Eccezionale poker d’assi femminile ai Premi Nobel del 2023

Per celebrare le quattro vittorie femminili ai Premi Nobel ci piace lasciare per una volta le parole d’apertura alla nostra direttora Giusi Sammartino che sabato scorso, nel numero 239 di Vitamine vaganti, così si è pronunciata nel suo editoriale: «Questa è stata la settimana dell’assegnazione dei Premi Nobel che verranno, come di prassi, consegnati a dicembre. Alla ribalta dell’importante riconoscimento svedese ci sono stati dei nomi femminili che sono andati ad alimentare la pingue lista dei 63 premi concessi dal 1901 (anno dell’istituzione del Nobel) alle donne e solo 27 dati a scienziate. Nell’epoca in cui si incoraggiano le ragazze a scegliere le cosiddette professioni Stem, per il Nobel 2023 hanno iniziato le scienziate, seppure in tandem con i colleghi maschi. La prima ad essere premiata quest’anno è stata Katalin Karikó, ungherese di nascita (classe 1955) che ha vinto, insieme all’americano Drew Weissman, 64 anni, il Premio Nobel per la Medicina. A seguirla, il giorno dopo, è stata Anne L’Huillier che, insieme agli scienziati Pierre Agostini e Ferenc Krausz, ha partecipato nella vittoria del Nobel per la Fisica, premio ricevuto per lo studio degli attosecondi, i segnali più brevi mai creati dall’uomo e che promettono di aprire la via a una nuova era dell’elettronica. Ma la notizia più bella, seppure piena di dolore, è arrivata ieri, da celebrare a Oslo, come aveva stabilito lo stesso fondatore del Premio che per il Nobel per la Pace ha indicato la capitale norvegese. A riceverlo quest’anno è stata l’attivista iraniana Narges Mohammadi, vicepresidente del Centro per la difesa dei diritti umani in Iran che da anni si batte contro la pena di morte e per i diritti delle donne. Narges Mohammadi, cinquantunenne, è stata arrestata a novembre del 2022 dopo che aveva partecipato a una commemorazione per le vittime della violenza e della repressione del 2019. Condannata in un processo sommario, durato poche ore, a 10 anni e nove mesi e a 70 frustate, è attualmente in prigione a Teheran. Dal carcere di Evin ha commentato: “Non smetterò mai di lottare per la realizzazione della democrazia, della libertà e dell’uguaglianza. Certamente il Premio Nobel per la Pace mi renderà più resiliente, determinata, fiduciosa ed entusiasta in questo percorso, e accelererà il mio ritmo. Resterò in Iran e continuerò il mio attivismo civile a fianco degli oppressi, anche se trascorrerò il resto della mia vita in prigione. A fianco delle coraggiose madri iraniane, continuerò a lottare contro l’incessante discriminazione, la tirannia e l’oppressione di genere del regime religioso finché le donne non saranno liberate”». Come esprimersi meglio? Ma dopo i tre riconoscimenti, ancora non si sapeva cosa sarebbe accaduto il lunedì successivo con il Nobel per l’Economia, il più dibattuto e controverso, per il quale si parlava solo di candidati uomini».

Ma ora è il caso di approfondire e di riprendere le singole figure, tracciandone in sintesi il percorso che le ha condotte a questo risultato di grande prestigio. Katalin Karikó è una biochimica che ha studiato nel suo Paese, presso l’Università di Seghedino, poi si è perfezionata, quindi si è trasferita negli Usa, di cui è diventata cittadina.

Katalin Karikó

Non fu semplice lasciare con la famiglia l’Ungheria per passare a Occidente della cortina di ferro, dopo una allettante offerta di lavoro a soli trent’anni; la scienziata ha raccontato che dovette vendere l’auto al mercato nero e nascondere il ricavato nell’orsacchiotto della figlia di due anni. A Filadelfia partecipò a uno studio su malati di Aids e sofferenti di altre patologie in cui si sperimentarono nuovi trattamenti con RNA a doppio filamento, all’epoca rivoluzionari. Dal 1990 in poi iniziarono ulteriori ricerche sulla terapia genica, passando all’Università della Pennsylvania, e la svolta avvenne nel 1997 quando arrivò il prof. Drew Weissman, immunologo, che condivise gli studi sull’mRNA. Insieme i due lavorarono e diffusero i risultati delle ricerche con una serie di articoli, giungendo anche a un brevetto presso la piccola azienda che avevano fondato. Una serie di vicissitudini di tipo economico, come spesso accade nel mondo farmaceutico, portò i colossi del settore a occuparsi dello stesso ambito; la professoressa si trasferì nuovamente e divenne vicepresidente dell’azienda tedesca BioNTec, continuando a studiare la terapia genica messaggera basata sull’RNA, le reazioni immunitarie indotte e le basi molecolari della tolleranza ischemica e il trattamento dell’ischemia cerebrale. Impossibile riportare l’elenco infinito dei riconoscimenti ricevuti da Karikó, specie fra il 2020 e il 2022, comprese lauree honoris causa, cittadinanze onorarie, dottorati; nel 2021 ha ottenuto pure una onorificenza spagnola prestigiosa: il premio Principe delle Asturie per la ricerca scientifica e tecnica. Giunge ora a coronamento di una carriera brillantissima, ma che si prospetta ancora lunga, il Nobel (condiviso con Weissman) così motivato: «per le loro scoperte sulle modifiche alle basi azotate dei nucleosidi che hanno reso possibile lo sviluppo di vaccini a mRNA efficaci contro COVID-19».

