Attiviste e pioniere della carta stampata negli Usa. Margaret Fuller

Margaret Fuller (1810 — 1850), prima donna corrispondente dall’estero per un giornale statunitense, scelse l’Italia come patria adottiva perché, nella strenua resistenza della Repubblica romana del 1849, aveva ritrovato la passione per gli ideali della Rivoluzione americana che il suo Paese sembrava aver dimenticato. Le donne della classe media che nel corso dell’Ottocento si spostavano da una sponda all’altra dell’Atlantico e dal Nord al Sud dell’Europa erano numerose e molte di loro contribuirono alla causa dell’emancipazionismo e del femminismo. «Le capostipiti teoriche di un diverso assetto egualitario, sociale e politico, appartenevano all’area anglo — americana; i rapporti con il vecchio continente erano fitti, facevano la spola fra il loro Paese e quelli liberamente scelti per motivi culturali, politici, ideali…» ed è rilevante «la presenza incisiva delle personalità femminili di nazionalità straniera, che avevano scelto spontaneamente di risiedere in Italia, o erano sposate a italiani, o passato la vita facendo la spola fra luogo di nascita e seconda patria eletta…» (Fiorenza Taricone, postfazione a Margaret Fuller Corrispondente di Guerra, a cura di Mario Bannoni, Ministero della Cultura 2022, p. 590).

In tale contesto di scambio e circolazione di idee si può collocare l’incontro tra Margaret Fuller e la radical inglese, Harriet Martineau, geniale scrittrice, filosofa e studiosa di economia, che non permise che la sordità da cui era affetta le impedisse di realizzare i suoi obiettivi. Nel 1835, dopo essersi sollevata dal tracollo economico dell’azienda di famiglia, grazie all’attività di giornalista e scrittrice in patria, non ebbe bisogno di un uomo che l’accompagnasse quando, armata di cornetto acustico, partì con un’amica alla volta degli Stati Uniti per studiarne l’economia. Al ritorno in patria, avrebbe pubblicato Society in America. L’affinità tra Harriet Martineau e Margaret Fuller era evidente: «In comune avevano l’intraprendenza e la fiducia nelle proprie capacità» (Ivi p. 600), una cultura decisamente al di sopra dello standard consentito alle donne dell’epoca e la necessità di doversi guadagnare da vivere. Grazie a Martineau, più grande d’età e già affermata, Margaret Fuller conobbe il filosofo Ralph Waldo Emerson e aderì al Movimento trascendentalista. Fino ad allora aveva vissuto una vita consacrata allo studio.
Nata nel 1810 a Cambridgeport sobborgo di Boston, fin dall’infanzia il padre Timothy, avvocato e deputato, aveva curato la sua educazione esigendo da lei risultati eccellenti nello studio delle letterature, della filosofia, del pianoforte delle lingue classiche e di altre lingue moderne, tra cui l’italiano.
Da adulta avrebbe affidato ai suoi scritti le riflessioni sugli effetti di questa rigida educazione: l’isolamento rispetto alle coetanee, gli incubi, i mal di testa e i disturbi del sonno da cui era affetta, ma anche la fiducia incrollabile nelle sue facoltà intellettive e nelle sue capacità, il rispetto di se stessa come essere umano trasmessole dal padre che non l’aveva discriminata impartendole un’educazione dimezzata e sessista. Ritroviamo il rapporto con suo padre in un evidente riferimento alla Miranda shakespeariana: «Suo padre credeva fermamente nell’eguaglianza dei sessi. Lei era la sua primogenita… egli si rivolse a lei come a una mente viva e non come a un giocattolo… Esigeva da lei chiarezza di giudizio, coraggio, onore fedeltà, ovvero le virtù che gli appartenevano… Questa bambina fu quindi ben presto portata a sentirsi figlia dello spirito… Le era stato fornito un fiero senso di indipendenza… il mondo era libero per lei e lei lo abitava liberamente… Aveva preso la propria strada nessun uomo poteva ostacolarla» (M. Fuller, L’Uomo contro gli Uomini. La Donna contro le donne. La Grande Causa, ed digitale).

