Io sono ancora qui

Il film Io sono ancora qui (titolo originale: Eu ainda estou aqui), ultimo dell’illustre regista Walter Salles, è un’opera cinematografica del 2024, intensa e coinvolgente, che ha come trama la rappresentazione del dramma vissuto da Maria Lucrécia Eunice Facciola Paiva. Suo marito, Rubens Beyrodt Paiva, ex deputato del Ptb (Partito laburista brasiliano), fu arrestato durante la dittatura brasiliana, insieme a tanti altri oppositori politici, chiamati “terroristi”, perseguitati e dichiarati nemici dello Stato. Ispirato dall’omonimo libro di Marcelo Rubens Paiva (2015), figlio della coppia, il regista ci fa conoscere non solo la storia di Eunice e della sua famiglia — con cui ha stretti rapporti di amicizia — ma ci fa anche immergere nel cuore della lotta per la verità e per la giustizia durante il regime. 

L’opera si svolge in tre periodi temporali distinti e ognuno segna un momento particolare della vita della protagonista. Il primo è ambientato negli anni Settanta, poco prima e subito dopo l’arresto di Rubens, e si concentra sulla sofferenza di Eunice e sul suo tentativo di far riconoscere ufficialmente la prigionia del marito, sistematicamente negata dal governo brasiliano, come succedeva a tutti i desaparecidos. Questa parola era all’epoca piena di significato, in italiano possiamo tradurla come “spariti”. I desaparecidos erano le persone sequestrate dai militari e portate a deporre, ma che spesso non facevano ritorno a casa, come Rubens.

Durante il regime quando dovevano prelevare qualcuno, i militari agivano la maggior parte delle volte in borghese, con macchine non targate. Arrivati in questura, i prigionieri e le prigioniere venivano torturati/e in diversi modi, per trarne informazioni. Di solito i bersagli erano perlopiù ex politici di sinistra e studenti che partecipavano alle manifestazioni contro il governo, ma anche artisti, scrittori, cantanti o musicisti. Per questi e soprattutto per coloro che facevano parte del movimento Tropicalismo — fondato proprio durante la dittatura — come Caetano Veloso e Gilberto Gil, la persecuzione avveniva anche attraverso la censura delle arti e della stampa. Il decreto istituzionale AI-5 (1968), il più severo della dittatura, ha rafforzato la censura e ordinato la chiusura del Congresso nazionale.
Secondo Lilia Schwartz, nota antropologa brasiliana, il decreto AI-5 costituiva: «Uno strumento di intimidazione basato sulla paura, privo di scadenza e destinato a essere utilizzato dalla dittatura contro l’opposizione e il dissenso». 

Anche Eunice finirà in carcere, chiamata a deporre pochi giorni dopo suo marito, dove resterà per poche settimane, che sembreranno infinite: rinchiusa in una cella buia, senza mai lavarsi, mangiando e bevendo quanto basta per sopravvivere. Eunice patisce anche per sua figlia Eliana, arrestata insieme a lei ma solo per un giorno.
Nel periodo trascorso in carcere, vediamo tutta l’esasperazione di una madre preoccupata per sua figlia quindicenne, in quell’ambiente lurido e sofferente. I rumori delle urla di dolore dei/delle prigioniere nelle celle vicine, tormentano e fanno disperare Eunice, che non fa altro che pensare alla piccola. Appare anche un personaggio che rappresenta il cosiddetto “buon militare”, il quale riaccompagnandola alla cella, le dice di non essere d’accordo con la dittatura, ma che «non può farci niente» e finisce necessariamente per contribuire lui stesso al sistema. Durante queste settimane, a Eunice viene mostrato un libro contenente le schede delle persone accusate: costretta a guardarlo ogni giorno, vedrà apparire sempre nuovi volti, fino a quando non incorre nel proprio. 

Alle scene di estremo dolore, che creano un nodo allo stomaco e una sensazione di inquietudine, si contrappongono scene di gioia e di estrema felicità vissute dalla famiglia, in un continuo alternarsi le une con le altre. Assistiamo a bambini/e che giocano a pallone sulla spiaggia, a lunghi pranzi della domenica tutti insieme, per mangiare il «famoso soufflé» della matriarca — piatto simbolo dell’amore materno di Eunice — e all’amore paterno di Rubens per i suoi figli/e, con cui gioca sovente e a cui dona attenzioni e affetto. 