I due Nobel per la medicina Katalin Karikó e Drew Weissman

Il valore sale quest’anno a 11 milioni di corone svedesi (era di 10 milioni negli ultimi anni), al cambio odierno circa 950mila euro, la cifra più alta finora concessa. Ma non c’è prezzo per chi ha contribuito, grazie ai vaccini, a salvare milioni di vite durante la più grave pandemia registrata in tempi moderni. Degno corollario ai successi di scienziata, quello di mamma: sua figlia Susan Francia è due volte medaglia d’oro olimpica di canottaggio nell’8 con. A proposito del matrimonio, in occasione di un suo passaggio a Milano nel 2021 per la laurea ad honorem in Medicina, ebbe a dire che il marito, conosciuto da studente, l’ha sempre incoraggiata e seguita anche nei trasferimenti prima negli Usa, poi in Germania, e fece un appello alle giovani donne: «non dovete scegliere fra la carriera e avere dei figli, ma trovare l’uomo giusto, che tiene ai vostri sogni e supporta le vostre decisioni».

Anne L’Huillier, nata a Parigi nel 1958 e docente all’Università di Lund (Svezia), è la quinta donna a ricevere il Nobel per la fisica con la motivazione: «per i metodi sperimentali che generano impulsi di luce di un attosecondo per lo studio della dinamica degli elettroni nella materia».

Anne L’Huillier

Numerosi e importanti i riconoscimenti ottenuti fino a oggi, fra cui il premio Springer nel 2003, L’Oréal-Unesco nel 2011, la medaglia Pascal, la laurea honoris causa all’Università Marie e Pierre Curie, dove aveva studiato e si era laureata, fino ai prestigiosi: Max Born Award dall’Optical Society of America (Osa) per «il lavoro pionieristico nella scienza del laser ultraveloce e nella fisica degli attosecondi, realizzando e comprendendo la generazione di armoniche elevate e applicandola all’imaging risolto nel tempo del movimento degli elettroni negli atomi e nelle molecole» (nel 2021) e il premio Wolf lo scorso anno per «i contributi pionieristici alla scienza dei laser ultraveloci e alla fisica degli attosecondi». Una breve annotazione per spiegare di cosa si tratta, quando si parla di eventi che avvengono in modo velocissimo, per frazioni di secondo, che non riusciamo a percepire a occhio nudo. All’interno delle molecole, gli atomi si possono muovere in un milionesimo di miliardesimo di secondo (cioè in un “femtosecondo”) e per osservare questi cambiamenti si utilizzano rapidissimi impulsi di luce laser che però non permettono di visualizzare anche i movimenti degli elettroni, così rapidi da apparire sfocati in un femtosecondo. Gli elettroni cambiano infatti posizione ed energia a una velocità compresa tra uno e alcune centinaia di “attosecondi”, cioè di un miliardesimo di miliardesimo di secondo. Per studiare questi fenomeni si è dovuta creare una scienza a sé, detta appunto “fisica dell’attosecondo“, di cui L’Huillier è stata una fondatrice e pioniera. Il settore avrà sviluppi non solo nell’ambito della fisica, grazie a misurazioni precise e non basate soltanto sulla statistica, come perlopiù avveniva in passato, ma anche nei campi dell’elettronica e della medicina diagnostica.