Dopo il 1825 frequentò una scuola privata, ebbe rapporti con giovani intellettuali di Harvard (sarà la prima donna a essere ammessa alla biblioteca dell’Università), progettò un viaggio in Europa a cui dovette rinunciare per la morte improvvisa del padre nel 1835, quando si fece carico del mantenimento della numerosa famiglia. Incoraggiata da Martineau, lavorò come giornalista. Svolse l’attività di insegnante prima a Boston nella scuola di Bronson Alcott (padre di Louise May) e poi a Providence. Pubblicò saggi tradotti dal tedesco e dal 1840 al 1842 assunse la direzione di The Dial, la rivista del movimento trascendentalista. «A Boston inventa le famose “Conversazioni per signore”, che si tengono nella libreria di Elisabeth Peabody… lezioni a pagamento su temi culturali di vario genere, ma in realtà insegna alle bostoniane a pensare. Per cinque anni saranno l’unica fonte di sostentamento per lei e per la famiglia» (Mariastella Lippolis, Una pioniera nella terra degli uomini in M. Fuller Op. cit).
Nel 1843 mentre viaggiava verso i Grandi Laghi, pubblicò su The Dial il saggio The Great Lawsuit. Man versus men. Woman versus women, che nel 1845 risistemò in uno scritto dal titolo Women in the Nineteenth Century. Considerato il primo testo femminista americano, assimilava la condizione femminile a quella della schiavitù e inquadrava originalmente l’emancipazione entro il principio trascendentalista dell’autorealizzazione dell’intera umanità liberata, superando il rigido binarismo delle concezioni del maschile e del femminile: «Maschile e femminile rappresentano i due lati del grande dualismo radicale. Ma in realtà essi si fondono di continuo l’uno nell’altro. Ciò che è fluido si solidifica, ciò che è solido si fluidifica. Non esiste un uomo completamente maschile né una donna completamente femminile». Credeva nel ruolo di guida morale degli Stati Uniti perché «Non è comunque invano che si è proclamato: “Tutti gli uomini nascono liberi e uguali”… è inevitabile che una libertà collettiva, pari a quella ottenuta per la nazione, corrisponda a un’uguale libertà per ogni suo membro». 

Dopo aver celebrato donne illustri della storia e della contemporaneità come Mary Wallstonecraft, George Sand, M.me de Stael e la scienziata Mary Sommerville si chiedeva «si impedirà ancora a una giovane ragazza di conseguire la conoscenza delle scienze fisiche, se essa lo desidera?» (M. Fuller, Op. cit.). Rappresentava i casi di sopraffazione e le ingiustizie dovute all’asimmetria fra i sessi nel matrimonio in cui «la donna appartiene all’uomo…» e dichiarava che tra le relazioni quella materna era solo una delle infinite possibili relazioni ed esperienze che l’anima libera è chiamata a scegliere. Solo le donne avrebbero potuto rappresentare se stesse: «vorrei che la donna mettesse da parte qualsiasi pensiero di essere istruita e guidata dagli uomini. Vorrei che essa si dedicasse al Sole, come la ragazza indiana al sole della verità, evitando di intraprendere cammini che non siano rischiarati dai suoi raggi» (M.Fuller, Op. cit.).
Il saggio, che nel 1848 sarà alla base della Convenzione di Seneca Falls, ebbe un grande e inatteso successo, ma evidentemente era troppo avanzato anche per gli stessi compagni del Club Trascendentalista, «i suoi esponenti e amici fraterni, Emerson, Thoreau, Hawthorne non apprezzano e cominciano a vedere in lei un personaggio scomodo da esorcizzare anche con l’arma dell’ironia» (M. Lippolis, in M. Fuller, Op cit).

 Summer on the lakes pubblicato nel 1843 è il resoconto del suo viaggio nel nord del Paese. Un testo molto complesso fatto di prosa, poesia, ampie digressioni su paesaggi, giudizi e riflessioni personali, riferimenti ad altri scritti e racconti di viaggio su cui, prima della partenza si era documentata. Aveva trovato una realtà in cui alle popolazioni native scacciate con la violenza e con l’inganno si erano sostituite famiglie di coloni in cerca di fortuna. «Come dovevano essere felici gli indiani qui! Non è passato molto tempo da quando sono stati scacciati e il terreno, sopra e sotto è pieno delle loro tracce» (M. Fuller, Estate sui laghi, a cura di Marco Catucci, Robin Edizioni, Torino 2022, p.121). Esplorando il territorio a contatto con la natura, cercava sempre un’esperienza spirituale profonda che le facesse cogliere la dimensione dell’infinito e dell’eternità: «Mentre cavalcavo fino alle vicinanze delle cascate, un solenne timore reverenziale mi invase impercettibilmente, e il suono profondo delle rapide sempre frettolose preparò la mia mente alle elevate emozioni che avrei provato… vidi mezzo chilometro di rapide impetuose e precipitose, e sentii il loro ruggito eterno, venni sopraffatta dalle mie emozioni, una sensazione di soffocamento mi salì alla gola, un brivido mi corse nelle vene…» (Ivi p.86). Un atteggiamento rispettoso e consapevole della sacralità della natura che la faceva sentire in sintonia con le popolazioni native diseredate, con cui cercava l’approccio diretto, e per quanto riconoscesse che «il potere del destino è con l’uomo bianco…», condannava il gretto utilitarismo senza scrupoli di chi sfruttava il territorio mirando ad arricchirsi.