Nella seconda parte del film, ambientata vent’anni dopo, Eunice si trasferisce da Rio de Janeiro a San Paolo, dove va a vivere con i suoi cinque figli e figlie, ormai cresciute, lasciando alle spalle la vecchia dimora che aveva condiviso con il marito. Lì si laureerà in Legge e diventerà attivista per i diritti degli indigeni, tenendo diverse conferenze in Brasile. La sua vita ora è cambiata, ma le cicatrici del passato rimangono indelebili. 
La scena finale del film mostra Eunice a una festa di compleanno di Marcelo. In questo secondo momento, la donna è interpretata magistralmente da Fernanda Montenegro, celebre attrice brasiliana e madre di Fernanda Torres (attrice che interpreta Eunice da giovane): questo dettaglio rende ancora più speciale ed emozionante il film. Viene messa in scena una Eunice fragile e anziana, affetta da Alzheimer, ma che ancora sussulta quando si imbatte in un reportage televisivo che parla di suo marito, l’uomo che ha amato e per il quale ha tanto lottato. 

Film come Io sono ancora qui sono di estrema importanza, in quanto ci permettono di ricordare le atrocità commesse durante la dittatura e di riflettere sul fatto che queste facciano parte di un passato fin troppo recente per rischiare di cadere nell’oblio comune (come purtroppo sembra stia succedendo). Viviamo in una società sopraffatta dal consumismo, dal lavoro e dagli obblighi di tutti i giorni e finiamo per non dare importanza alla Storia: è proprio conoscendo i fatti storici che possiamo capire le dinamiche sociali attuali, soprattutto quando si tratta di politica e regimi totalitari. Quello che è successo a Rubens Paiva è successo a tanti altri cittadini e cittadine, tante altre famiglie hanno sofferto senza saper niente dei propri cari che un giorno sono usciti di casa, accompagnati da militari armati, e non sono mai più tornati. Questo buio momento storico è a soli cinquanta anni di distanza da noi e bisogna che ne siamo consapevoli, soprattutto le/i giovani che, come me, non l’hanno vissuta direttamente hanno l’obbligo morale di studiarla, conoscerla e toccarla col pensiero attraverso i libri, le canzoni, i racconti di chi è testimone e anche attraverso la storia della famiglia di Eunice. 

In alcuni commenti sul film, l’interpretazione di Fernanda Torres è stata molto criticata poiché in tutti i momenti di dolore Eunice si mantiene forte e resiliente, sentimenti interpretati spesso come una mancanza di emotività o sensibilità. A mio parere, invece, le scene che mostrano il lutto di Eunice sono eseguite alla perfezione — anche per mezzo di un gioco di colori e luci scenografiche — tanto da non far mai scivolare il film nel melodramma, ma piuttosto accentuare la forza interiore di una donna che, pur devastata dalle circostanze, non perde mai il desiderio di giustizia e la capacità di mantenersi forte e lucida per i suoi figli e le sue figlie.
Nel film c’è una scena che ritaglia perfettamente la sua forza e determinazione: nel 1971, un fotografo di un importante giornale brasiliano si reca a casa sua a Rio per scattare una foto alla famiglia — destinata a un articolo su Rubens — chiedendo loro di assumere un’espressione seria, triste e malinconica, dato ciò che era successo, ma Eunice, invece, invita i suoi figli/e a sorridere, rifiutando di dare alla stampa l’immagine della donna vulnerabile che si aspettavano. 

Eunice e la sua famiglia, 1978 

Nonostante le critiche negative, il film ha raggiunto il 97% di approvazione della critica su “Rotten Tomatoes”, una piattaforma che aggrega le recensioni della stampa specializzata, e la stessa percentuale di approvazione del pubblico, secondo Bbc Brasile. L’opera ha vinto il premio di “Miglior sceneggiatura” alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 2024 e ha avuto ben tre indicazioni all’Oscar del 2025, come “Miglior film”, “Miglior film in lingua straniera” e “Miglior attrice protagonista”. Grazie a Io sono ancora qui, Fernanda Torres ha vinto il Golden Globe e la sua vittoria segna un traguardo storico importantissimo nella storia del cinema in Brasile: è la prima attrice brasiliana a ottenere questo riconoscimento. Durante il suo discorso ha dedicato il premio a sua madre, che nel 1999 era stata nominata nella stessa categoria. 

In copertina: locandina del film Io sono ancora qui (particolare). 

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Articolo di Nicole Ferreira Tascillo

Sono italobrasiliana e vivo in Italia da settembre 2020. Studio Lingue e culture moderne presso l’Università degli Studi di Pavia e insegno italiano ai lusofoni da cinque anni.

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