Interludio di una svedese confinata in Sardegna

Come accade che una delle più interessanti e impegnate scrittrici svedesi del XX secolo trascorra ad Alghero un periodo della sua vita, in qualità di confinata? Ce lo racconta un libro bellissimo, dalla lettura estremamente piacevole che ripercorre le sue vicende personali, ma è anche uno spaccato di storia novecentesca e la descrizione di un mondo lontanissimo, eppure tanto affascinante e amato: la Sardegna.

Amelie Posse Brazdova era nata l’11 febbraio 1884, primogenita di tre figli, in una famiglia colta e illustre da parte della madre Gunhild (intellettuale, artista, appassionata di canto) e del padre Fredrik (costruttore di ferrovie). Fin da piccola segue canto, musica, arte, impara le lingue; anche se di salute cagionevole a causa di problemi cardiaci, febbri reumatiche e dolori alle articolazioni, diventa una nuotatrice formidabile. Alla morte del padre, la famiglia si trasferisce a Lund, dove Amelie studia anche l’italiano. A venti anni sposa Andreas Bjerre, ma il matrimonio fallisce molto presto.

Dopo aver studiato pittura a Copenaghen, Amelie si trasferisce a Roma, dove vive in via della Scrofa. Durante questo soggiorno tanto vagheggiato in Italia, incontra il pittore boemo Oki (Oskar) Bràzda (nato nel 1887) e ne diventata la modella ideale: Amelie appare robusta, imponente, con dei lineamenti marcati, un bel sorriso, occhi azzurri, capelli mossi biondi e una carnagione pallida. I due si sposano in Campidoglio, nel 1915. Fra il 1916 e il 17 nascono i figli Slavo e Jan.

Gli anni più interessanti della vita di Amelie – almeno per lo stretto rapporto con l’Italia – sono quelli della Prima guerra mondiale quando la coppia condivide la causa antiaustriaca, indipendentista, democratica dei cechi e degli slovacchi, tanto che Amelie diviene amica personale dei leader Benes e Mazaryk. Su quest’epoca scrive un’opera straordinaria, una sorta di diario a quindici anni dagli eventi, pubblicata in Italia con il titolo Interludio di Sardegna (il titolo originale svedese suona all’incirca L’incomparabile prigionia, e poi si capirà perché). Il diario è diviso praticamente in due parti: nella prima viene rievocato il mondo intellettuale di molti artisti squattrinati residenti a Roma, negli alloggi della villa Strohl-Fern; qui conducono un’esistenza spensierata, allegra, con le modelle che talvolta ne diventano mogli, fra abitazioni fatiscenti e incuria, in un meraviglioso parco con alberi da frutto, rose e pini, senza convenzioni, fra giochi e scherzi ai danni del burbero proprietario alsaziano. Il gruppo eterogeneo di pittori lavora anche con impegno e una mostra nel 1983 ne evidenzia gli importanti risultati. È il momento dell’interventismo e, in quel clima di tensione, per non essere confusi con i nemici dell’Italia, Amelie e i suoi variegati amici portano all’occhiello i colori slavi o svedesi. Dopo il 24 maggio 1915 tuttavia la posizione degli stranieri si fa sempre più difficile, tanto che l’8 luglio arriva l’ordine d’internamento in Sardegna; come unico privilegio potranno scegliere la località. Su consiglio dell’amica Grazia Deledda, la scelta ricade sulla cittadina di Alghero, dall’ottimo clima, affacciata su un mare incontaminato e circondata da bastioni, ma anche suggestiva per la sua storia complessa e il suo antico legame con la cultura catalana. Di questo soggiorno forzato in terra sarda parla gran parte del libro in questione.

Dopo circa un anno di “incomparabile prigionia” e molte promesse e illusioni, il 23 luglio 1916 la coppia può finalmente ripartire da Golfo Aranci alla volta di Civitavecchia e stabilirsi di nuovo a Roma, divenuta nel frattempo meno internazionale e più italiana. Peccato che del periodo algherese non rimangano tracce del lavoro di Oki (numerosi ritratti) e tutta la documentazione sia andata distrutta per un’invasione di termiti nella prefettura di Sassari, negli anni Cinquanta. Dal 1925 la coppia con i figli si trasferisce in una proprietà in Cecoslovacchia, vicino alla frontiera con la Germania; dopo il ’38, a causa dell’occupazione tedesca, dell’insicurezza generale e del loro palese sentimento antinazista, i coniugi lasciano Lickov, ma Oki viene arrestato e i beni confiscati; Amelie torna in Svezia per agire attivamente a favore dei profughi di ogni nazione e riesce a salvare migliaia di ebrei, mentre continua la sua attività di scrittrice dedicata a rievocare gli anni vissuti nel castello (Costruire, non demolire -1942) e a diffondere le iniziative del “Club del martedì” da lei fondato (Ora si può dire di più-1949).