Molto lo spazio dedicato all’osservazione della condizione femminile nei due gruppi e, pur rilevando la trasversale subalternità, trovava che le indiane godessero di una maggiore libertà rispetto alle donne bianche. Nel 1846 partì per l’Europa come inviata del New York Daily Tribune. Fu in Scozia, a Londra e in Francia entrando in contatto con esponenti di spicco del pensiero politico e del mondo intellettuale letterario e artistico, fra cui Thomas Carlisle, William Wordsworth, Mazzini, George Sand e Adam Mickiewitz. In Mazzini, in cui vedeva l’incarnazione dell’Uomo rappresentativo secondo il concetto di Emerson, «Margaret ammira la lungimiranza politica dell’intellettuale che non ha mai smesso di sperare nell’emancipazione del suo popolo e che sarà compreso in pieno, soltanto in un tempo futuro poiché “(…) ha una mente di gran lunga in anticipo rispetto ai suoi tempi, e in particolare rispetto alla sua nazione”» (Franco Tamassia, in Margaret Fuller Corrispondente di Guerra, a cura di Mario Bannoni, Min della Cultura 2022, p.43). Lo rivedrà nei giorni esaltanti e convulsi della Repubblica romana.
Dall’Italia tra il 1847 e il 1850 inviò venticinque reportage al suo giornale, uno al People’s Journal di Londra e uno alla rivista The United States Magazine and Democratic Review di Washington D.C. apponendo una stella in luogo della sua firma, così come era solita fare negli articoli scritti in patria.

Presentando la raccolta dei reportage il curatore Mario Bannoni racconta che per inviare puntualmente i dispacci oltroceano gravando meno possibile sulle spese di spedizione, Margaret Fuller usava la tecnica della scrittura incrociata e, quando poteva, invece di avvalersi del pacchetto a vapore (piroscafo postale) affidava i suoi manoscritti a persone di fiducia dirette negli Stati Uniti. Non titolava i suoi pezzi «come invece faceva Horace Greely sulla Tribune. L’editore creò una specie di rubrica all’interno del suo quotidiano che chiamò Things and Thoughts in Europe, e all’interno di essa inserì via via gli articoli che arrivavano» (M. Bannoni in M Fuller, Op.cit. p.27).
Nei suoi reportage le informazioni sui fatti più rilevanti della politica erano corredate da commenti partecipi e infiammati a favore dei fermenti democratici che attraversavano la penisola, e, in accordo con il suo stile narrativo, gli argomenti più vari con notazioni sul clima, l’arte, il paesaggio, le curiosità e le scene di colore locale, le cronache di eventi, feste religiose e profane trovavano posto entro una trama di citazioni colte, giudizi, riflessioni filosofiche e analisi  storiche e politiche. «Matrice protestante e americanità» la accomunavano al suo pubblico. «Per la protestante Fuller molti aspetti, tradizioni e atteggiamenti della Chiesa cattolica risultano inaccettabili… Inconcepibile… il potere temporale della Chiesa… “Disgustosamente abietto”… il bacio del piede al pontefice… Un inganno abominevole… l’adorazione di una scura effige di legno, il Bambino dell’Ara Coeli… “ Bruciate la vostra bambola di legno!” (M. Fuller, Un’americana a Roma a cura di Rosella Mamoli Zorzi, Ed Studio Tesi, Pordenone 1986, p XVI).

