Non c’è niente di più bello che riuscire a individuare un personaggio femminile dalle qualità eccezionali, lasciato per troppo tempo nell’ombra, e finalmente portarlo alla luce come merita. Questa è stata la sorte della francese Alice Guy-Blaché, nata a Saint-Mandé, vicino a Parigi, 150 anni fa, il 1° luglio 1873.
Quando si parla di cinema chiunque pensa ai fratelli Lumière che tuttavia, inizialmente, ritenevano la propria “invenzione” poco più di un divertimento e priva di futuro. Erano due imprenditori fantasiosi e creativi, non per nulla progettarono il proiettore, brevettato nel 1895, e dopo alcuni tentativi si fecero conoscere grazie al celebre filmato dal vero di 50 secondi Arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat, a La colazione del bimbo e alla farsa L’innaffiatore annaffiato. Ma Alice fece cose straordinarie per una donna e soprattutto per l’epoca, una vera precorritrice in molti campi. Non solo realizzò il primo, pur brevissimo (dura poco più di un minuto), film di invenzione, La fée aux choux (La fata dei cavoli), ma fu pure la prima donna della storia a ideare e dirigere una pellicola e anche a fondare un proprio studio cinematografico nel 1910 in New Jersey.

Per circa un decennio, almeno fino al 1907, fu di fatto l’unica regista al mondo. Ma come arrivò a questi traguardi? Poco dopo la nascita, fu affidata ai nonni in Svizzera, poi la famiglia si trasferì in Cile, ma una tremenda epidemia di vaiolo li riportò in patria. Il padre morì presto, nel 1891, e la madre dovette trovarsi una occupazione per mantenere la figlia e i tre figli. Da ragazzina Alice studiò stenografia e dattilografia, così entrò a lavorare in qualità di segretaria negli studi della Gaumont, la casa di produzione appena nata per volontà dell’ingegnere Léon, e riuscì a ottenere alcuni metri di pellicola per realizzare nel 1896 il suo cortometraggio, oggi perduto; lei stessa tuttavia ne fece due nuove versioni, una nel 1900 e una due anni dopo, senza variare il soggetto. Si tratta ovviamente di un film muto, con inquadratura fissa, che vede una coppia passeggiare in un campo di cavoli; lì si trovano un contadino, tanti bambolotti e un bimbo piccolo che una fata sorridente raccoglie da sotto una pianta di cavolo. Ciò rende felici i due sposini, certi che quello sarà il loro figlioletto. La storia fa riferimento a una diffusa fiaba europea che vuole i maschi nati sotto un cavolo, le bambine sotto una pianta di rose. Sembra tuttavia che l’idea sia venuta alla regista dopo aver visto a Parigi una esposizione di incubatrici contenenti neonati veri; la cosa l’aveva stupita non poco perché le era sembrata una mostra di bambole.
Da notare che, nella sua terza versione, il titolo sarà cambiato e diventerà L’ostetrica di prima classe, facendo riferimento, forse ironico o scherzoso, al diploma professionale che ormai le donne potevano ottenere. Altro dato curioso: questa volta Alice è presente come interprete, nei panni maschili del contadino, per puro divertimento, come affermò. Se ne avete curiosità, un frammento in cui la fatina danza nell’orto si può recuperare su Dailymotion. Mentre i Gaumont intendevano andare avanti soprattutto con la vendita di macchine fotografiche, fu Alice a insistere per potenziare piuttosto il settore della produzione; le fu data fiducia, purché continuasse a svolgere in parallelo il suo lavoro di segretaria. Fu così che divenne la direttrice di questo àmbito assolutamente innovativo. Nel 1905 giunse in Spagna, dove girò La malagueña et le torero, pellicola colorata posteriormente a mano. Il film successivo, La nascita, la vita e la morte di Cristo, può essere considerato il primo kolossal della storia: durava trenta minuti, comprendeva venticinque set e si avvalse di più di trecento comparse, una cosa eccezionale per quei tempi.
Nel 1907 si sposò con il britannico Herbert Blaché-Bolton, che al suo fianco diventerà regista, produttore e sceneggiatore, da cui ebbe Simone (futura attrice) e Reginald; il matrimonio finì dolorosamente nel 1922 a causa del tradimento del marito. La coppia in precedenza si era trasferita in America e, dopo un breve periodo da mamma e casalinga, Alice decise di intraprendere una strada del tutto nuova, diventando una pioniera nel campo della produzione cinematografica con la sua casa The Solax Company, come del resto stava facendo la versatile collega, pure pianista, attrice e sceneggiatrice, Lois Weber (1879-1939).