Gli anni della Seconda guerra mondiale portano Amelie a scrivere e pubblicare molto: Al principio fu la luce (’40) sulla sua infanzia, Intorno all’albero della conoscenza (’46), L’albero della conoscenza in fiore (’46), la raccolta di articoli e conferenze Tra le battaglie (’44). Nel ’46 la famiglia rientra nel castello di Lickov, ma la storia sta per cambiare nuovamente: mentre Amelie si trova a Stoccolma, il colpo di stato comunista li priva per la seconda volta dei loro beni e Amelie sceglie la Svezia; questi eventi drammatici sono narrati nel libro Quando su Praga calò la cortina di ferro (pubblicato postumo e incompiuto nel ’68). Da questo momento Amelie e il marito vivono lontani e separati, senza rivedersi più, ma la scrittrice prosegue la sua battaglia politica e lavora fino alla morte (3-3-1957) con la resistenza ceca, convinta che le idee e le azioni di Mazaryk non potessero morire.

Amelie non visitò mai più la Sardegna, ma fece un viaggio in Italia negli anni Cinquanta; sulle sue esperienze italiane pubblicò anche La libertà multicolore (’36) e Il parco delle rimembranze (’54), certo è, però, che la lettura di Interludio di Sardegna (Stoccolma-1931) – dopo un secolo dagli eventi narrati – è ancora piacevolissima perché l’opera è scorrevole, persino divertente, nonostante le numerose privazioni e la scarsa libertà di azione, e lo sguardo di una donna colta, svedese, senza pregiudizi, è assai illuminante. Lo si potrebbe ritenere uno spaccato culturale e sociologico su un mondo primitivo, ma affascinante, su cui Amelie si sofferma con interesse e curiosità, descrivendo splendori e miserie. I capitoli sardi si susseguono, a cominciare dal IV in cui Amelie ci parla del viaggio e dell’arrivo, della “berritta”, degli abiti maschili e femminili, dei palazzi fatiscenti, delle pulci onnipresenti e della serva con i piedi talmente sporchi che il nero incrostato era stato scambiato per un paio di calzini di fitta lana.  Racconta del ritratto fatto da Oki al vescovo e del gentile dono di enormi prosciutti e gigantesche forme di caciocavallo; parla dei vasi smaltati tanto belli in cui mettere delle piante fiorite, peccato non sappia (nel divertimento generale degli algheresi) che sono… vasi da notte; si stupisce delle varietà incredibili di pesce ma nessuno mangia le ostriche! E poi nota le raffinate forme di artigianato (le cassapanche, le ceste, i tessuti), riflette sulla musica e il canto popolare, riferisce usanze per lei sconvolgenti (come il lutto che è quasi una morte per le vedove sopravvissute), i corteggiamenti e le serenate notturne, i riti religiosi, la longevità di certe famiglie patriarcali in cui possono convivere persino sei generazioni (racconta di una donna che a trentatré anni aveva diciassette figli e cinque nipoti, allattati indifferentemente da chi era disponibile al momento). Amelie è divertita dal fatto che i suoi capelli facciano scalpore: alcuni le chiedono di scioglierli e di poterli toccare, per verificare la loro consistenza setosa e il loro incredibile colore dorato, ma anche la sua pancia in gravidanza è oggetto di attenzioni e riti scaramantici; solleva stupore e scandalo la sua passione per il nuoto che in varie occasioni la mette nei guai. E poi naturalmente le gite in barca, i nuraghi, l’entroterra sassarese, il mare sterminato, i profumi, perfino il salvataggio e successivo allevamento di un gabbiano riottoso e in contrasto con la bella gattina bianca. Purtroppo però la guerra talvolta riappare con la sua crudeltà: il campo di prigionia per bulgari, polacchi, turchi, tedeschi all’Asinara in condizioni disperate (nonostante la dedizione di medici, infermieri, guardie e di un gruppo di generosi frati), le malattie (la malaria e le epidemie di tifo e di colera, persino 800 casi di lebbra), la mancanza di libertà, la situazione igienico-sanitaria arretrata (quando si avvicina il parto Amelie si preoccupa e addirittura vagheggia una fuga alle Baleari). Un episodio per tutti dà l’idea della drammaticità che si stempera nel concreto realismo: ad Amelie viene offerto del buon tonno e il cuoco le mostra soddisfatto un bottone serbo trovato nella sua pancia; il mare era diventato particolarmente generoso e i pesci assai saporiti visto che molti cadaveri venivano gettati direttamente in acqua per risparmiare sulle sepolture ed evitare contagi… Amelie – che pure è di gusti semplici e di buon appetito – non resiste a tanto orrore: ha la sua prima nausea da futura madre e si alza da tavola di corsa.                                                                                                      

Tuttavia quello che prevale nella lettura è il ricordo di un Eden dalla bellezza primordiale: «Qualsiasi altro paesaggio sembra banale e piatto, adulterato e sfruttato, quando lo paragono alla natura della Sardegna e alla sua prospettiva d’eternità». Sintesi di grande efficacia che solo una scrittrice dall’animo sensibile e dalla mente aperta poteva concepire, ieri come oggi.

Articolo di Laura Candiani

oON31UKhEx insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume e Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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