Carissime lettrici e carissimi lettori,
con questa settimana siamo al n.12 di Vitaminevaganti.com, appena fuori dal risultato delle elezioni europee e alla vigilia della festa della Repubblica italiana.
Cominciamo dalle elezioni. Chi ha vinto? La destra esulta. La sinistra non è da meno. La destra dice che ha confermato e superato di gran lunga il consenso popolare ottenuto nel 2018, la sinistra festeggia il ritorno, seppure molto lento, ma deciso, delle italiane e degli italiani a credere in un partito che ormai era stato dato per morto. Sembra tutto chiaro, eppure, cifre alla mano e dopo qualche riflessione, stimolata da una serie di articoli sui media (solamente alcuni) di questa settimana, assolutamente chiaro non sarebbe! Con un astensionismo degli italiani del 44% degli aventi diritto al voto, secondo alcuni osservatori i risultai si falserebbero parecchio. Un gioco delle percentuali sulle percentuali non fatto. Non è uno scioglilingua, ma è frutto di un chiaro ragionamento. Vale a dire: se gli elettori sono 100 e io ottengo il 50% dei voti vuole dire che 50 persone hanno votato per me. Ma se gli elettori sono la metà il suo 50% è 25, esattamente la metà di prima, per portare l’esempio sulle cifre tonde e più chiaro. Dunque se gli elettori sono calati, come è successo nella consultazione europea appena conclusasi, le percentuali fatte sugli aventi diritto avrebbero praticamente raddoppiato e falsato la percentuale reale dei voti ricevuti. Ciò vuol dire che le vittorie non sarebbero così eclatanti e forse neppure il precipizio subìto dal Movimento. Il vero problema dunque rimane l’allontanamento degli elettori e delle elettrici dalla vita politica del Paese e del vecchio continente Europa, cominciando dalle urne, dalle quali nasce la democrazia, il governo del popolo, come detta la sua etimologia.
Ma non è stato solo questo il problema di quest’ultima consultazione elettorale dalla quale sembrava ci si dovesse aspettare uno stravolgimento del quadro e dei bilanciamenti politici, sia in sede italiana (che comunque ha confermato una forte tendenza verso la destra meno moderata) che in Europa.
Due aspetti, purtroppo negativi, hanno segnato il voto uscito dalle urne: Un’ indifferenza di chi ha votato verso una scelta al femminile (poche le donne elette) e un secondo eclatante e davvero gravissimo ritorno al passato, con l’apparizione (davvero un fulmine al ciel sereno) del cognome del marito accanto a quello proprio nelle nuove schede elettorali delle donne coniugate.
Il grembiule nelle aule scolastiche, la confusione tra simboli (di potere) religiosi e potere politico, congressi pieni di esaltazione della famiglia non come nucleo d’amore, ma come schema precostituito con ruoli decisi e ben separati tra i suoi membri, l’improvvisa messa in discussione di leggi conquistate proprio attraverso le scelte uscite dalle cabine elettorali (vedi il referendum sull’aborto con la conseguente legge 194), gli interventi a dir poco pesanti sull’operato degli insegnanti e delle insegnanti con la propria classe con punizioni di allontanamento dalla scuola e decurtazioni dallo stipendio dato dallo Stato, e ora il ritorno per le donne ad “indossare” il cognome del marito, antico retaggio di un passaggio dei poteri nella famiglia. E ritornano i principi fatti passare dal Congresso di Verona di fine marzo. Tutto questo (e altre ancora, perché l’elenco non è affatto completo) dà un allarme, ci avverte che se tutti, ma soprattutto tutte noi donne, non teniamo alta la guardia la situazione futura ci riporterà indietro anni luce, annullando le battaglie e gli sforzi non solo delle femministe, ma di tutte coloro che hanno dato l’intera o parte della loro vita per i diritti civili, perché di questo si tratta e questi si devono difendere.
Ma passiamo ad altro. Passiamo alla festa della Repubblica su cui qui troverete un articolo che ne spiega il perché e la sua storia. Proprio parlando di diritti di genere, di parità sociali, questa festa che andiamo a celebrare domani è stata la grande prova delle donne al voto, un voto, quello del 2 e 3 giugno 1946 per nulla facile , seguìto a tutta una serie di tafferugli e scontri anche gravi tra i seguaci della monarchia e gli aspiranti a dare all’Italia un assetto di repubblica democratica dopo i venti anni di regime fascista e una guerra partita da lontano cominciando dall’odio razziale e dalla collaborazione del fascismo alla deportazione dei cittadini e delle cittadine ugualmente italiane e italiani.
Questa settimana che si apre è anche l’anniversario della bomba a piazza della Loggia, uno dei tanti attentati rimasti “in sospeso” dove i morti e i loro parenti, che li hanno persi per sempre, non sono stati consolati da uno Stato dimostratosi in questo caso incapace o, al contrario, connivente.
Dobbiamo di nuovo stare in guardia perché nulla si possa ripetere perché l’insegnamento della Storia (e qui leggerete in proposito un interessante articolo) non venga sminuito e degradato a materia secondaria. La Storia è il racconto della vita degli uomini e delle donne, delle loro sofferenze e delle loro conquiste e è l’humus da cui i giovani devono trarre insegnamento e da cui tutte e tutti dobbiamo leggere esempio e memoria, perché senza memoria non esiste il futuro. Un lustro fa, il 7 giugno del 2014, ventuno minuti dopo le cinque di pomeriggio, il grande fotogiornalista Massimo Sestini ha inquadrato con il suo obbiettivo, legato ad un filo fuori da un elicottero in verticale sul mare Mediterraneo, un barcone con centinaia di volti che guardano in su, quei volti in cui qualcuno e qualcuna si è per caso anche riconosciuto, sono rimasti immortalati in un’immagine che è diventata l’emblema di questo grande esodo e dramma dei nostri tempi. Anche questa è Storia e far parte della memoria dell’umanità.
E’ la poesia a portarci consolazione. Proprio due secoli fa Giacomo Leopardi componeva la sua lirica forse più bella e conosciuta: L’Infinito. Per le strade della sua Recanati il 28 maggio oltre duemila e ottocento ragazzi hanno celebrato i suoi versi in un flash mob declamandoli per le strade del borgo e partendo proprio dalla piazzetta del Sabato del villaggio. Un tributo dovuto (che durerà un anno intero) a un poeta grandissimo che proprio negli anni dell’adolescenza abbiamo tutte (ma in questo ci hanno fatto compagnia anche tanti ragazzi) cominciato ad amare e a identificarci, nel suo universale dolore di quel “naufragar m’è dolce in questo mare” .
Editoriale di Giusi Sammartino
Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.