Catcalling tra lacune normative e cultura sessista

A quante di voi camminando per strada o in qualsiasi altro luogo, sarà capitato di sentirsi arrivare fischi, battute tipo “Ciao bella”, allusioni sessuali, domande invadenti o suonate di clacson? Fino a qualche tempo fa questa condotta veniva definita dal dizionario Garzanti come pappagallismo ovvero «il comportamento di chi infastidisce le donne con un corteggiamento inopportuno». Oggi si parla di catcalling, termine inglese per indicare l’insieme di quei comportamenti sessisti come  apprezzamenti, complimenti non graditi, schiamazzi volgari fino a dei veri e propri insulti.

Catcalling significa letteralmente gatto” e chiamata”, infatti il termine si riferisce al verso fatto per chiamare a sé un gatto. Nel ‘700 aveva per lo più il significato di “grido, lamento o suono simile a un lamento” e indicava l’atto di fischiare a teatro gli artisti in segno di disapprovazione. Dal 1956, secondo l’Accademia della Crusca, è quell’insieme di commenti a sfondo sessuale, molestatori o derisori, urlati verso una persona in pubblico. Il catcalling è quindi una forma di molestia che, in genere, si verifica per strada, consistente in complimenti di cattivo gusto rivolti alla donna e indirizzati al suo corpo o al suo atteggiamento, oppure domande invadenti e insulti.

Soprattutto nel nostro in Paese, si tende a sottovalutare la problematica, riducendo il fenomeno a innocui commenti che possono essere anche non graditi. Da qui sorge spontanea la domanda: ma qual è il confine tra apprezzamenti e molestie? Per individuare il confine tra molestia e complimento occorre guardare al contesto relazionale in cui ciò avviene.
Fare un apprezzamento in assenza del contesto adeguato, senza chiari segni di disponibilità e consenso della persona alla quale sono rivolti, rende l’atteggiamento una vera e propria prevaricazione: in questo caso, quindi, non è affatto un complimento. Inoltre, un complimento va fatto con gentilezza e con un tono amichevole e non con esclamazioni volgari e urlate per strada.
Il problema è che nel catcalling l’approccio è rivolto alla donna in quanto oggetto sessuale e non in quanto persona. Spesso il catcalling nasconde quell’asimmetria dei rapporti uomo/donna che sfocia in vera e propria manifestazione della violenza di genere e della mascolinità tossica. La molestia verbale o di strada, infatti, è pericolosa perchè sottile e indiretta, poiché nascondendosi dietro quelli che sembrano complimenti in realtà è espressione di una scarsa stima della donna. Non è un modo per cercare di conoscere la persona, perchè questa perlopiù è assimilata a oggetto non meritevole di rispetto e bersaglio di frasi volgari che possono condizionare profondamente molte donne tanto da non sentirsi più libere di camminare tranquillamente o indossare quello che vogliono.

Numerosi studi psicologici e sociali sostengono che le molestie di strada nei confronti delle donne altro non siano che forme di dominazione maschile, che tendono a isolare il genere femminile, rafforzando l’idea che gli ambienti pubblici siano spazi a esclusivo usufrutto degli uomini. Ciò al fine di esercitare un controllo sulla crescita emotiva e intellettuale delle donne, affinché esse assumano atteggiamenti graditi agli uomini e siano disponibili a ricevere commenti in qualsiasi momento e in qualsiasi ambiente, anche quando semplicemente camminano per strada.
La prova che tale comportamento sia una forma di oggettivizzazione sessuale è evidente anche nel fatto che molto difficilmente il catcalling avviene se è presente un uomo in compagnia della potenziale vittima, forse perché dell’uomo si teme una reazione fisica o forse perché egli suscita un maggiore rispetto, mentre avviene tranquillamente se sono presenti due o più donne.

