In questi giorni come tante altre persone sono diventata “dipendente” dalla matematica ed in particolare dalle curve: “Flatten the curve – Appiattire la curva” è uno dei nuovi mantra, oltre a #Iorestoacasa e #Andràtuttobene.
I primi giorni seguivo di più gli articoli di virologi ed epidemiologhe, poi ho cominciato a capire che la matematica rispondeva in modo più soddisfacente al mio bisogno di capire.
Con la matematica ho sempre avuto un rapporto molto complicato. L’ho amata fino a 15 anni, poi detestata a causa di una cattivo rapporto con un professore, quindi riscoperta all’università studiando statistica ed econometria, probabilmente perché finalmente l’ho vista applicata. Anche per questo nei giorni scorsi ho letto con piacere il bel libro di Lorella Carimali, La radice quadrata della vita. Carimali è docente di matematica e fisica, unica italiana finalista del Global Teacher Prize (il premio Nobel per l’insegnamento), ambasciatrice del suo modello didattico nel mondo per la Varkey Foundation. Ma soprattutto docente appassionata, come lo sono Donatella e Bianca, le due protagoniste del suo romanzo.
Avevo conosciuto Lorella a febbraio in un incontro in una scuola e dopo aver ordinato il libro mi sono ritrovata a leggerlo poco prima che scoppiasse l’epidemia per cui, quando ho cominciato a interessarmi alle curve dei contagi, avevo ben chiaro il suo obiettivo di «far scoprire la dimensione esistenziale della matematica e farla vedere non come disciplina scolastica ma come approccio conoscitivo, problematico, efficace ai problemi della vita: da quelli più semplici a quelli più complessi».
Quindi tra l’interesse per il suo lavoro e il rispolverare, per seguire l’epidemia, concetti di curve esponenziali, logistiche e Gompertz, nei giorni scorsi le ho chiesto di fare una chiacchierata.
Mi ha raccontato innanzitutto del dottor Snow e del ruolo che svolse durante l’epidemia di colera londinese del 1854: tutti pensavano che l’epidemia arrivasse dagli effluvi fognari ma lui ebbe l’intuizione di suddividere il sobborgo in cui si era diffusa l’epidemia in zone (facendo quella che oggi si chiama “tassellazione del piano”) e così scoprire che i casi di colera erano circoscritti in una zona in cui tutti attingevano ad una pompa dell’acqua. C’era però una vecchietta che sembrava annullare il ragionamento perché non si era ammalata. Il dottor Snow scoprì il motivo: non poteva camminare e quindi un familiare le portava acqua da un’altra pompa (applicando quella che oggi chiamiamo “Teoria della falsificazione”, nota nella tradizione popolare come “L’eccezione che conferma le regola”). Neanche i monaci dell’adiacente monastero avevano contratto il colera. L’indagine mostrò che anche questa non era un’anomalia, ma un’ulteriore prova, perché i monaci bevevano soltanto birra, che fabbricavano loro stessi.
Il dottor Snow aveva applicato il concetto geometrico della tassellazione del piano ma soprattutto aveva avuto l’intuizione di un approccio differente dimostrando come la matematica permetta di crearsi una visione, di cercare la soluzione nell’oltre. Non per nulla la matematica è uno strumento che allena il pensiero. Anzi, è una forma di pensiero.
Sicuramente anche virologi/ghe ed epidemiologi/ghe usano modelli tecnicamente validi ma molto spesso non hanno la visione necessaria perché i modelli vecchi in questi casi non funzionano, i modelli vanno ripensati, influenzati come sono da tante variabili. Se non si considerano queste ultime non si può comprendere che informazione ci dà un grafico, anzi non si può proprio impostare un grafico utile a dare delle risposte. La matematica dice delle cose se si è allenati/e a cercare e non ci si limita alle formule.
Lorella Carimali mi racconta che in queste settimane sta lavorando con le sue classi traendo spunto dall’epidemia: con la Quinta sta operando sul concetto di distanza e di perdita delle certezze, in un’ottica multidisciplinare. Invece i ragazzi e le ragazze di Quarta li sta invitando a riflettere sui concetti aiutandoli a comprendere come il sapere scientifico sia importante per capire i fenomeni ma come non possa essere avulso da arte, letteratura, scienze sociali. Li incita alla ricerca di collegamenti, a una vera e propria caccia al tesoro alle spiegazioni, oltre che alla ricerca di dati.
Con la sua classe Terza sta studiando le tre diverse tipologie di soluzioni di contenimento del contagio usate dalle varie nazioni: il modello cinese dell’isolamento totale, il modello coreano basato su fare tamponi e tracciare la popolazione, fortemente imperniato sulla tecnologia, il modello inglese, poi abbandonato, del cercare di raggiungere l’immunità “di gregge” preservando con quarantena anziani e immunodepressi e lasciando girare il virus più in fretta possibile, tramite bambine/i e giovani, categorie più protette ma al contempo più “predisposte” agli scambi interpersonali. Insomma il modello del convivere con il virus per governarlo.
