Giovanna Del Giudice è una psichiatra che ha collaborato, a partire dagli anni ’70, con Franco Basaglia. Riguardo alla rivoluzione che portò nel 1978 alla chiusura, con la legge 180, di quei “luoghi di reclusione” e non di cura quali erano i manicomi italiani allora, ha affermato recentemente: «Una lezione dimenticata», aggiungendo che la questione della salute mentale non ha un significato soltanto medico/tecnico, ma riguarda tutta la comunità.

Nell’ambito del ciclo Cambiamo discorso-Contributi per il contrasto agli stereotipi di genere, organizzato da Reti Culturali ormai da diversi anni, che nel 2025 sta affrontando una tematica del tutto innovativa, rispetto alle tante precedenti: Ben-essere di genere, il webinar del prossimo 18 settembre vedrà come protagonista Giovanna Del Giudice, che affronterà il tema Donne e salute mentale. Come è consuetudine delle nostre conversazioni, che potete ritrovare tutte qui, poniamo alcune domande alla relatrice, per conoscerla meglio prima di ascoltarla con interesse nel prossimo incontro online.
Lo sguardo attento — che ti ha portata a considerare importante l’attenzione e lo studio della salute mentale — da dove è partito? Da esperienze familiari, da argomenti trattati già nelle scuole superiori, da scelte universitarie…
Il mio interesse allo studio della psichiatria dopo la laurea in medicina, è da collocarsi all’interno del contesto sociale e politico del ’68. Facevo il quarto anno di medicina e il movimento sessantottino, che stava attraversando l’Italia, l’Europa e il mondo intero, aveva determinato in me una grande tensione e un impegno consapevole contro le ingiustizie e le disuguaglianze che colpivano le diversità, a cominciare da quella legata al genere. Avevo letto, L’istituzione negata-Rapporto da un ospedale psichiatrico, testo curato da Franco Basaglia che divenne un best seller del Movimento studentesco. Fui interessata molto a quella esperienza di trasformazione antistituzionale ritenendo di poter trovare una risposta ai miei desideri di “cambiare il mondo” e, contemporaneamente, i miei interessi professionali. Così dopo la laurea del luglio ‘71, andai a cercare Basaglia.
Quali figure incontrate sono state particolarmente importanti per indirizzarti in quella che sarebbe diventata la tua professione e il tuo grande impegno sociale?
Le figure che mi hanno formata, i miei maestri più significativi, sono stati Franco Basaglia e Franco Rotelli. Ho incontrato Basaglia nell’ottobre del ‘71, a Colorno, il manicomio di Parma di cui Basaglia era allora direttore, e ho cominciato nel dicembre dello stesso anno a lavorare nel manicomio di Trieste, sotto la sua direzione. Facevo parte del gruppo di giovani medici appena laureati che Basaglia aveva raccolto intorno a sé a Trieste, per affrontare la sfida della decostruzione del manicomio fino alla sua chiusura e della restituzione di diritti, primo fra tutti il diritto alla cura, e di dignità alle persone con disturbo mentale, che il manicomio e l’assistenza psichiatrica, così come definita dalla legge del 1904, negavano. E insieme per costruire nel territorio luoghi di presa in cura — i Centri di salute mentale — per le persone con disagio e disturbo mentali capaci di farsi carico della complessità dei loro bisogni e dei bisogni dei familiari e della comunità.

Sei anche Presidente della Conferenza per la salute mentale nel mondo-Franco Basaglia: qual è l’ambito di azione dell’associazione?
L’associazione di cui sono presidente, Conferenza per la salute mentale nel mondo-Franco Basaglia, è stata fondata nel 2010 dalle prime persone andate in pensione, tra cui io, provenienti dall’esperienza avviata nel ‘71, accanto a Franco Basaglia a Trieste. L’impegno della Conferenza è quello di continuare a testimoniare in Italia e nel mondo la possibilità di assistere la persona con disturbo mentale anche severo nella comunità, nel rispetto della sua dignità e dei suoi diritti. L’ambito di azione della Conferenza è prioritariamente quello della salute mentale, dei diritti umani e del Welfare. Lavoriamo con i Governi nazionali e locali, le associazioni, le/i professionisti interessati all’esperienza della de-istituzionalizzazione triestina e italiana, che vogliono essere supportati nella costruzione di politiche e strategie di salute mentale, e nella possibilità di costruire possibilità di assistenza alle persone con sofferenza mentale in servizi nella comunità, sostitutivi del manicomio.
Quali battaglie importanti vuoi ricordarci qui, quali vinte e quali purtroppo ancora da proseguire?
Certamente la sfida più importante — in cui abbiamo dimostrato, sotto la guida di Franco Basaglia e di Franco Rotelli, insieme alla città di Trieste, alle persone con problemi di salute mentale, ai familiari, che “l’impossibile può diventare possibile” — è stata la distruzione del manicomio. A Trieste il manicomio è stato chiuso nel 1980, primo al mondo. Ma voglio specificare che il processo di de-istituzionalizzazione avviato da Franco Basaglia non si rivolgeva soltanto alla chiusura del manicomio, ma alla messa in discussione della scienza psichiatrica biomedica, dei suoi paradigmi e dei suoi dispositivi. È stato un modo nuovo di guardare e di assistere le persone con disturbo mentale, anche severo, inserite nei loro contesti familiari e sociali.