La crescente rilevanza assunta dal fenomeno del catcalling ha inevitabilmente condizionato anche il mondo del diritto. È da molto tempo, infatti, che si discute della rilevanza penale di tale comportamento e altre Nazioni hanno già provveduto in tal senso. In Francia, ad esempio, nel 2018 è stato approvato il disegno di legge contro le “violenze sessiste e sessuali”. La normativa francese considera il catcalling come reato che si esplica in una molestia sessista che lede la fiducia in sé stesse, il diritto alla sicurezza e la libertà di circolazione negli spazi pubblici delle donne. Essa prevede che le forze dell’ordine, tenute a intervenire sul posto in soccorso della vittima, sanzionino tali comportamenti con multe dai 90 ai 1500 euro a seconda della gravità della molestia.
La legge – approvata non senza polemiche, anche da parte di donne esponenti della cultura e del mondo dello spettacolo – però non ha ottenuto al momento l’effetto sperato, poiché le sanzioni sono state soltanto poche migliaia. Tante le ragioni, alcune culturali, la maggior parte però legate alle lacune presenti nello stesso testo di legge che prevede la flagranza di reato, atteso che è assai difficile che i molestatori (per quanto stupidi) agiscano davanti a un agente di polizia.
Sanzioni simili sono previste in Perù e in diversi Stati degli Usa (ad esempio in Illinois) dove esiste una specifica regolamentazione contro le molestie di strada. Nelle Filippine, è stato emanato il Safe Spaces Act il cui art.11 punisce atti misogini, insulti sessisti, fischi, schiamazzi, sguardi invadenti, imprecazioni e racconti di barzellette a sfondo sessuale persistenti in pubblico o online, prevedendo la multa o la reclusione in base alla gravità del reato.
In Inghilterra la molestia di strada non costituisce reato. Tuttavia qualche anno fa, un gruppo parlamentare, composto da uomini e donne, ha proposto al governo di criminalizzare anche le molestie sessuali verbali che provengono dagli uomini mentre sono alla guida di un’automobile, al fine di rendere le strade e le città più sicure, dove le donne possano camminare senza subire attenzioni indesiderate.

L’attenzione di molte Nazione dipende anche dai dati statistici che danno risultati preoccupanti in tutti i paesi. Infatti, secondo un famoso studio condotto su scala internazionale da Hollaback! (gruppo anti-molestie statunitense) in collaborazione con la Cornell University, il 71% delle donne intervistate è stato vittima di catcalling, l’84% ha subito molestie da strada prima dei 17 anni.
In Italia la ricerca condotta da WeWorld, in occasione del 25 novembre 2022, ha rilevato che oltre il 50% delle donne ha subito catcalling da sconosciuti per strada, ma c’è un altro dato ben in evidenza, e preoccupante, rispetto a questo: 1 donna su 3 non riconosce il catcalling come molestia.
Anche l’Istat si è occupata del fenomeno e in uno studio viene riportato che quelle verbali sono la forma di molestia più diffusa sia nel corso della vita che nei tre anni precedenti all’indagine effettuata: il 24% delle donne dichiara di essere stata importunata verbalmente, infastidita o spaventata da proposte indecenti o commenti pesanti sul proprio corpo; seguono gli episodi di pedinamento (20,3%), le molestie con contatto fisico, come l’essere toccate, abbracciate, baciate contro la propria volontà (15,9%), il 15% ha subito atti di esibizionismo mentre le telefonate o i messaggi osceni a sfondo sessuale o che mirano a offendere la persona hanno coinvolto il 10,5% delle donne.

Nonostante ciò nel nostro Paese il catcalling non è considerato reato. Da tempo e in numerosi dibattiti si è discusso sull’opportunità di colmare tale lacuna normativa. E infatti uno dei maggiori dibattiti in ambito giuridico attiene alla possibilità di inquadrare tale condotta, nella fattispecie ricondotta all’interno dell’art 660 c.p. che prevede il reato di “Molestia o disturbo della persona“. La norma citata recita testualmente: «Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516». Questo reato si configura quando il comportamento di chi lo attua risulta essere caratterizzato da insistenza eccessiva, invadenza e intromissione continua e pressante nell’altrui sfera di libertà e quiete.
Il problema di tale inquadramento è che il reato di molestia tutela il bene giuridico della quiete pubblica, mentre rispetto al catcalling c’è la tutela della dignità della persona oggetto di apprezzamenti molesti e sgradevoli.
In altri termini, se una donna si trova a passeggiare in strada da sola e un gruppo di uomini le rivolge apprezzamenti volgari, questi andranno a configurare il reato di molestie se il disturbo arrecato alla vittima sia in grado di destare offesa e sentimenti di ribrezzo in una pluralità di individui, sebbene l’oggetto dei commenti irriguardosi sia solamente una persona.
Parimenti difficile è inquadrare il catcalling nell’ambito degli atti perseutori previsti dall’art. 612 bis del codice penale, poiché tale reato scatta solamente in presenza di molestie ripetute in un breve arco di tempo, a condizione inoltre che la vittima subisca un pregiudizio concreto (ansia, timore per la propria incolumità, cambio di abitudini) dalle stesse.

