Ada Rossi 

Amava definirsi figlia dell’Ottocento, ma fu protagonista rivoluzionaria del secolo scorso e una delle prime federaliste europee. 

Colta, energica, indipendente, seppe coniugare altruismo e intransigenza morale, senso del sacrificio e calore umano, audacia e romanticismo, concretezza e dedizione assoluta ai propri ideali di libertà e di eguaglianza. 
Nata nel 1899 a Golese, un paesino allora in provincia di Parma, cominciò a respirare fin da subito un’aria europeista in seno alla famiglia, metà italo-francese e metà svizzero-polacca. I nonni le trasmisero valori risorgimentali, senso della giustizia e quello spirito critico che consente di ragionare con la propria testa a costo di metterla a repentaglio. 
La sua voglia di libertà e parità la indusse a iscriversi alla Facoltà di Matematica e Fisica in un’epoca in cui le studenti universitarie non superavano il 10% degli iscritti e a cercare l’indipendenza economica attraverso un lavoro, anziché, come si usava allora, tramite un buon matrimonio. Laureatasi nel 1924, anno dell’instaurazione della dittatura fascista, cominciò subito a insegnare. E sul lavoro incontrò Ernesto, docente di scienze giuridiche ed economiche, che portava il suo stesso cognome ed era ricercato dalla polizia per la collaborazione al giornale antifascista “Non mollare” e per attività clandestine. Ada era una sognatrice e un’idealista: un legame romantico con un uomo capace di grande coerenza morale e politica, in aperto contrasto col regime, la attirava come una calamita. 

Testimone di pestaggi da parte di squadristi, quando lo conobbe si era già schierata sul fronte dissidente ma ora volle passare all’azione, assumendosi il compito di distribuire la stampa antifascista proveniente dalla Francia che lui le affidava e rivelandosi un’abile propagandista e una militante fidata. 
Quando poi gli esuli liberal-socialisti Carlo Rosselli e Gaetano Salvemini fondarono a Parigi il movimento antifascista Giustizia e Libertà, vi aderì con entusiasmo, come fece Ernesto che assunse la direzione del gruppo giellista milanese. A seguito di una delazione, venne arrestato e la polizia segreta fascista, l’Ovra, ne approfittò per accusarlo, senza prove, anche dell’attentato al re di due anni prima. Il processo che ne seguì davanti al Tribunale Speciale, competente a giudicare gli imputati politici, si concluse con la condanna a 20 anni di carcere. 

Sembrava che per i due innamorati non ci fosse più la possibilità di un seguito ma le difficoltà avevano il potere di rendere Ada ancora più ferma nei suoi propositi. Il pensiero che sposarlo costituisse un’aperta sfida al fascismo dava al matrimonio una motivazione in più. Del resto il suo innato ottimismo le suggeriva che le cose sarebbero cambiate e che presto avrebbe potuto riabbracciare il suo amato Ernesto. Così i due si sposarono il 24 ottobre 1931 nel carcere di Pallanza. L’intento provocatorio fu subito chiaro alle istituzioni che provvidero a schedare Ada come elemento fortemente sospetto da tenere sotto stretta sorveglianza sia presso la Questura di Bergamo sia presso il Casellario politico centrale del Ministero degli Interni. Di conseguenza venne anche esclusa dall’insegnamento nelle scuole e dovette mantenere sé e le necessità del marito in carcere dando lezioni private per molte ore al giorno. 

Ma Ada era irriducibile. Fu parte attiva nei piani di evasione del marito, tutti vani, e come tale divenne oggetto di intercettazioni, pedinamenti e perquisizioni domiciliari. Scrisse a Ernesto ben 977 lettere, tutte controllate dal regime, spesso censurate, a volte persino sequestrate, così come le risposte. La consapevolezza che occhi estranei spiavano l’intimità del suo cuore e della sua mente la spinse a denunciare, sia pure inutilmente, la violazione della libertà personale. Sapeva che lo scambio epistolare era l’unico modo per tenere il marito in contatto col mondo antifascista e per sostenerne il morale. Del resto avevano concordato un codice prima della carcerazione e lui spesso le passava attraverso strette di mano, baci e abbracci bigliettini appallottolati contenenti messaggi segreti. 

Tra il 1931 ed il 1939 Ada andò a trovare il marito ogni 30-40 giorni, anche quando venne trasferito in carceri lontane. Si trattava di colloqui di mezz’ora, sempre in presenza di guardie, talora intercettati e trascritti. 
Mediante le intercettazioni la polizia venne a conoscenza della propaganda da lei attuata presso le/gli studenti al fine di formare giovani consapevoli del valore della libertà e della democrazia. Fu grazie a lei se l’8 settembre del 1943 la Resistenza trovò a Bergamo un gruppo politico preparato. 
Finalmente nel ’37 fu concessa un’amnistia e la pena alla reclusione di Ernesto fu convertita nel confino che includeva, oltre al domicilio coatto, una serie di divieti e prescrizioni, tra cui il pedinamento continuo e ravvicinato da parte di un soldato armato. L’isola di Ventotene cui fu destinato gli consentì di vivere per qualche settimana all’anno con la moglie: la prima volta in cui poterono abbracciarsi in solitudine fu nel ’39, dopo otto anni di matrimonio, ma anche in tali intime circostanze la guardia rimaneva fuori dalla porta tutta la notte. 

