Israele, l’industria delle armi, il ruolo delle Università

In tutto il mondo e non solo in Italia, docenti e studenti universitari/e e delle scuole superiori manifestano e protestano contro quello che, il 26 gennaio 2024, è stato definito dalla Corte internazionale di Giustizia dell’Onu un plausibile genocidio da parte del Governo di Israele nei confronti del popolo palestinese, in risposta alla strage di civili perpetrata da Hamas il 7 ottobre scorso. Le mobilitazioni giovanili insistono sulla violazione del diritto internazionale e umanitario da parte del Governo di Israele. Tuttavia, nonostante la libertà accademica sia garantita dal diritto internazionale, violenti attacchi, definiti criminalizzazione del dissenso, sono in atto in varie parti del mondonei confronti di questa libertà fondamentale.

La libertà accademica è un diritto sancito dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani e da altri Trattati e Convenzioni, tra cui il Patto internazionale dei diritti economici sociali e culturali. Si configura, per gli Stati-parte che hanno sottoscritto questi documenti internazionali, come il diritto di studenti e insegnanti a «ricevere ed impartire informazioni liberamente» oltre che in specifici obblighi, non solo di proteggere questo diritto, definito Academic freedom, ma anche di promuoverlo. A questo la nostra lungimirante Costituzione ha dedicato gli articoli 9 comma 1, 33 co. 1 e 33 co.6: a tutelare l’autonomia didattica, la libera espressione culturale dei e delle docenti e la libertà della scienza e dell’arte, ribadendo il principio con l’articolo 21 che salvaguarda il diritto di ciascuna persona di manifestare il proprio pensiero liberamente, condizione essenziale per lo sviluppo di una comunità democratica. La libertà accademica però, nel periodo che stiamo attraversando è fortemente segnata dalla consapevolezza dei legami fortissimi esistenti tra militarizzazione dei saperi, ricerca scientifica e comunicazione della scienza e del sapere. Di questo si parla pochissimo eppure è un tema cruciale sia per le nostre democrazie, che si stanno sempre più riarmando, sia per le giovani generazioni che avrebbero il diritto di godere del diritto di ricercare e apprendere in modo libero e non condizionato. Questa volta per affrontare l’argomento vengono in soccorso cinque voci femminili, intervenute al Seminario Israele, l’industria delle armi e il ruolo delle Università, tenutosi all’Università L’Orientale di Napoli il 23 aprile scorso, durante il quale sono stati toccati temi delicatissimi, sottovalutati o addirittura taciuti dai media generalisti: il ruolo dell’industria bellica italiana nella fornitura di armi a Israele, il dual use degli strumenti e della conoscenza accademiche, altrimenti definito come “militarizzazione delle Università” e la funzione dell’università israeliana nel sistema di occupazione militare dei territori palestinesi. Questioni spinose per un Paese filo atlantista come il nostro, dove ogni critica allo Stato di Israele è suscettibile di cadere nella trappola dell’antisemitismo. Il seminario è stato fermamente voluto e organizzato dalle docenti Sara Borrillo e Daniela Pioppi dell’Orientale in collaborazione con la Società italiana di Studi sul Medio Oriente – SeSaMO. Sono intervenute Margherita Grazioli del Gran Sasso Science Institute, Nurit Peled-el Hanan della Hebrew University of Jerusalem e Maria Chiara Rioli dell’Università di Modena e Reggio Emilia, Socia della Sis, che ha moderato l’incontro in modo esemplare.

