Il mistero gravidanza

La gravidanza per secoli è rimasta un evento misterioso. Si sapeva che fosse necessario che un uomo e una donna avessero un rapporto sessuale, che tenere il conto dei giorni del ciclo mestruale permettesse di individuare i periodi fertili di una donna, che alcune piante potevano favorire o stroncare sul nascere la formazione di una nuova vita; ma tutti quei meccanismi che noi oggi conosciamo – i cromosomi che determinano il sesso biologico, i fattori ereditari, il ruolo delle malattie sulla fertilità, l’influenza dell’ambiente circostante, ecc. – sono rimasti sconosciuti per buona parte della storia umana. Di conseguenza la gestazione ha evocato una certa dose di fascino e meraviglia miste a paura soprattutto negli uomini nelle società patriarcali. In esse l’avere un assoluto controllo della sessualità femminile è un fattore fondamentale per il mantenimento dello status quo e delle gerarchie di genere, eppure quello che poteva essere esercitato era solo mera retorica: la gravidanza è l’unica cosa che l’uomo non ha mai potuto controllare della donna, e fino all’avvento del metodo scientifico tutte le fasi della gestazione erano sempre state un affare esclusivamente femminile – poco importava quanto molti uomini fossero scontenti nell’essere esclusi da questi eventi. Forse spinti da invidia, forse guidati dal genuino desiderio di trovare un senso alla creazione della vita, gli intellettuali di ogni epoca e luogo produssero testi e diffusero ipotesi riguardo la gravidanza e la maternità, molte delle quali oggi fatichiamo a non considerare ridicole anche quando le immergiamo nel loro contesto storico: come ben illustrato da Eva Cantarella, il ruolo della madre è stato storicamente sminuito e ove possibile completamente annullato in Occidente. Se nessuno contestò Eschilo quando nell’Orestea scriveva che Oreste poteva essere assolto dal matricidio commesso perché solo il padre era il vero genitore, in una Atene dove i commediografi dovevano riscrivere le loro opere decine di volte per accontentare il pubblico, vuol dire che questo genere di idee era diffuso e accettato dalla popolazione alfabetizzata. Non sorprende quindi che tempo dopo Aristotele sostenesse il ruolo passivo della donna nella gestazione nonostante la realtà dei fatti mostrasse l’esatto contrario.

I miti antichi supportano il presunto ruolo attivo dell’uomo in un processo che lo coinvolge in minima parte, e basta osservare la storia della nascita di Efesto e di Atena: Efesto nacque ingenerato da Era dopo che essa aveva scommesso con Zeus di poter rimanere gravida senza bisogno del divino marito; il piccolo nacque gravemente deforme e venne abbandonato dalla madre a delle ninfe per poi diventare il fabbro degli dèi una volta cresciuto. Zeus, geloso e furioso di quanto aveva compiuto sua moglie, la tradì con la ninfa Meti la quale rimase incinta di una creatura che secondo una profezia avrebbe destituito il suo stesso genitore. Zeus, terrorizzato dall’idea di fare la stessa fine di suo padre Crono, con un inganno convinse Meti a trasformarsi in goccia e la inghiottì; Meti, adirata, continuò la gestazione nella testa di Zeus, che cominciò a soffrire di una forte emicrania al punto da chiedere ad Efesto di colpirlo con un martello per far smettere quel dolore. Efesto eseguì, e dalla ferita nacque già adulta Atena, dea della saggezza e tra le più fedeli della prole di Zeus. Non fu questa l’ultima volta che Zeus “diede alla luce” uno dei suoi figli: Dioniso nacque dalla sua coscia dopo che il dio vi aveva cucito il cuore del piccolo a seguito della morte della di lui madre, uccisa da Era. Dal mito emerge quindi chiara l’idea per gli antichi greci che se l’uomo potesse gestire una gravidanza lo potrebbe fare anche meglio della donna, che se facesse da sola partorirebbe solo figli e figlie deformi.

La realtà è ovviamente diversa: la gravidanza rimase affare di donne e all’uomo era barricata l’entrata. Ciò generò ansie riguardo le diverse possibilità di ciò che poteva accadere in quello spazio a lui proibito: che la creatura nel grembo della donna non fosse realmente del marito era il terrore più grande, assieme alla possibilità di un parto mostruoso o di piani architettati per non dare un erede o, peggio ancora, far rivoltare la prole contro lo stesso padre. Mater semper certa est, pater numquam, soleva dire la popolazione romana per esemplificare la paura di crescere figli e figlie che non avessero il proprio sangue e il timore dovuto alla presenza di uno spazio esclusivamente femminile che l’uomo non poteva invadere; un momento, quello del parto, dove prestanza fisica e potere non contavano nulla e il marito e futuro padre non poteva fare altro che sperare che tutto andasse per il meglio e che madre e prole uscissero vivi da quella esperienza. Tali sentimenti hanno attraversato i secoli e sono giunti fino a noi producendo artefatti molto interessanti da analizzare: il successo di Frankenstein, o il nuovo Prometeo, in cui un uomo riesce a generare la vita andando contro le regole della natura mostra che l’interesse per l’argomento e le paure a esso associate non sono mai andate via del tutto, anche con l’arrivo del metodo scientifico – che tra le altre cose permise al maschio di invadere l’unico spazio femminile, quello della gestazione, che mai era riuscito a penetrare, con conseguenze disastrose per le puerpere come dimostra l’assurda storia di Ignac Semmelweis.