Ada ed Ernesto al confine di Ventotene

In quel tempo Ernesto scrisse insieme al comunista Altiero Spinelli ed al socialista Eugenio Colorni il Manifesto per l’Europa libera e unita anche detto semplicemente Manifesto di Ventotene. Ada condivideva l’idea secondo cui il nazionalismo da cui erano scaturite le dittature nazifasciste poteva essere efficacemente contrastato solo da una Federazione europea di Stati e si diede da fare per diffondere il Manifesto: per portarlo fuori dall’isola lo nascose nelle spalline del vestito, poi lo fece battere a macchina e lo distribuì agli/lle studenti antifascisti/e e tra i giovani rifugiati. 
Alla fine del ’42 Ada fu convocata alla Casa del Fascio ma non si presentò. Fu allora inviata anche lei al confino, in località diverse da Ventotene. Tuttavia, a seguito della destituzione e dell’arresto di Mussolini, i due poterono finalmente ritrovarsi a Milano dove parteciparono alla fondazione del Movimento Federalista Europeo. Poi, costretti a lasciare l’Italia per rifugiarsi in Svizzera, fecero della loro casa a Ginevra un centro politico per la propaganda federalista, nonchè il punto di ritrovo di rifugiati/e e di esponenti della Resistenza europea. 
Ada aveva una capacità straordinaria di alimentare le energie del marito che risentiva ormai a livello psicofisico della lunga prigionia e delle ulteriori privazioni derivanti dal confino. Ed era abilissima nel coalizzare intorno a sé le persone, facendosi ponte instancabile fra tutti/e. Era lei a dare un forte impulso alla propaganda tramite la distribuzione di articoli e volantini. Ed era ancora lei, quando divenne tesoriera e segretaria della sezione federalista ginevrina, a lavorare per coinvolgere le donne nel suo progetto. 
Da questo clima politico appassionato e intenso che si respirava intorno ai Rossi scaturì la “Dichiarazione federalista dei movimenti della Resistenza europea” nel 1944. 
La fine della guerra trovò la coppia a Milano dove era accorsa per assistere allo sfascio finale della dittatura. 
Quando Ernesto ricevette l’incarico di sottosegretario alla ricostruzione del primo governo dell’Italia liberata, Ada lo raggiunse nella capitale e lavorò per il Partito d’Azione dedicandosi alla distribuzione di viveri e medicinali tra la popolazione e all’organizzazione di un doposcuola per studenti. 
Vedere riunita per la prima volta la Consulta Nazionale, che sostituiva provvisoriamente il Parlamento, le fece rivivere tutte le emozioni degli anni passati, i sacrifici, le ansie, le lotte spavalde e quelle clandestine. 
Priva di ambizione, quando il marito cominciò a soffrire di crisi depressive, scelse di rimanergli accanto, compagna devota «di ideali e di vita», come lei stessa si definiva, rinunciando alla scuola e ad ogni forma di protagonismo. Per amore suo aveva rinunciato anche alla maternità. 
Per lui creò un salotto intellettuale e politico, come già aveva fatto a Ginevra, in cui coinvolse parentele, amicizie, collaboratori, compagne e compagni di partito, socialisti, radicali, europeisti. Per lui promosse convegni e tavole rotonde, si occupò di scrivere a macchina i suoi discorsi e i suoi articoli per i giornali e partecipò a tutte le sue battaglie politiche e sociali. 
Precorritrice dei tempi, Ada non perse mai l’entusiasmo e la lena per propagandare il progetto federalista, né all’indomani della Liberazione quando fu chiaro che i tempi non erano maturi, né successivamente dopo il fallimento della Ced (Comunità Europea di Difesa) poiché accettava, a differenza del consorte, che il processo di integrazione si compisse, per il momento, solo con riferimento ad alcuni degli aspetti comuni agli Stati coinvolti, come quello economico. Così accolse con gioia il Trattato di Roma del 1957 che istituì la Cee (Comunità Economica Europea). 

Col trascorrere degli anni Ada si trovò a differenziare la sua linea politica da quella del marito e, in un primo tempo, non si lasciò convincere a iscriversi al Partito Radicale poiché le sembrava poco europeista ed eccessivamente dedito ad atteggiamenti provocatori. Ma, dopo la morte di Ernesto, avvenuta nel 1967, le battaglie per il divorzio, per l’aborto, per il disarmo la conquistarono sempre più finché, nel 1987, si presentò alle elezioni politiche come candidata del movimento con l’intento di creare il Partito Radicale Transnazionale, incitando i/le più giovani, come Emma Bonino, a sveltire i tempi. 
Negli ultimi anni della sua lunga vita divenne custode delle carte del marito e testimone di un passato glorioso, rilasciando interviste e intervenendo nelle scuole per rimanere vicina alla gioventù. 
Alla sua morte, quasi centenaria, è stata sepolta nel cimitero monumentale di Trespiano a Firenze accanto al tempio funerario dedicato ai giellisti in cui riposa Ernesto Rossi.

Ringraziamo Antonella Traverso per la ricerca e la stesura della biografia.

Qui le traduzioni in francese e inglese.

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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, tiene corsi di aggiornamento per docenti, in particolare sui temi delle politiche di genere. È referente provinciale per Lodi e vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile. Collabora con con Se non ora quando? SNOQ Lodi e con IFE Iniziativa femminista europea. È stata Consigliera di Parità provinciale dal 2001 al 2009 e docente di filosofia e scienze umane fino al settembre 2020.

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