurali della luce, per gli spasmi della morte e la tensione dei muscoli nel volto di Oloferne.

Giuditta e Oloferne

In mostra anche due dipinti raffiguranti San Giovanni Battista nel deserto, il santo giovane colto in un momento di solitudine contemplativa nel deserto: uno del 1605, proveniente dal Nelson-Atkins Museum di Kansas City, l’altro dello stesso anno o forse di quello successivo, appartenente alla Galleria di Palazzo Corsini, Roma. Caravaggio realizzò almeno otto dipinti con questo soggetto.

La terza sala si colora di un rosso acceso per rappresentare Il dramma sacro tra Roma e Napoli. Dopo la prima commissione pubblica, ottenuta da Caravaggio nel 1599, ovvero le tele della cappella Contarelli nella chiesa di San Luigi dei Francesi, dedicate a san Matteo, Caravaggio si dedicherà quasi esclusivamente a temi sacri, dando avvio allo stile tragico caratteristico della sua produzione. Sono dunque qui esposte alcune tra le opere religiose più emblematiche del Merisi maturo all’apice del successo.

La terza sala – Il dramma sacro tra Roma e Napoli

Al centro della sala domina La Flagellazione di Cristo, 1607/1608, prestata dal museo di Capodimonte a Napoli. Struggente il Davide e Golia, 1609-1610, di Galleria Borghese, con il celebre autoritratto dove Caravaggio deforma il suo volto nella testa mozza di Golia. Arriva da Dublino la Cattura di Cristo, un dipinto realizzato intorno al 1603, in prestito a tempo indeterminato alla National Gallery of Ireland di Dublino; vi è rappresentato il momento dell’arresto di Gesù: questi, al termine dell’intensa orazione nell’orto degli ulivi, viene raggiunto da Giuda che con un bacio lo indica ai soldati. Alle spalle di Cristo è San Giovanni, che fugge col volto contratto in un urlo. La scena è concitata e dinamica.

La Flagellazione di Cristo
La cattura di Cristo

Nella tarda primavera del 1606 la vita del pittore subì una svolta drammatica quando, durante una partita di pallacorda, uccise Ranuccio Tomassoni. Costretto a fuggire da una condanna alla pena capitale, si rifugiò prima nei feudi laziali della famiglia Colonna, dove realizzò la Cena in Emmaus e — forse — il San Francesco in meditazione.

Ed ecco, finalmente, l’Ecce Homo, proveniente da una collezione privata, una delle più grandi scoperte nella storia dell’arte. L’opera raffigura Gesù con la corona di spine, consegnato a Pilato e svestito da un soldato, soggetto che Caravaggio dipinse anche un‘altra versione, oggi a Genova. Nel 2021 stava per finire all’asta come attribuita a un allievo di José de Ribera per poco meno di duemila euro. L’opera cominciò a girare online, suscitando dubbi, la svendita fu bloccata, i proprietari ritirarono il quadro e il suo valore è schizzato. A seguito di un’approfondita indagine diagnostica, alcuni dei più autorevoli esperti di Caravaggio e della pittura barocca hanno certificato che per gli aspetti stilistici, tecnici e iconografici dell’opera l’Ecce Homo è un capolavoro dell’artista italiano, datato tra il 1605 e il 1609, una delle circa sessanta opere di Caravaggio conosciute. Le gallerie Colnaghi ne hanno curato l’autenticazione e il restauro e il dipinto è stato esposto, per generosità del proprietario al Museo Nacional del Prado dal 28 maggio 2024 al 23 febbraio 2025.

Ecce homo

L’ultima parte della mostra, Finale di partita, affronta la fase finale della sua vita: Caravaggio lasciò Napoli e nell’estate del 1607 partì per Malta, dove, sotto la protezione dei Cavalieri, lavorerà ancora per quattro anni, con l’obiettivo di riaccreditarsi e far rientro a Roma. E allora ecco un Ritratto di cavaliere dell’ordine di Malta, 1608-1609, proveniente dagli Uffizi, L’artista riuscì a ottenere il cavalierato ma, coinvolto in una rissa con un altro membro dell’Ordine, venne incarcerato. Fuggì e si diresse prima in Sicilia e poi nuovamente a Napoli, dove realizzò le ultime opere, tra cui il Martirio di Sant’Orsola, 1610, proviene dalle Gallerie d’Italia, che si trovano a Palazzo Zevallos Stigliano di Napoli.

Martirio di Sant’Orsola

La santa guarda la ferita del suo martirio con uno sguardo attonito, e nel buio un raggio di luce si concentra sul suo busto, illuminando anche una mano e una metà del viso di Attila, il suo carnefice, l’armatura del soldato, e il viso di un uomo alle spalle di Sant’Orsola, dove gli studiosi vedono il ritratto dello stesso Caravaggio, che in questo modo firma la sua ultima tela. Due mesi dopo morirà a Porto Ercole, all’Argentario, stroncato da una “febbre maligna”, quando ormai la grazia papale che doveva salvarlo stava arrivando.
La mostra offre la possibilità, inclusa nel biglietto, di visitare anche il cinquecentesco Casino dell’Aurora, a Villa Ludovisi (Porta Pinciana), dove su commissione del cardinale del Monte per il soffitto del camerino Caravaggio dipinse l’affresco Giove, Nettuno e Plutone, 1597, l’unico dipinto a parete realizzato dall’artista.

Affresco con Giove, Nettuno e Plutone, Casino dell’Aurora, Villa Ludovisi

L’opera, raramente accessibile, raffigura un’allegoria della triade alchemica di Paracelso: Giove, personificazione dello zolfo e dell’aria, Nettuno del mercurio e dell’acqua, e Plutone del sale e della terra. Le tre divinità sono associate a tre animali simbolici: Giove all’aquila, Plutone a Cerbero, Nettuno al cavallo marino. Al centro della scena la grande sfera luminosa sullo sfondo del cielo nuvoloso, dentro la quale ruota una fascia con i segni zodiacali. Giove è coperto da un drappo bianco, anche Nettuno è in parte coperto, Plutone invece mostra appieno gli attributi virili: sono tre autoritratti dello stesso Caravaggio. Il fallo in piena vista, reso visibile solo dopo il restauro giacché dall’Ottocento era coperto da un drappo, potrebbe avere anche un risvolto simbolico in quanto il tema generale del dipinto potrebbe essere il ruolo procreativo dei tre elementi alchemici.

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Articolo di Livia Capasso

foto livia

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile. Ha scritto Le maestre dell’arte, uno studio sull’arte fatta dalle donne dalla preistoria ai nostri giorni e curato La presenza femminile nelle arti minori, ne Le Storie di Toponomastica femminile.

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