La Corte di Cassazione ha ritenuto integrato il reato di cui all’art. 660 del codice penale nel caso dell’insistente comportamento di chi corteggia, in maniera non gradita, una donna, seguendola per strada, così da costringere costei a cambiare abitudini, essendo tale condotta rivelatrice di petulanza, oltre che di biasimevole motivo (Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 19 ottobre – 12 dicembre 2018, n. 55713). In tale circostanza la Cassazione ha confermato che l’insistente comportamento di chi corteggia consisterebbe in una vera e propria molestia sessuale, ossia una forma particolare di molestia punita come contravvenzione dall’art. 660 del codice penale. Ed invero, nonostante i tentativi della Cassazione, la strada verso l’introduzione di una norma ad hoc appare ancora lontana e considerato che il catcalling è un fenomeno che condiziona la maggior parte delle donne e che può essere causa di forte disagio emotivo, che si può manifestare con sentimenti di imbarazzo, nervosismo, percezione di insicurezza, timore di stupro, sintomi di ansia e depressione, sarebbe auspicabile che il legislatore intervenga al più presto.

Occorre ribadire con forza che tale comportamento dipende esclusivamente dal contesto culturale e dal tipo di educazione impartita dai primi anni di scuola. Ricordate quello che è accaduto ad Aurora Ramazzotti non molto tempo fa? La figlia del cantante Eros Ramazzotti e della presentatrice Michelle Hunziker, ha pubblicato un video sul suo profilo Instagram nel quale lamentava di essere stata vittima di catcalling mentre correva al parco. Nel video la ragazza dice: «È assurdo che nel 2021 si verifichino ancora di frequente certe situazioni. Fischi, commenti sessisti, davvero una schifezza». Il video ha scatenato molti commenti; se da un lato, Aurora ha ricevuto appoggio da molte persone che hanno condannato insieme a lei questo fenomeno, altre si sono scagliate contro di lei, criticandola per aver ingigantito l’accaduto. Emblematico è il fatto che tra coloro che la pensano in questo modo non ci sono solo uomini, ma anche donne, che in fin dei conti non credono che il catcalling rappresenti una molestia; anzi, per alcune la donna che riceve queste “attenzioni innocenti” dovrebbe esserne lusingata, perché il catcalling è un modo per mostrare il proprio apprezzamento nei suoi confronti.

A queste persone chiedo: ma per quale ragione non possiamo camminare in pace? Perché se usciamo per strada con una gonna un po’ più corta dobbiamo aspettarci fischi e schiamazzi come se fosse una cosa normale? Perché se passiamo accanto a un gruppo di uomini dobbiamo aspettarci cori o urla imbarazzanti? Se lo facessero alla vostre figlie ne sareste contente? I perché sarebbero ancora tanti e tanti altri ancora, ma l’unica cosa che possiamo dire è che noi donne sappiamo ben distinguere chi fa un complimento, da chi dice volgarità o oggettivizza il nostro corpo. Imparatelo anche voi!

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Articolo di Roberta Costa

Laureata in giurisprudenza presso l’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro, ha svolto la pratica forense presso lo studio di un avvocato penalista di Cosenza, collaborando e partecipando a numerosi processi per reati associativi, reati minorili, ma anche per violenza sessuale, stalking e molestie. Una volta abilitata all’esercizio della professione forense si è specializzata nelle materie civilistiche. Attualmente vive e lavora a Roma.

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