#GamerGate. Il precursore

A quasi dieci anni di distanza è ancora difficile dare una definizione del fenomeno #GamerGate, specie quando si tenta di spiegarlo a chi non è minimamente coinvolto nel mondo videoludico. Tornare a riflettere su questi eventi, tuttavia, può essere molto utile per comprendere il moderno conservatorismo occidentale: molti degli atteggiamenti di resistenza al cambiamento e a maggiori diritti per le comunità oppresse che vediamo oggi, infatti, si sono manifestati per la prima volta durante il cosiddetto #GamerGate, una campagna diffamatoria ai danni di numerose sviluppatrici e giornaliste che ha profondamente influito sull’industria videoludica. Tutto ha inizio nel 2013 quando viene rilasciato Depression Quest, un gioco interattivo incentrato sul tema della depressione: ci immergiamo nei panni di una persona affetta da questa malattia e dobbiamo aiutarla a vivere la sua quotidianità attraverso una serie di scelte come il prendere o no le medicine o di continuare la terapia dalla/o psicologa/o; alcune scelte possono diventare non selezionabili, facendo vivere a chi gioca quell’annebbiamento mentale tipico della depressione che impedisce di prendere decisioni logiche.

La sviluppatrice Zoë Quinn (che si identifica come non-binary e usa pronomi neutri in inglese) si è basata sulla propria esperienza per Depression Quest, che ha ricevuto recensioni positive per il suo valore educativo. Online, tuttavia, molte persone sono insorte contro queste lodi: il gameplay poco tradizionale non è piaciuto e ciò è stato abbastanza ritenere che le recensioni positive siano state una farsa dettata dal “politicamente corretto”. Quinn è stata riempita di insulti e minacce che non ha esitato a rendere pubbliche; una scelta che ha intensificatogli attacchi e l’ha resa vittima di doxxing – il suo indirizzo di casa e altre informazioni private sono state rese pubbliche. Questa campagna di odio è stata alimentata e guidata dall’ex fidanzato di Quinn, Eron Gjoni, il quale ha pubblicato sul suo blog personale un lungo articolo dove ha condiviso tutti i dettagli della loro relazione, inclusi screenshot di chat ed e-mail private, insinuando anche che Quinn abbia ottenuto recensioni positive per Depression Quest grazie a una relazione sessuale con Nathan Grayson, giornalista presso le importanti riviste videoludiche Kotaku e Rock Paper Shotgun. Gjoni ha ammesso in seguito di non avere alcuna prova di quanto affermato ma il danno è ormai fatto: una moltitudine di giocatori ha utilizzato l’articolo di Gjoni per accusare Quinn di aver ottenuto recensioni favorevoli per il suo gioco grazie a favori sessuali.

La situazione è degenerata quando l’articolo di Gjoni è stato postato sul sito di estrema destra 4chan, i cui utenti hanno poi organizzato una campagna diffamatoria contro Quinn e la sua famiglia riunendosi nell’hashtag #GamerGate, coniato dall’attore Adam Baldwin. I contatti di Quinn sono stati nuovamente resi pubblici, ha subito vari attacchi hacker – durante i quali sono state rubate alcune sue foto intime che furono poi pubblicate – è stata minacciata di morte e di stupro; l’odio ha raggiunto anche la sua famiglia e chiunque fosse ritenuto vicino a lei.

Col tempo il numero dei bersagli è aumentato. L’attivista Anita Sarkeesian è stata presa di mira per la sua serie sulla sessualizzazione delle donne nei videogiochi: i livelli di odio sono arrivati al punto che alcuni utenti anonimi hanno minacciato di fare una strage nell’università dell’Oregon qualora avessero permesso a Sarkeesian di parlare a una conferenza, evento che ha portato al coinvolgimento dell’Fbi. Brianna Wu, una sviluppatrice indipendente, dopo aver preso in giro #GamerGate è diventata vittima della campagna di odio di 4chan e di un altro sito ancora più estremista e reazionario, 8chan, che hanno pubblicato online tutti i suoi contatti e indirizzi, costringendola a trasferirsi più volte. Chiunque difendesse le vittime è stato etichettato come un white knight, “cavaliere bianco” o Sjw, acronimo per Social justice warrior, letteralmente “guerriero/a per la giustizia sociale”, ed è diventato a sua volta vittima di doxxing e minacce, compresa la pratica dello swatting, ossia il chiamare una squadra Swat, reparto speciale dell’esercito americano specializzato nel contrasto al terrorismo, dichiarando che presso l’indirizzo della vittima si stessero svolgendo attività pericolose per la sicurezza nazionale.