Sul dual use e sulla militarizzazione del sapere e della ricerca l’intervento della ricercatrice in Geografia economica e politica Margherita Grazioli è stato davvero illuminante.
La docente è una delle firmatarie della lettera aperta inviata da alcuni/e docenti al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale italiano relativamente alla sospensione dell’accordo di cooperazione industriale scientifica e tecnologica tra
Italia e Israele per quanto riguarda il rischio di dual use e di violazione del diritto internazionale e umanitario.
Come ha sottolineato Grazioli, l’uso degli strumenti della ricerca scientifica da parte degli Stati e delle industrie militari (dual use) è stato oggetto di dibattito fin dai primi del Novecento, per esempio a proposito della iprite usata dallo Stato fascista italiano nei confronti dei popoli colonizzati, tema recentemente riportato all’attenzione del vasto pubblico dal film Oppenheimer. Il grande disinvestimento dai Fondi ordinari per la Ricerca, fatto dai diversi governi che si sono alternati alla guida del nostro Paese, ha favorito la forte permeabilità del sistema universitario a soggetti privati, tra cui le industrie belliche, che mettono a disposizione delle Università capitali incommensurabili e risorse ingenti, naturalmente per avere qualcosa in cambio.
Quasi senza che ce ne accorgessimo le Università (e in parte anche le scuole secondarie di secondo grado con i partenariati per Pcto, Alternanza Scuola Lavoro e stage non retribuiti) si sono ontologicamente ed epistemologicamente trasformate. «È in atto da tempo nelle Università una vera e propria coproduzione del sapere tra imprese militari e degli armamenti e mondo accademico che ha portato a una compartecipazione alla militarizzazione dello spazio pubblico e alla criminalizzazione di fenomeni come quello delle migrazioni — ha ricordato Grazioli —. In Italia il dibattito su dove finisce il sapere che producono le università è abbastanza recente rispetto ad altri Paesi e ha preso spunto da una vicenda che si è verificata nel 2021 al Politecnico di Torino».


Questo ente accademico ha stipulato un accordo con Frontex, l’agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera incaricata della vigilanza e della sorveglianza sui migranti. In base all’accordo il Politecnico di Torino si sarebbe impegnato a fornire delle mappe all’Agenzia. Alcuni/e docenti e studenti si sono chiesti/e, sollevando il problema al Senato Accademico, se fornire mappe a Frontex, che ha come mission il pattugliamento e la sorveglianza dei confini significasse di fatto impedire la libera circolazione delle persone, individuare le rotte su cui il popolo migrante si sposta e in ultima analisi contribuire attivamente al respingimento dei e delle migranti. Nonostante ciò l’anno seguente il Senato dell’Ateneo ha confermato l’accordo, accompagnandolo con un generico intendimento a che le mappe non venissero utilizzate a quello scopo. A quale altro scopo se non quello del pattugliamento e del respingimento dei migranti Frontex avrebbe potuto utilizzare le mappe fornite dal Politecnico?

Da allora nei singoli atenei è iniziato un lavoro certosino di attenzione, vigilanza e monitoraggio, in collaborazione con l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle Università (https://osservatorionomilscuola.com/) e riportato da ultimo nel libro di Michele Lancione Università e militarizzazione edito da Eris. In Italia Leonardo, ex Finmeccanica, tra i più grandi produttori di armi e terzo esportatore di armamenti in Israele, ha messo in atto e finanziato veri e propri percorsi di studio condivisi e curricula di studio, coinvolgendo Rettrici e Rettori in Fondazioni come Med Or, implicate con la società di armamenti. Alcuni esempi: il Master del Politecnico di Torino in Operational Excellent Management in cui Leonardo si impegna ad assumere studenti come apprendisti/e ancora prima dell’inizio del Master, l’accordo tra l’Università di Bari e l’Aeronautica militare per un Master in Diritto e tecnica dell’aerospazio, tirocini alla Lumsa di Roma in collaborazione con la Nato, borse di studio finanziate da Leonardo all’Università di Genova per corsi in Cybersecurity e Cyberdefense. Questo sistema, ormai diffuso su tutto il territorio, produce tecnologia e nello stesso tempo avvantaggia le imprese di armamenti. Si sa per certo come nelle università che incentivano le Stem Leonardo faccia scouting e recruitment di laureandi e laureande, di cui riesce ad avere in anteprima le tesi di laurea.
Israele è maestro nel coinvolgimento delle Università nella produzione di nuove tecnologie. La sinergia tra industria delle armi e mondo accademico ha portato alla costruzione di droni che hanno ucciso moltissime persone civili: il 76% degli edifici scolastici palestinesi è stato distrutto e 5 Università palestinesi su 6 sono state rase al suolo.
Due recenti inchieste israeliane hanno rivelato l’uso massiccio dell’intelligenza artificiale da parte delle forze armate di Tel Aviv nella loro terribile operazione militare a Gaza. Il primo sistema utilizzato si chiama “The Gospel” ed è in grado di elaborare milioni di dati per identificare molto velocemente edifici e altre strutture in cui potrebbero operare i miliziani di Hamas, trasformandoli in bersagli. Il secondo, denominato “Lavender”, processando moltissimi dati, intercetta sospetti membri dell’ala militare di Hamas e della Jihad Islamica. Secondo quanto riportato da Roberto Iannuzzi in Intelligence for the people del 26 aprile scorso «il programma stila così una graduatoria di probabile appartenenza, che va da 1 a 100. Gli individui che figurano ai vertici di tale classifica vengono sorvegliati da un sistema chiamato “Dov’è papà?”, il quale invia un segnale quando il “sospettato” rientra a casa, dove viene bombardato (insieme alla sua famiglia)» e spesso anche ad altre persone innocenti.

