Le donne di Raffaello. Due nobili alla corte di Urbino

Nel 1505-1506 Raffaello fu per un breve periodo a Urbino, la sua città natale, dove venne accolto alla corte di Guidobaldo da Montefeltro: era ormai un artista affermato, tanto che gli fu commissionata una serie di ritratti, tra cui quello di Guidobaldo e di Elisabetta Gonzaga sua consorte.

In verità l’attribuzione a Raffaello dei due ritratti, oggi conservati nella Galleria degli Uffizi di Firenze, è argomento complesso e nel passato ha avuto sostenitori e detrattori, ma l’ipotesi che Raffaello ne sia l’autore è oggi la più accreditata presso gli studiosi. Il ritratto di Elisabetta è molto simile a quello di Emilia Pia da Montefeltro, cognata della duchessa, oggi al Museum of Art di Baltimora, anch’esso attribuito a Raffaello, per analogia di forme e di contesto.

Raffaello, Ritratto di Elisabetta Gonzaga (a sinistra) – Ritratto di Emilia Pia da Montefeltro (a destra)

Elisabetta Gonzaga vi è ritratta a metà figura in una posa frontale. I capelli sono raccolti in una lunga treccia; indossa un abito pregiato, con scollo quadrato, scuro con inserti a strisce orizzontali e verticali alternate. Una ferronière (acconciatura femminile valorizzata da un pendente mantenuto sulla fronte da una catenella) le cinge il capo e al centro reca uno scorpione con un diamante. Il gioiello, collegabile al monile a forma di “S” (Scorpio), che Baldassarre Castiglione nel Cortegiano ricorda tra le proprietà della duchessa, avrebbe una funzione apotropaica, come talismano contro la sterile relazione con il duca di Montefeltro, o farebbe riferimento alle qualità intellettuali della donna, che sarebbe acuta come un diamante. Una lunga catena, sciolta ai lati e annodata al centro, pende dal suo collo. Il paesaggio sullo sfondo richiama modelli leonardeschi, con uno sfumato che si perde in lontananza. Tutto trasmette l’immagine di una vera Signora del Rinascimento, che si impone per il garbo e il fascino intellettuale più che per la bellezza fisica.

Elisabetta era nata a Mantova il 9 febbraio 1471, dal marchese Federico e da Margherita di Baviera. Insieme alle sorelle Chiara e Maddalena fu istruita nelle lettere. All’età di quindici anni, dal fratello maggiore, Francesco, succeduto al padre che intanto era morto, fu promessa in sposa a Guidobaldo da Montefeltro, figlio del famoso Federico da Montefeltro: come tutte le nobildonne del tempo veniva usata come pedina di scambio per alleanze politiche. Il 1° febbraio 1488 partì per Urbino. Fu un viaggio tormentato dal dolore del distacco e dal maltempo. Solo il 9 febbraio il corteo nuziale poté arrivare in città, e l’11 febbraio si celebrarono le nozze.

Raffaello, Ritratto di Guidobaldo da Montefeltro

 L’aria di Urbino non giovava alla sposa, nonostante che Guidobaldo la colmasse di regali e le sorelle del duca si prodigassero per farle compagnia. La sua vita fu segnata dalla malinconia e dalla nostalgia per la sua Mantova, dove ritornava ogni volta che poteva, e dallo strano rapporto col marito, che era impotente, come lei stessa ammise in alcune lettere, ma che comunque amava e ha difeso fino alla morte. Coltissima, raffinata e poliglotta, Elisabetta s’intendeva di arte, musica e letteratura: la sera, dopo che il duca, sofferente di gotta, si ritirava nei suoi appartamenti, riuniva una corte di letterati, musici, poeti e umanisti coi quali si intratteneva fino a tarda ora. Inoltre, mentre il marito sempre più spesso era lontano dalla città, impegnato in campagne belliche o missioni diplomatiche, diede prova di possedere anche buone capacità amministrative e fu un’ottima reggente del suo piccolo Stato. Quando nel 1502 Cesare Borgia occupò Urbino e Guidobaldo fu costretto alla fuga, Elisabetta si trovava a Mantova e qui rimase ospite finché la situazione non si ristabilì. L’anno dopo i duchi poterono rientrare, reintegrati nei loro possessi dal nuovo papa Giulio II. Nel 1508 Guidobaldo morì senza figli, ma intanto aveva adottato Francesco Maria della Rovere, che divenne quindi il nuovo signore. Elisabetta poté continuare a vivere alla corte di Urbino, come duchessa madre: sua nipote Eleonora Gonzaga aveva, infatti, sposato Francesco Maria della Rovere. Gli ultimi anni furono però amareggiati dal comportamento del nuovo papa Leone X che, con un atto di prepotenza, depose il della Rovere per insediare al suo posto come duca il nipote Lorenzo de’ Medici.

Donna tenace e caparbia, lottò nonostante la cacciata dal Ducato, la morte del marito e la sorte avversa che la vide vagare di corte in corte alla ricerca di un riparo. Stanca, malata, costretta a barcamenarsi fra Mantova e Ferrara, Elisabetta morì in quest’ultima città il 28 gennaio del 1526.