Anche il suo nome forse suscita pochi ricordi, invece è stata la prima regista americana a girare un lungometraggio, la prima a girare film sonori e la prima donna ammessa alla Motion Picture Directors Association, considerata oggi con Griffith e De Mille una figura fondamentale del cinema degli inizi, con un curriculum spettacolare: 114 sceneggiature, 135 film diretti, un centinaio interpretati e 13 prodotti.
Tornando ad Alice, va menzionato il suo motto: “Be Natural” che ripeteva sempre durante le riprese e che trasformò l’idea stessa del cinema di finzione, all’insegna appunto della recitazione spontanea, della naturalezza, senza ridicole smorfie e forzature, come spesso avveniva invece all’epoca del muto. Questo diventerà il titolo di un interessante documentario del 2018, prodotto e diretto da Pamela B. Green, commentato dalla voce di Jodie Foster.

Purtroppo il suo immenso lavoro, consistente in un migliaio di cortometraggi e lungometraggi (di cui un centinaio sonorizzati prima del 1927, data ufficiale del “sonoro”), è stato in gran parte perduto, nonostante i suoi tentativi successivi di salvarlo dall’oblio e di rintracciare pellicole erroneamente attribuite ad altri (il marito o uomini presenti nella casa di produzione, ad esempio) oppure senza nome della regista, visto che allora risultava in evidenza la casa produttrice o la distribuzione. Al momento si ha certezza solo di una cinquantina di pellicole, visionate e catalogate; alcune sono riversate su dvd, vari frammenti si trovano su internet.
Rientrata in Francia dagli Usa dopo la fine del matrimonio, Alice si dedicò a conferenze e alla narrativa grazie a racconti, fiabe e novelle, firmate tuttavia con pseudonimi fantasiosi, al maschile, mentre la speranza di rimanere in àmbito cinematografico grazie a sceneggiature da lei scritte non ebbe seguito. Nel 1940 iniziò la sua autobiografia, pubblicata in Francia solo postuma, nel 1976, per fare finalmente chiarezza sul proprio operato e mettere ordine nelle notizie, spesso confuse o erronee, che la riguardavano; il volume, intitolato Memorie di una pioniera del cinema, è uscito in Italia per le Edizioni Cineteca di Bologna nel 2008.

Nel 1955 le fu assegnata la Legion d’onore e due anni dopo fu celebrata alla Cinématheque Française. Nel 1964 ritornò negli Usa per cercare di recuperare il più possibile fra i materiali da lei girati agli albori della carriera, talvolta utilizzando il cronografo, ma non ebbe fortuna. Morì completamente dimenticata nel New Jersey, a Maryrest, presso Mahwah, in una residenza per anziani il 24 marzo 1968; neppure una riga comparve sulla stampa. La sua sepoltura nel 2012 è stata sostituita e abbellita dal logo della Solax e da una nota sulla sua straordinaria attività professionale.
Scorrendo la lista di onori tributati dopo la morte, viene da dire che il mondo del cinema e della cultura in generale si è ricordato di lei tardivamente, quando ormai non poteva rimediare alle sue delusioni e amarezze per essere stata troppo a lungo ignorata nella storia della cinematografia. Ecco allora arrivare un bel documentario del 1996 girato da Marquise Lepage, un musical dedicato alla nascita del cinema di cui è protagonista (2002), una ampia e dettagliata biografia della studiosa Alison McMahan, un monumento sul sito della Solax; una piazza le è stata intitolata a Parigi e un premio per valorizzare giovani registe di talento ha preso il suo nome; e potremmo continuare.
Ma torniamo al suo effettivo contributo alla storia del cinema. Nel suo saggio Le donne del cinema. Dive, registe, spettatrici (Laterza), Veronica Pravadelli scrive di Guy: «Indubbiamente molti film della regista condividono tematiche e forme del cinema dell’epoca: ma li contraddistingue uno sguardo e un punto di vista femminile che rovescia o mette in discussione modelli di comportamento, cliché e stili di vita». Guy, infatti, utilizza sovente l’arma dell’ironia, fonde con consapevolezza «le tematiche legate alla femminilità, e per estensione al rapporto di gender, con il registro della commedia», divertendosi a rovesciare i ruoli di genere e a giocare con creature ben poco rassegnate o remissive. Pensiamo ad esempio al corto La signora e le sue voglie (1906) in cui una donna incinta, a passeggio col marito in funzione decisamente subordinata, è attratta da altre persone per strada a cui ruba ciò che hanno in mano: un bicchiere, una pipa, un lecca-lecca, guarda caso oggetti di forma assai allusiva, che lei golosamente succhia, beve, mangia, fuma con grande piacere e chiara sensualità.

