Ritratti femminili alla Galleria Borghese. Il Seicento

Proseguiamo il nostro viaggio nei ritratti femminili attraversando un secolo ricco di suggestioni: il Seicento.

La Galleria Borghese di Roma conserva infatti una notevole quantità di opere d’arte riconducibili a questo periodo storico, prodotte non solo da pittori ma anche da diverse pittrici che in quegli anni hanno iniziato ad affermare la propria identità artistica.

Lavinia Fontana, Ritratto di un giovane, 1577

La ‘sala 19’ o ‘sala di Elena e Paride’ accoglie una serie di ritratti femminili. Emerge tra tutti un’opera firmata e datata 1577 di Lavinia Fontana che ritrae un giovane di spalle colto nell’atto di voltarsi, con uno sguardo deciso e schietto. Il disegno è noto come Ritratto di un giovane ed è stato acquistato da Scipione Borghese con altre due opere della stessa artista. Dietro a questo disegno tuttavia si cela molto di più: non solo è un esempio di ritratto di una figura maschile eseguito da una pittrice, non solo sembra distaccarsi dai numerosi ritratti statici a sfondo scuro che hanno caratterizzato il Cinquecento, ma si tratta di una vera e propria rarità. La carta della pittrice è infatti un esempio di genere artistico che si colloca tra il disegno e la pittura, noto come ‘studio a colori dal vivo’, e costituisce uno dei pochi documenti realizzati con questa tecnica. Inoltre il disegno di Lavinia Fontana, bolognese, permette di attestare l’attività ritrattistica della pittrice a Roma tra il 1603 e il 1614.

Alcune figure particolarmente amate — e quindi rappresentate — nel Seicento sono le Sibille, e la Galleria Borghese possiede nella sua collezione ben due ritratti di questo tipo, situati anch’essi nella ‘sala 19’ o ‘sala di Elena e Paride’.

Francesco Giovanni Romanelli, Ritratto della Sibilla, I metà del XVII secolo (a sinistra)
Domenico Zampieri (detto Domenichino), Ritratto della Sibilla, I metà del XVII secolo (a destra)

Si tratta Ritratto della Sibilla di Francesco Giovanni Romanelli e il Ritratto della Sibilla di Domenichino. L’opera di Romanelli ritrae una Sibilla — come indicano la foggia del copricapo simile a un turbante, la penna e il libro — che, con lo sguardo rivolto verso l’alto, sembra aver appena avuto una visione. Le Sibille erano note per le loro capacità profetiche e sono state accolte nel pensiero cristiano, poiché si riteneva avessero previsto l’avvento di Cristo; per questo motivo sono state più volte raffigurate nelle opere d’arte, specialmente a cavallo tra il XVI e il XVII secolo.

Il Ritratto della Sibilla di Domenico Zampieri, detto Domenichino, è un quadro che si distacca leggermente dalla tradizione. Infatti, usualmente l’iconografia delle Sibille prevede che le giovani veggenti abbiano un turbante, una penna e un libro. Il dipinto di Domenichino invece, pur possedendo tutti i tratti caratteristici, inserisce elementi aggiuntivi che non trovano riscontro nella tradizione iconografica. Sono presenti molti riferimenti musicali, a partire dalla presenza di una viola. La motivazione sta nel fatto che non solo lo stesso Domenichino fosse appassionato di musica, ma anche che il richiamo all’ambito musicale fosse un omaggio a Scipione Borghese, probabile committente dell’opera.

Fede Galizia, Giuditta con la testa di Oloferne,
prima metà del XVII secolo

La medesima grandiosa sala presenta al suo interno un’ulteriore importante testimonianza. Si tratta del celebre dipinto della nota pittrice Fede Galizia: Giuditta con la testa di Oloferne, attualmente in prestito alla mostra Le Signore dell’Arte (Milano, Palazzo Reale, 20/02/2021-06/06/2021). L’opera, firmata e datata, illustra la vicenda dell’ebrea Giuditta narrata nell’Antico Testamento. Il personaggio della giovane è stato ritratto varie volte nel corso del secolo da moltissimi pittori e pittrici. Fede Galizia riesce a riportare abilmente sulla tela la consistenza delle stoffe e degli abiti e rende in maniera perfetta la figura femminile senza soffermarsi troppo (come invece faranno Caravaggio e Artemisia Gentileschi) sul momento violento della decapitazione e dunque sulla drammaticità. Giuditta è raffigurata in piedi, con lo sguardo lontano e distaccato dalla scena, come se fosse assente. Un drappo rosso ha lo scopo di ornare e colorare parzialmente lo sfondo.

Passando per la celebre ‘sala dei Depositi’ ci si accorge che l’immensa quadreria della Galleria Borghese non solo accoglie numerosi ritratti femminili del Cinquecento ma possiede anche alcune testimonianze del XVII secolo.  