Tiziano, Ritratto di Isabella d’Este (part.), 1536

Compare tra la folla di personaggi che anima la finta autobiografia di Isabella d’Este, raccontata da Maria Bellonci in Rinascimento privato (Mondadori, 1986). Isabella è la cognata di Elisabetta, per aver sposato il fratello Francesco, marchese di Mantova. Tra le due donne c’è un legame basato sulla sincerità e sull’amicizia, tanto che Isabella la chiama sorella, ma anche su una comunanza di personalità: ambedue coltivano interessi culturali e si circondano di grandi letterati, ambedue sono politicamente attive e sbrigative nelle devozioni religiose, ambedue si sono rivelate coraggiose e risolute.

Emilia Pia, figlia di Marco I Pio, signore di Carpi, nota come Emilia Pia da Montefeltro per aver sposato Antonio da Montefeltro, fratello del duca Guidobaldo, fu una delle più intime amiche e confidenti della cognata, la duchessa Elisabetta. Antonio era figlio naturale di Federico ed anche il primogenito dopo la morte per peste del fratello Bonconte, da cui ereditò il titolo di signore di Cantiano. Fu allevato come figlio dalla prima moglie di Federico e considerato, per vicinanza di età, come fratello dalla seconda moglie, Battista Sforza.

Piero della Francesca, Pala di Brera (part.)

 Nella Pala di Brera, dipinta da Piero della Francesca nel 1472, Antonio da Cantiano è identificato dalla critica come il primo dei due angeli sulla destra, dietro la Vergine Maria, ritratta da Piero con le sembianze della duchessa Battista Sforza. Antonio seguì il padre in tutte le sue vicende militari con la carica di luogotenente, e fu per Guidobaldo un secondo padre, aiutandolo ad assumere le redini del Ducato. Morì probabilmente di sifilide e alla sua morte la moglie Emilia Pia visse tra Urbino e Cantiano, occupandosi dell’amministrazione del suo castello, dove morì nel 1520 e dove fu sepolta accanto alle spoglie del marito. Dal matrimonio non erano nati figli.

Anche lei è ritratta a metà figura in una posa frontale, su uno sfondo scuro. Indossa un abito molto semplice, non ha gioielli, né un’acconciatura di capelli elaborata, ma la nobiltà del portamento chiarisce che si tratta di una dama di corte e non di una donna qualsiasi.

Le due donne compaiono nel celebre Cortegiano di Baldassarre Castiglione, una delle opere più importanti del Rinascimento. Il protagonista tiene con loro una raffinata discussione in cui teorizza il comportamento degli uomini, ma anche delle donne di corte, donne raffinate e colte, in grado di conversare di filosofia, musica, letteratura. Nel terzo libro si descrive il modello a cui deve aspirare una perfetta “donna di palazzo”: deve essere aggraziata, bella ed elegante, deve saper ridere, scherzare e intrattenere l’uomo con tutti i mezzi a disposizione. Al contrario del cortigiano, la donna non necessita di preparazione fisica e atletica ma deve essere delicata e tenera. Viene teorizzata l’estetica della grazia: grazia che «consegue dall’usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l’arte e dimostri ciò che si fa e deve venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi». Grazia che la donna deve mostrare in ogni azione del vivere quotidiano, nel conversare, nel vestire, nel danzare, nel mangiare, nel cavalcare, nello scrivere. Ed Elisabetta era la personificazione stessa della grazia. Peccato che la conclusione sia che comunque la donna cortigiana è inferiore all’uomo!

L’identificazione con le due signore dei ritratti è confermata da due medaglie in bronzo, opere di Adriano Fiorentino, datate al 1495.

Adriano Fiorentino, Recto e verso di una medaglia raffigurante Elisabetta Gonzaga,
British Museum, Londra

Sul recto della medaglia, in cui entro un bordo circolare compare la scritta: ELISABET GONZAGA FELTRIA DUCIS URBINI, la duchessa è ritratta di profilo: l’abito ha una scollatura quadrata, al collo porta un filo di perle, simbolo della sua condizione maritale; i capelli sono trattenuti dalla solita ferronière e da una cuffia, che si allunga dietro a contenere una lunga treccia, la stessa che compare nel ritratto di Raffaello. Sul verso una figura femminile nuda, distesa su un letto, con la testa poggiata su un’alta testiera, riceve una pioggia di fiammelle che cade su di lei da una nube. Si tratta di una raffigurazione di Danae che si accoppia con Giove, rivelatosi a lei sotto forma di una pioggia d’oro, e vuole celebrare la castità di Elisabetta raffigurata come Danae imago Pudicitiae.

Adriano Fiorentino, Recto e verso di una medaglia raffigurante Emilia Pia da Montefeltro,
Museo del Bargello, Firenze

 Emilia Pia nella medaglia è molto simile alla cognata: stessa collana, stessa acconciatura di capelli, quasi lo stesso profilo, forse solo un po’ più grossolano. Diversa invece l’immagine sul retro, dove compare una piramide e la scritta CASTIS CINERIBUS: ancora una volta un’allusione alla castità del soggetto ritratto.

In copertina: Palazzo Ducale, a Urbino, gioiello del Rinascimento.

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Articolo di Livia Capasso

foto livia

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile.

 

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