Anne L’Huillier al lavoro nel suo laboratorio

Nel ricco curriculum della professoressa troviamo il perfezionamento post-laurea con un Master in fisica teorica e matematica e il dottorato al Centro francese di ricerca nucleare di Saclay, dove è stata impiegata dal 1986, mentre continuava gli studi a Los Angeles e a Göteborg. Nel 1992 ha partecipato a un esperimento all’Università di Lund, durante il quale era stato installato uno dei primi sistemi laser a stato solido allo zaffiro di titanio per impulsi a femtosecondi in Europa. Nel 1994 si è trasferita in Svezia, dove vive tuttora e insegna in quella stessa università. L’Huillier dirige un gruppo che studia i movimenti degli elettroni in tempo reale, utilizzati per comprendere le reazioni chimiche a livello atomico. Nel 2003, con il più piccolo impulso laser di 170 attosecondi, lei e il suo team hanno battuto il record mondiale. Quando si dice il destino… la scienziata infatti è stata membro del comitato Nobel per l’assegnazione dei premi nell’ambito della fisica, dal 2007 al 2015. Dal 2004 fa parte dell’Accademia reale svedese delle scienze con sede a Stoccolma, ma anche dell’Austrian Academy of Sciences e dell’Accademia dei Lincei, nonché dell’American Physical Society e dell’Optical Society of America, rispettivamente un’organizzazione volta a promuovere gli studi del settore e una casa editrice di riviste scientifiche altamente specializzate. Nel 2018 è stata eletta associata straniera all’Accademia nazionale delle scienze degli Usa; l’anno seguente le è stato conferito il Premio per gli aspetti fondamentali dell’elettronica e dell’ottica quantistica, indetto dalla European Physical Society.

Quando il nostro pensiero colmo di rispetto e gratitudine va a Narges Mohammadi, dobbiamo ricordare che la sua intera vita, fino da giovanissima, è stata dedicata alla lotta per la libertà del popolo iraniano.

Narges Mohammadi

Nata a Zanjan da una famiglia della classe media, il padre faceva il cuoco e il contadino, la madre era casalinga ma interessata alla politica, morta letteralmente di dolore due anni fa, parente di attivisti già in carcere dopo la rivoluzione islamica del 1979; un nipote fu giustiziato quando la figlia aveva 9 anni e ricorda ancora lo strazio alla notizia giunta per televisione. Narges ha studiato fisica all’Università di Qazvin, fatto assai comune in Iran dove il 70% delle ragazze segue facoltà scientifiche; qui fondò il gruppo degli “Studenti illuminati” e finì in carcere la prima volta nel 1998 per aver criticato il governo. Da allora è stata arrestata 13 volte, condannata 5 volte a un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate. Per il suo ideale da due anni non incontra il fratello né ha contatti con l’esterno, da quando le fu concesso un breve permesso per seri motivi di salute. Il marito Taghi Rahmani, anche lui dissidente che ha pagato con 14 anni di carcere le sue battaglie, vive in Francia con i figli, due gemelli diciassettenni, Ali e Kiana, che non la vedono da otto anni e non la sentono da venti mesi; tuttavia esprimono amore incondizionato e solidarietà per la mamma lontana e prigioniera, sottoposta a torture e violenze, costretta in una cella piccolissima dalla cui angusta finestra a malapena intravede quelle montagne che un tempo amava scalare. Il marito, saputo del Nobel, ha detto che quel riconoscimento va non solo a Narges, ma anche a tutti coloro, donne e uomini, che continuano a lottare in nome dello slogan “donna, vita, libertà“. L’attore in esilio Ashkan Khatibi ricorda all’Occidente che il movimento non si è spento, anche se i riflettori dei media si sono allontanati; di pochi giorni fa un altro atto violento contro una giovane, Armita Geravand, ferocemente picchiata e ridotta in coma, nell’anniversario del brutale assassinio di Mahsa Amini. Al Corriere della Sera (7.10.23) ha dichiarato: «La notizia del Nobel per la Pace a Narges Mohammadi resterà in cima alle cronache per qualche giorno. I politici e le organizzazioni per i diritti umani capiranno l’importanza di non smettere mai di occuparsi nelle società e nei media occidentali del movimento dei combattenti per la libertà iraniani, e di accettare la voce delle donne e degli uomini iraniani a favore delle libertà? Resterete al nostro fianco in questo difficile cammino, fino al giorno della libertà? Sarà la Storia a giudicare». Non si può dimenticare che già venti anni fa una iraniana fu premiata con il Nobel per la Pace: l’avvocata Shirin Ebadi, che squarciò il velo di silenzio e aprì gli occhi della politica internazionale sulla reale situazione del Paese. Nel 2000 aveva fondato l’ong Centro per la difesa dei diritti e Mohammadi ben presto entrò a farne parte come attivista e braccio destro di Ebadi, in esilio a Londra dal 2009 da dove si appellava al suo popolo perché manifestasse pacificamente, in quella che fu definita l’Onda verde.

Prigione di Evin, Teheran

Lei ha scelto la lontananza per poter far sentire più forte la sua voce, Narges si trova dentro una cella nel famigerato carcere di Evin, utilizzato dal 1972 per la detenzione delle/degli oppositori al regime e noto per le sistematiche violazioni dei diritti umani. A lei e a tutte le donne e gli uomini che in Iran si battono per le libertà civili e politiche giungano la nostra solidarietà e il nostro supporto.