Filma melodrammi e storie a sfondo sociale (The Strike), da cui emergono rapporti di coppia paritari (A House Divided, Matrimony’s Speed Limity), ma anche mette al centro delle pellicole uomini preda dell’alcol e dei vizi, da redimere, e donne spericolate che compiono vere acrobazie e non disdegnano atti audaci: in Dick Whittington e il suo gatto la regista non esitò a far esplodere davvero una barca. Altrove la donna rappresenta l’ancora di salvezza, colei che risolve le questioni familiari e tutela i valori, come in La ragazza sulla poltrona (1912). Talvolta protagonista è una bambina coraggiosa e altruista, come in Falling Leaves (su You Tube), tratto da un racconto di O.Henry, in cui Guy impiegò una famosa piccola attrice prodigio dell’epoca: Magda Foy, per la critica qui al suo meglio nell’intera carriera. La preziosa pellicola è conservata nella Biblioteca del Congresso a Washington. In film più brillanti si ispirava a balli in voga (polka, bolero, tango) o giocava a scambiare abiti e ruoli, con travestimenti spassosi; in altri è influenzata da testi letterari (Il pozzo e il pendolo) o da eventi storici, come in The Empress (L’imperatrice) del 1917, sopravvissuto a spezzoni. Colpisce l’idea geniale di filmare una modernissima danza vorticosa con l’abito che guizza leggero in Danse serpentine (1897) e in Danse excentrique (1902) con la ballerina Lina Esbrard (entrambi su You Tube) e, ancor più stupefacente, il fatto che crei un cortometraggio privo di stereotipi con tutti interpreti di colore, il primo di cui si abbia notizia: A Fool and his Money, con l’attore James Russell.

Dalle immagini che si possono rintracciare, pur nella loro staticità, è evidente che fu una antesignana in tutti i generi che poi sono nati e si sono diffusi: dal western all’horror, dal dramma sociale alla commedia in luoghi ameni o esotici; si vedono infatti pistoleri, lavoratrici chine sulle macchine da cucire, vampiri, femmine fatali, paesaggi incontaminati, ambienti cupi e minacciosi. Altro caso significativo: nel 1912 Alice rifece una pellicola realizzata nel 1906, Les résultats du féminisme, traendone il film intitolato In the year 2000: una storia di fantascienza in cui le donne esercitano un potere assoluto sul mondo e i ruoli si capovolgono. Insomma si può affermare che questa regista incredibilmente dotata aveva in mente persino il futuro del mezzo cinematografico.
Secondo gli storici del cinema (uomini in prevalenza), uno dei contributi più importanti di Alice Guy fu pure l’uso degli effetti speciali, che ottenne utilizzando la tecnica di doppia esposizione, filmando delle sequenze a ritroso o con doppia esposizione del negativo. Per esempio, nel film Le noël de monsieur le curé usò per la prima volta la sovrimpressione, mentre in A house demolished and rebuilt proiettò le immagini in ordine inverso. Malgrado abbia spaziato fra generi innovativi e temi senza precedenti, come abbiamo messo in luce, una certa parte della critica sembra insistere sul fatto che Alice non fu particolarmente propensa a girare pellicole di taglio femminista, dal momento che avrebbero potuto avere ripercussioni sul suo lavoro e sulla sua credibilità. Ma stiamo parlando di oltre un secolo fa! Non si possono pretendere prese di posizione forzando la storia: il suffragismo stesso era agli albori e Alice non era una rivoluzionaria da barricate, lei voleva stare sul set e dietro la cinepresa. Quello era il suo posto. E lì seppe dare il meglio ed esprimere la sua genialità.
***
Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

Un commento