Ai giorni nostri queste ansie non sono ancora scomparse nonostante le scoperte e le conoscenze: come i miti raccontavano la Grecia antica, il successo di materiali audiovisivi che trattano di gravidanze, parlando di questi timori con un tono tra il reverenziale e il terrore più nero, mostra che l’interesse è più vivo che mai. Rosemary’s baby, Mother! ed Evolution sono solo tre tra i più noti esempi. Rosemary’s baby parla del confronto fra una narrazione rosea della gravidanza e la realtà che essa è per molte donne attraverso la metafora della possessione demoniaca; Mother!, metafora della Terra che viene sfruttata dall’essere umano sotto l’occhio indolente di Dio, riassume come tante donne storicamente sono state usate solo per la loro capacità riproduttiva, poco importava di loro o della stessa creatura nel loro grembo; Evolution, una fiaba horror dove delle creature marine conducono esperimenti su dei ragazzi umani, riprende i temi di Frankenstein di Mary Shelley sulla possibilità di fare dell’uomo il generatore di vita. Film certo d’avanguardia, il cui successo e scandalo suscitati dimostrano tuttavia l’esistenza di un nervo scoperto che può essere facilmente stuzzicato.

Poster di Rosemary’s Baby, Mother! e Evolution

La duologia di Kill Bill offre una prospettiva interessante: la gravidanza è ciò che spinge la protagonista Beatrix a cercare di abbandonare la carriera da assassina per una vita tranquilla, lontana dal padre della creatura che ha in grembo il quale non è in grado di assicurare quella calma quotidianità da lei tanto agognata; un’autonomia decisionale che per l’antagonista, Bill, è assolutamente inconcepibile, e che lo porta a rovinare la vita della sua vecchia amante e a rubarne la figlia. La vendetta di Beatrix assume quindi una nuova sfumatura quando la si compara ai miti antichi: le Amazzoni venivano derise e temute per il fatto che usavano gli uomini solo per poter mandare avanti la loro stirpe, e alla prima occasione vennero sterminate da quegli stessi uomini; Beatrix si vendica del suo mentore e amante e della sua squadra, ribaltando il mito della fine delle Amazzoni permettendole di ottenere il suo lieto fine.

La scena in cui Beatrix scopre di essere incinta mentre è braccata da una assassina in Kill Bill: Volume 2

E da una delle ispirazioni di Kill Bill possiamo trarre un ultimo tema di rilievo: la paura viscerale che la creatura attesa possa in qualche modo fare del male al padre o alla comunità, divenendo l’arma per eccellenza di sua madre. Lo abbiamo visto con Zeus e il suo timore di fare la stessa fine del padre, e lo vediamo nel film Lady Snowblood, pellicola giapponese degli anni Settanta dove una ragazza va alla ricerca degli assassini di sua madre dopo che questa aveva predetto che la nascitura sarebbe stata l’arma della propria vendetta.

Poster di Lady Snowblood

Anche il folklore ci porta esempi interessanti come quelli del lupu panaru e dell’orsu panaru: secondo le leggende della Sabina, regione del Centro Italia, la donna gravida che mangia carne contaminata dal morso di un lupo o di un orso darà alla luce un bambino o una bambina che non potrà ricevere lo Spirito santo durante il battesimo; crescendo, mostrerà forza sovrumana e un istinto per la distruzione, e solo la consumazione di un’ostia potrà debellarlo/a dalla bestia che ne ha preso possesso. Si tratta evidentemente di tematiche che, alla luce dei recenti tentativi di controllare la riproduttività femminile tramite divieti sull’aborto e rendendo difficoltoso accedere agli anticoncezionali, risultano più che mai attuali e piene di spunti per dibattiti costruttivi sulla narrazione attorno alla gravidanza e alla questione della natalità.

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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.

2 commenti

  1. Articolo ottimo e nutriente, necessagrio in questo momento storico in cui gli schieramenti ideologici rischiano di offuscare i percorsi storici e personali del pensiero. Sono molto d’accordo con Antonella Viola che sottolinea la differenza fra pensiero e ideologia.

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