Premiazione di Claudia Goldin

Lunedì 9 ottobre è arrivata a sorpresa la notizia della quarta premiata, in un campo a torto ritenuto poco affine al talento femminile: l’economia. L’onore è andato a Claudia Goldin, preceduta nel tempo solamente da Elinor Ostrom nel 2009 e da Esther Duflo nel 2019.

Storica economica ed economista del lavoro americana, attualmente è Professor of Economics all’Università di Harvard, oltre che co-direttrice del Gender in the Economy Study Group della Nber. In precedenza è stata Development of the American Economy della Nber dal 1989 al 2017. Il motivo della vittoria è «per aver fatto progredire la nostra comprensione degli esiti del mercato del lavoro femminile»; quindi non solo la premiata è donna, ma il riconoscimento va in modo specifico al suo ambito di studio. Si occupa infatti, come è stato precisato nelle motivazioni stilate dall’Accademia svedese delle Scienze, che assegna il premio insieme alla Banca di Svezia, di forza lavoro femminile, di gap salariale fra uomini e donne, di disuguaglianze di reddito, di cambiamenti tecnologici e di immigrazione, di generale sottorappresentazione del lavoro femminile a livello globale. La studiosa, indagando su un ampio periodo di tempo, ha dimostrato che la partecipazione femminile al mercato del lavoro non ha avuto una tendenza al rialzo, ma forma piuttosto una curva a U con una partecipazione delle donne sposate in calo nella transizione da una società agricola a una industriale all’inizio del XIX secolo, seguita da un aumento con la crescita del settore dei servizi all’inizio del XX secolo. Goldin ha spiegato questo modello come il risultato del cambiamento strutturale e dell’evoluzione delle norme sociali riguardanti le responsabilità femminili verso la famiglia. Nonostante la modernizzazione, la crescita economica e il maggiore inserimento delle donne nel mondo del lavoro durante il XX secolo, come ben sappiamo il divario retributivo non si è ancora colmato. Nella motivazione del premio si legge ancora che Goldin ha sollevato pure i problemi dell’istruzione, della differenza di scelte fra preparazione scolastica e mansioni lavorative, dell’esempio materno, della nascita del primo figlio, che per molte blocca in partenza la carriera; tutte queste riflessioni e conoscenze ci aiuteranno ad affrontare i problemi dalle origini e, di conseguenza, a superare gli ostacoli, come ha sottolineato Jakob Svennson, presidente del comitato del premio. Claudia Goldin è nata il 14 maggio 1946 a New York, insegna Economia all’Università di Harvard, prima donna a ottenere questo onore nel prestigioso ateneo; la sua pubblicazione più recente, ancora non tradotta in Italia, si intitola in modo significativo Career & Family: Women’s Century-Long Journey into Equity, edita nel 2021 dalla Princeton University Press, e affronta fra l’altro le conseguenze della pandemia sull’occupazione femminile. Ha studiato alla Cornell University e all’Università di Chicago, ma i suoi interessi giovanili erano rivolti prima all’archeologia, poi alla microbiologia; si dedicò quindi all’organizzazione industriale, grazie all’incontro con economisti come Gary Becker e Robert Fogel che la portò alla specializzazione nel 1972 con uno studio sugli effetti della schiavitù negli Usa. Ha insegnato in vari atenei americani: Princeton, Wisconsin-Madison, Pennsylvania, prima di approdare ad Harvard nel 1990. Fa parte di molte accademie ed è stata presidente dell’Economic History Association e dell’American Economic Association. Ha ottenuto alcuni importanti dottorati, fra cui quelli alle università di Lund, Zurigo, Rochester e si è occupata anche di editoria per riviste specializzate del settore su cui ha scritto numerosi articoli. Non si contano i suoi studi e le sue pubblicazioni che è impossibile enumerare, come pure i riconoscimenti che vanno dalla medaglia della Società per il progresso (2021) all’Erwin Plein Nemmers Prize (2020), dal Carolyn Shaw Bell Award (2005) al Visionary Award from the Council for Economic Education (2022). Il Nobel, che vale 11 milioni di corone svedesi, giunge dunque a coronamento di una carriera straordinaria che potrà dare ancora ottimi frutti e spunti di riflessione di cui, speriamo, si faccia tesoro. La studiosa è sposata con l’economista e collega Lawrence F.Katz; ama in modo particolare i suoi cani golden retriever, che possiede fino dal 1970, con cui spesso viene ritratta, tanto che si occupa personalmente di pet therapy in asili d’infanzia e partecipa a gare di obbedienza. Nel tempo libero si dedica insieme al marito al birdwatching e all’escursionismo nella natura. Davvero un bel personaggio e una grande donna, che conclude degnamente le premiazioni del 2023.

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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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