Sappiamo che il 13 febbraio 2025 sei intervenuta in videoconferenza sul tema della contenzione presso la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani in Senato: ce ne vuoi parlare? (Qui il video dell’audizione)
Sì, sono intervenuta il 13 febbraio di quest’anno sul tema della “contenzione meccanica”, cioè della pratica, diffusa nei servizi della psichiatria ma non solo, anche nelle case di riposo e negli istituti per persone con disabilità psicofisica, del legare le persone al letto, impedendo qualsiasi movimento volontario, limitando la libertà personale in maniera inumana e degradante. Lavoro da molto tempo su questa tematica e sono portavoce nazionale di una campagna nata nel 2015 E tu slegalo subito per l’abolizione della contenzione meccanica nei servizi della cura.
Noi affermiamo con fermezza e convinzione, perché l’abbiamo sperimentato nel nostro lavoro, nella nostra pratica quotidiana, che è possibile non legare le persone, anche quando si rivolgono a noi in grande difficoltà, quando vivono una situazione di crisi, di dolore, che fa loro assumere a volte anche atteggiamenti aggressivi. Il nostro compito, la nostra competenza ed etica deve rendere possibile decostruire, depotenziare quel dolore, l’esperienza da cui nasce quella violenza, far capire all’altro/a che noi siamo lì per aiutarlo, per supportarlo e rispondere al loro dolore.
La legge 180 è legata al nome di Franco Basaglia, ma anche la moglie, Franca Ongaro, ha avuto un ruolo rilevante sia nella stesura di quei libri che hanno sollecitato l’opinione pubblica e la politica sul tema della crudeltà delle istituzioni totali, sia nell’iter che ha condotto all’approvazione della legge. A tuo parere il suo ruolo è adeguatamente conosciuto e riconosciuto?
Franca Ongaro è una figura rilevante, come disse Rita Levi Montalcini nella prima Conferenza governativa nazionale sulla salute mentale del 2001, insieme a Franco Basaglia, è tra i grandi scienziati del secolo scorso. Certamente Franca Ongaro, come spesso succede alle donne, per molto tempo non è stata riconosciuta, o è stata poco riconosciuta, rispetto al ruolo decisivo che ha avuto, accanto a Franco Basaglia, nella sua capacità in particolare di scrittura e di sviluppo di un pensiero critico. Va detto che la maggior parte degli scritti e delle pubblicazioni di Franco Basaglia sono state realizzate proprio insieme con Franca. Franca peraltro ha combattuto contro tanti muri, non solo quello del manicomio, e in particolare per il riconoscimento della specificità e del valore delle donne. Il suo impegno è stato un impegno femminista — anche se lei non si riconosceva come femminista. Franca ha analizzato con molta attenzione come la prima diversità naturale, quella legata al genere, nel processo storico fosse divenuta “disuguaglianza sociale”, quindi minor potere per le donne, costruzioni di recinti, limitazione di opportunità e spazi, stigma e pregiudizio. Su questo è stata una grande maestra e non solo su questo.
Quali libri consiglieresti alle e ai più giovani per raccontare la tragica storia degli istituti manicomiali e la rivoluzione che ha condotto a considerare il disagio mentale una sofferenza da curare ora in modo medico, ora esistenziale, ora sociale, ma mai da reprimere solamente?
Se io dovessi consigliare un libro ai più giovani e alle più giovani, per avvicinarli a un pensiero e un’opera, quella di Basaglia, che non appartiene al passato, ma si presenta oggi significativamente necessaria per affrontare le gravi contraddizioni che viviamo in questo nostro tempo, consiglierei le Conferenze brasiliane. Un libro maturo — è l’ultimo libro che ci ha lasciato Franco Basaglia — la sua espressione più alta, ma anche più semplice.
Lo consiglierei ai/alle giovani perché in questo possono ritrovare tante risposte alle loro attuali domande, ai loro bisogni di protagonismo e principalmente ai loro bisogni di giustizia sociale, alla loro tensione a non assuefarsi a non considerare possibile ciò che viene presentato come impossibile, per riconquistare la speranza e l’ottimismo della pratica.
Sarà più che interessante scoprire nel webinar di giovedì prossimo 18 settembre che cosa la pluridecennale esperienza della dr.a Del Giudice nei dipartimenti di salute mentale italiani ci possa dire sulla specificità della tematica rispetto alle donne. Ringraziandola delle risposte che ci hanno fatto conoscere un ambito di indagine così particolare, rimaniamo in attesa di ascoltarla, nella speranza che le sue parole siano utili a non temere ma a saper affrontare in modo adeguato quella sofferenza mentale che ha bisogno di strumenti di conoscenza professionale da parte delle istituzioni e di azione empatica da parte di chi vive a contatto quotidiano con essa.
Questo il link per entrare nel webinar: https://meet.google.com/gsc-vobv-rjk.
Chi non potesse partecipare alla diretta dell’incontro online, potrà rivederlo (come tutti i precedenti) sulla pagina fb di Reti culturali.
In copertina: Giovanna Del Giudice alla videoconferenza in Senato il 20 febbraio 2025.
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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, già docente di filosofia/scienze umane e consigliera di parità provinciale, tiene corsi di formazione, in particolare sui temi delle politiche di genere. Giornalista pubblicista, è vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile e caporedattrice della rivista online Vitamine vaganti.