Tuttavia riuscì ad aprirsi a questa cultura così diversa dalla sua, talvolta anche aderendovi. L’America intesa come faro di civiltà destinata a diffondere il diritto dei popoli continuava a rimanere la lente attraverso cui guardava agli eventi europei, nella speranza che gli ideali sopiti o traditi nel suo Paese potessero risvegliarsi: «Il mio paese oggi è corrotto dalla prosperità, istupidito dalla brama di guadagno, macchiato dal perdurante crimine della schiavitù, disonorato da una guerra ingiusta… In Europa si dibatte uno spirito più nobile… è questo ciò che per me rappresenta la mia America» (M. Fuller Corrispondente di Guerra, p. 304).
Nel frattempo visse esperienze personali estremamente coinvolgenti e probabilmente inaspettate: la storia d’amore con il marchese Angelo Ossoli, mazziniano arruolato nella Guardia Civica, e la nascita del figlio Angelo. Eventi che fino a quando fu possibile mantenne segreti per l’ostilità della famiglia di lui e per evitare l’ostracismo sociale in cui poteva incorrere come donna indipendente, con un partner più giovane e un figlio nato fuori del matrimonio. Anche fra alcuni suoi amici l’unione fu “chiacchierata” e sembrerebbe che alcuni componenti del gruppo trascendentalista, imbarazzati da questa storia, volessero scoraggiare il suo ritorno in patria. In realtà l’anticonformismo di Margaret Fuller non era proprio ben visto e non si sono trovati documenti attestanti il matrimonio della coppia. Ad ogni modo l’unione con Angelo Ossoli, che si rivelò padre responsabile e partner collaborativo, fu felice. Interrotto il suo lavoro per alcuni mesi durante la gravidanza fu prima all’Aquila e poi a Rieti dove, trascorsi alcuni mesi dalla nascita del bambino, lo affidò alle cure di una balia e tornò a Roma nei giorni caotici dell’assassinio di Pellegrino Rossi e della fuga del papa a Gaeta di cui riferì al giornale in una corrispondenza del 2 dicembre 1848. Seguirono l’apertura dell’Assemblea Costituente, e la proclamazione della Repubblica Romana, l’arrivo di Mazzini e il Triumvirato. Bannoni riferisce che a pochi giorni dal suo arrivo Mazzini in persona si recò a trovarla. «Margaret non potè fare a meno di esclamare… “Non è sorprendente, Joseph, che soltanto due anni fa avevate pensato di tornare in Italia travestito insieme a noi?”… “Non è grandioso il vostro rientro in una Roma repubblicana e da cittadino romano!?”» (Ivi p. 397). Ma la Repubblica di cui aveva cominciato anche a scrivere la storia aveva i giorni contati e, dopo la battaglia del Gianicolo, in cui i francesi furono momentaneamente respinti da Garibaldi, Margaret Fuller si occupò dell’assistenza ai feriti all’ospedale Fatebenefratelli. In uno dei suoi reportage riferì del generoso intervento delle donne e tracciò un ritratto appassionato di Cristina di Belgioioso, direttrice del Comitato di soccorso per i feriti. Caduta la Repubblica, dopo un periodo trascorso a Firenze in difficoltà economiche, gli Ossoli decisero di partire per gli Stati Uniti dove Margaret avrebbe potuto pubblicare la sua Storia della Repubblica romana e per risparmiare si imbarcarono su un mercantile. Il viaggio, più lungo del previsto, si concluse tragicamente perché l’intera famiglia trovò la morte nel naufragio della nave, che si incagliò proprio di fronte alla costa americana. Fu recuperato solo il corpo del bambino. Ossoli e Margaret sparirono nella tempesta e con loro il manoscritto cercato invano tra i relitti restituiti dal mare.

Per approfondire:

Margaret Fuller, L’Uomo contro gli Uomini. La Donna contro le donne. La Grande Causa, Trad. di Giuseppe Sofo, Ortica Editrice, Soc. Coop. Aprilia, ed digitale. WWW.Orticaeditrice.it.

Margaret Fuller, Corrispondente di Guerra, a cura di Mario Bannoni, Min della Cultura 2022.

Margaret Fuller, Un’americana a Roma, a cura di Rosella Mamoli Zorzi, Ed Studio Tesi, Pordenone 1986.

Margaret Fuller, Estate sui laghi, a cura di Marco Catucci, Robin Edizioni, Torino 2022.

Giulietta Raccanelli, Margaret Fuller in https://www.enciclopediadelledonne.it/edd.nsf/biografie/margaret-fuller.

Laura Candiani, Giornalista americana e patriota italiana, in https://vitaminevaganti.com/?s=.

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Articolo di Rossana Laterza

Insegnante di Italiano e Storia in pensione. Con il gruppo Toponomastica femminile ha curato progetti di genere nella scuola superiore e collaborato a biografie di donne di valore dimenticate.

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