Modelli molto diversi il cui utilizzo e funzionamento non può prescindere da aspetti culturali e sociali, dal rapporto della popolazione con la scienza, dalle competenze tecnologiche, dal sistema di governo, dalla strategia di sistema. Il modello coreano ha funzionato bene in Corea (dove tra l’altro c’è una attenzione enorme allo studio delle materie scientifico e non c’è gender gap), ma non è detto che possa funzionare altrettanto bene in Italia dove peraltro non sussiste la competenza matematica da un punto di vista culturale e la si considera come capitolo a sé. Però da ognuna di queste tipologie di soluzione si possono prendere dei pezzi ed elaborarli.
Parlando con Lorella Carimali comprendo che saper usare la matematica per fare i conti è ben diverso dal saperla usare per costruire dei modelli. Un sistema complesso analizza tutti questi dati e li assembla: l’aggregazione dei dati può funzionare però se si analizzano anche tutte le variabili non matematiche incluse quelle sociali. Insomma, saper calcolare i dati è importante, ma saperli contestualizzare lo è altrettanto.
Se vogliamo, la gestione della pandemia è l’esempio perfetto del perché serva una visione sistemica e multidisciplinare: virologia, epidemiologia, matematica, tecnologia informatica, analisi dei dati per effettuare le mappature devono interagire ma non essere a loro volta avulse dalle scienze sociali perché sono importanti anche i comportamenti, le reazioni emotive, la (buona o cattiva) comunicazione, gli studi economici. E occorre la progettazione. Quasi potremmo citare Munari e parlare di design anche come «progettazione di uno strumento per cercare di risolvere bisogni collettivi»!
Come sto comprendendo anche seguendo i matematici che in questi giorni elaborano i dati, oltre a saper calcolare i dati bisogna saper scegliere la curva che li esprime meglio. Chi l’ha detto che la matematica non è un’opinione? In particolare sto seguendo su Facebook l’astrofisico Fabrizio Nicastro e sto verificando come già da alcune settimane avesse previsto il picco proprio nei giorni in cui si è verificato, attraverso una scelta intelligente del modo di elaborare i dati.

Lorella Carimali mi ricorda che la matematica è spirito critico, è ragionamento, è fantasia, è saper cercare soluzioni sistemiche fuori dagli schemi. Ma per saper trovare queste soluzioni, per raggiungere la visione occorrono i “data scientist”, matematici che sanno andare oltre la matematica, e ci vuole un percorso di studi che formi chi studia matematica a diventarlo. Avere i dati non basta, e neanche conoscere la differenza fra una curva esponenziale e una logistica è sufficiente per costruire un modello (anche se conoscerla sarebbe già tanto per la gente comune per capire la differenza fra un dato di crescita dei contagi che segue una logistica e un altro che segue una curva esponenziale).
Concludo con un breve sunto di un brano ed una citazione dal suo libro. In La radice quadrata della vita, Donatella, la docente di matematica che sta aiutando la giovane collega di lettere Bianca alle prese con la nuova vita di insegnante e il difficile rapporto con il padre, la distrae spesso parlandole della matematica. Una sera decide di raccontarle del travaglio dei Pitagorici con i numeri irrazionali. Bianca ha dei ricordi scolastici: sono quei numeri di cui non si può ricavare la radice quadrata (calcolabile invece solo se il numero sotto radice è positivo o uguale a zero). I numeri formati da un numero non finito di cifre, non periodici e quindi non esprimibili tramite frazioni vennero chiamati irrazionali, dal latino “ir-rationale” ma al contempo traduzione del greco “a-logos”, insomma per i Pitagorici l’indicibile e non calcolabile rappresentavano l’irrazionale. I numeri irrazionali misero in crisi gli studiosi di allora che non sapevano dove sbattere la testa. Ma, conclude Donatella: «Oggi non abbiamo più problemi con i numeri irrazionali, li sappiamo utilizzare. Non cerchiamo di cambiarli, li lasciamo come li troviamo, cioè sotto forma di radice, senza l’estrazione. Lo stesso accade nella vita reale: non si possono cambiare le persone, bisogna sempre fare i conti con la loro natura». Dunque la gestione di un’epidemia non può non tenere presenti le scienze che studiano i comportamenti perché le soluzioni devono tener conto anche della natura delle persone.
Articolo di Donatella Caione
Editrice, ama dare visibilità alle bambine, educare alle emozioni e all’identità; far conoscere la storia delle donne del passato e/o di culture diverse; contrastare gli stereotipi di genere e abituare all’uso del linguaggio sessuato. Svolge laboratori di educazione alla lettura nelle scuole, librerie, biblioteche. Si occupa inoltre di tematiche legate alla salute delle donne e alla prevenzione della violenza di genere.
Molto bella la similitudine con i numeri irrazionali. E sono assolutamente d’accordo che la matematica va contestualizzata altrimenti rimane un linguaggio a se’ capito da pochi.
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