Il libro di Antony Loewenstein, Laboratorio Palestina, è una lettura fondamentale per comprendere il coinvolgimento di Israele nel commercio di armi sofisticate in moltissimi conflitti nel mondo. La parte più interessante del seminario è però stata quella della professoressa israeliana Nurit Peled-el Hanan che, partendo da uno studio accurato dei manuali scolastici, ha evidenziato l’opera di indottrinamento antipalestinese degli/delle studenti dei diversi ordini e gradi della scuola israeliana e la conseguente sistematica criminalizzazione del popolo palestinese. In fondo all’articolo il link (per poter apprezzare la profondità dell’intervento della prof. Nurit che in parte riporta quanto letto in alcuni approfondimenti del volume di Limes Israele contro Israele recensito qui. (https://vitaminevaganti.com/2023/05/13/israele-contro-israele-il-terzo-numero-di-limes-2023/). Nella sua relazione la docente, filologa, traduttrice e attivista israeliana, insegnante di lingua ed educazione all’Università Ebrea di Gerusalemme, co-premiata nel 2001 dal Parlamento europeo col Premio Sakharov per la libertà di pensiero e autrice di libri fondamentali come Palestine in Israeli School Books: Ideology and Propaganda in Education, pubblicato nel Regno Unito nell’aprile 2012, ha ricordato, dimostrando grande ammirazione per loro, la posizione degli ebrei ortodossi che rifiutano di prestare il servizio militare.
Un parterre di donne, quello del seminario a L’Orientale di Napoli, che merita di essere ascoltato per poter prendere posizioni consapevoli e per attivarsi affinché le ripetute violazioni del diritto internazionale e umanitario da parte dello Stato di Israele contro il popolo palestinese non costituiscano un precedente per altri Stati e siano punite dalla comunità internazionale. Per ora la geopolitica ha la meglio sul diritto, ma confidiamo nell’impegno e nella mobilitazione delle giovani generazioni che hanno saputo portare all’attenzione del pubblico tematiche tanto importanti, stigmatizzandole e mobilitandosi in tutto il mondo. L’intervento della giovane italo-palestinese al termine del seminario, che ha promesso una serie di nuove iniziative, fa ben sperare, così come l’impegno delle altre persone a organizzare nuovi webinar su queste tematiche. Il seminario Israele, l’industria delle armi e il ruolo delle Università può essere ascoltato a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=XcUKv6HbAP4

In copertina: proteste pro Palestina.

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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la “e” minuscola e una Camminatrice con la “C” maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Procuratrice legale per caso, docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.

3 commenti

  1. chiarissima prima di tutto, come al solito. Poi ho finalmente capito la sostanza del.legame, orribile non solo questa volta, tra università/ ricerca e guerra, perché tale è. Ho sempre pensato e desiderato e voluto che l’università, la ricerca fosse il tempio del oensiero, della cultura e dunque della libertà. Questo scritto mi dice che non è così o meglio che non è sempre così. Viene tristezza . Grazie comunque. L’orientamento e Napoli mi sono poi care.

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  2. chiarissima prima di tutto, come al solito. Poi ho finalmente capito la sostanza del.legame, orribile non solo questa volta, tra università/ ricerca e guerra, perché tale è. Ho sempre pensato e desiderato e voluto che l’università, la ricerca fosse il tempio del oensiero, della cultura e dunque della libertà. Questo scritto mi dice che non è così o meglio che non è sempre così. Viene tristezza . Grazie comunque. L’orientamento e Napoli mi sono poi care.

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