Fede Galizia, Ritratto di Santa Caterina d’Alessandria, I metà XVII secolo

Il Ritratto di Santa Caterina d’Alessandria è stato attribuito anch’esso alla pittrice Fede Galizia sulla base della scritta «Fede» a grandi lettere sul libro, scritta che sembra essere una vera e propria firma. La Santa è ritratta tradizionalmente con gli occhi al cielo e alcuni oggetti del martirio, gli abiti e i gioielli sono regali e denotano una certa attenzione verso i dettagli. Lo sfondo tende a essere cupo.

Fede Galizia e Lavinia Fontana non sono le uniche pittrici dedite ai ritratti e presenti nella Galleria Borghese; l’importante museo romano infatti accoglie i dipinti di altre importanti artiste del Seicento.

Elisabetta Sirani, Ritratto di Lucrezia,
II metà del XVII secolo

In primo luogo colpisce —sempre nella ‘sala dei Depositi’— il Ritratto di Lucrezia di Elisabetta Sirani, nota pittrice, figlia del pittore Andrea e vicina alla maniera di Guido Reni. Lucrezia è una figura assai diffusa nella ritrattistica tra Cinque e Seicento, perché considerata simbolo di forza, valore e fedeltà. In questo Ritratto di Lucrezia la matrona emerge dallo sfondo scuro, decorato da un drappo, in tutta la sua essenza; seminuda e appena coperta da un lenzuolo porta gli occhi al cielo e con un movimento sembra avvicinarsi al pugnale, con uno sguardo malinconico e rassegnato.

Segnalo quanto Elisabetta Sirani sia stata fondamentale per l’affermazione delle pittrici nel Seicento. La giovane donna infatti è stata una delle figure principali del movimento pittorico noto come ‘Scuola Bolognese’ o ‘Scuola delle donne’, insieme a Lavinia Fontana. La scuola aveva solo allieve ed è stato un grande passo in avanti per l’affermazione della parità di genere nelle arti visive.

Ginevra Cantofoli, Ritratto di Berenice,
II metà del XVII secolo

Si aggiunge al gruppo delle pittrici dedite a ritratti femminili presso la Galleria Borghese Ginevra Cantofoli, anche lei parte della cerchia vicina a Elisabetta Sirani. Il museo romano infatti accoglie tra i suoi depositi un ritratto dell’artista bolognese, nello specifico un Ritratto di Berenice (anche questo attualmente in prestito alla citata mostra milanese Le Signore dell’Arte). In realtà la scoperta che il soggetto fosse la regina Berenice è emersa dopo il recente restauro. La regina è ritratta mentre si taglia una ciocca di capelli, offerta in dono agli dei per il ritorno del marito dalla guerra. Nel dipinto è interessante notare come la pittrice cominci a prestare attenzione ai giochi di luce, in perfetta vicinanza alla tecnica di Caravaggio.

Passiamo ora ai ritratti femminili del Seicento nella ‘sala dei Depositi’, ad opera di diversi pittori.

Un seguace di Carracci, Ritratto di Maddalena, I metà del Seicento

Interessante è il Ritratto di Maddalena eseguito da un seguace di Agostino Carracci; anche la figura di Maddalena risulta essere molto fortunata nella pittura del Cinque e Seicento. Il ritratto dell’Anonimo raffigura la Maddalena con i capelli biondi sciolti, una croce e il viso colmo di lacrime; gli occhi guardano lontano e sono distanti da spettatori e spettatrici.

Anonimo, Ritratto di monaca domenicana,
I metà del XVII secolo

Segnalo nella stessa sala altri due ritratti di Anonimi seicenteschi; un Ritratto di monaca domenicana di ambito toscano e un Ritratto di donna alla maniera di Scipione Pulzone raffiguranti rispettivamente una monaca con un giglio (vicina all’iconografia di santa Caterina da Siena) su sfondo verde e una nobildonna riccamente vestita, con uno sguardo serio e diretto su uno sfondo completamente scuro.

Rispetto al Cinquecento, i ritratti femminili nel XVII secolo si trasformano sotto alcuni aspetti. L’attenzione verso la psicologia e l’emozionalità dei personaggi si fa più intensa: le figure sono meno statiche e talvolta, rispetto allo sfondo del tutto scuro, emergono degli sfondi più chiari e con degli ‘elementi di scena’, come dei drappi di tessuto rosso, dei motivi vegetali, o dei simboli caratterizzanti. Grazie all’esperienza caravaggesca molti/e artisti/e iniziano a utilizzare la luce come strumento per arrivare alla definizione introspettiva delle persone ritratte. Le pittrici iniziano ad affermarsi e spesso — come testimonia Fede Galizia in questo percorso — firmano le proprie opere per attestare la loro identità di artiste.

L’itinerario appena illustrato tra i ritratti femminili della Galleria Borghese di Roma consente di osservare quanto il genere-ritratto fosse apprezzato e utilizzato nel Cinque e Seicento, ma soprattutto permette di constatare nuovamente quanto le donne, che siano le figure ritratte o le stesse autrici, abbiano avuto un ruolo centrale e fondamentale nello sviluppo delle arti visive del tempo.

In copertina: immagini delle opere d’arte degli autori citati nel corso dell’articolo.

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