Logo del sito 8chan

L’elenco delle vittime è lungo e sono soprattutto donne, giornaliste e sviluppatrici. Cosa si nasconde dietro #GamerGate è sia facile che difficile da spiegare. L’attività di #GamerGate si concentra tra il 2014 e il 2015 anche se i suoi effetti si propagano negli anni successivi. I siti dove avviene il coordinamento delle campagne sono principalmente 4chan, 8chan e Reddit, dove utenti si scambiano informazioni, preparano una narrativa che faccia apparire le vittime in cattiva luce, coltivano l’odio e una propaganda volta a reclutare adepti.
L’anonimato crea un clima peculiare: tutte e tutti si sentono in diritto di poter dire qualunque cosa e in qualunque modo vogliano, anche usando offese pesanti e con potenziali conseguenze giuridiche, certe/i di non poter essere identificate/i; ma qualora si tentasse di criticare questo ecosistema, l’anonimato salta immediatamente e la persona contestante diventa vittima di quanto praticato fino a quel momento. Le campagne vengono postate principalmente su Twitter, dove vengono creati account e bot che portano gli hashtag usati in tendenza – Twitter si è rivelato impreparato e incapace di gestire e contrastare questo fenomeno, e anzi il modo in cui funziona ha contribuito non poco alla diffusione di #Gamer Gate e a mettere in pericolo le sue vittime. Non c’è una vera organizzazione dietro: quello che unisce l’utenza sono dei target ben precisi e una narrativa catastrofista sugli effetti devastanti che il femminismo e il progressismo stanno avendo sui videogiochi. La natura decentralizzata del fenomeno ha reso difficile individuare i reali colpevoli o moventi. Chi è riuscito a intervistare alcuni dei partecipanti – che in maggioranza sono ragazzi bianchi americani/anglofoni – ha ricevuto risposte diverse e a volte contrastanti, spesso l’unica cosa che li accomuna è una misoginia estrema e una critica al giornalismo videoludico, accusato di essere inaccurato, sciatto, troppo politicamente schierato e di star influenzando negativamente la produzione videoludica per compiacere una piccola fetta di donne che vogliono cambiare un media a cui neanche partecipano – convenientemente ignorando che allora come adesso il numero di giocatrici è pari a quelli dei giocatori, o che sono presenti anche sviluppatrici nei team che producono i loro giochi preferiti. Questi sono anni in cui molti giochi cominciano a discostarsi dal “canone”: sempre più spesso le donne sono protagoniste della loro storia, disegnate e vestite in modo più realistico e meno stereotipato, e sempre più personaggi appartenenti a comunità marginalizzate fanno la loro apparizione. Questo è evidentemente intollerabile per questa fetta di giocatori, alimenta la loro furia misogina e razzista; le particolari dinamiche di internet creano delle vere e proprie camere di risonanza, alimentano teorie complottistiche e odio.

Non è la prima volta, sin dalla nascita di internet, che l’anonimato garantito ha permesso a certi individui di esprimere il loro odio indisturbati: #GamerGate è stato il primo che ha “esondato” nel mondo reale, grazie a influencer che hanno dato la propria opinione su questi eventi – tra i quali il noto giornalista di estrema destra Milo Yiannopoulos, che con il suo commentario sugli eventi di #GamerGate ha lanciato la sua carriera nel mondo conservatore americano. Come molti altri fenomeni online #GamerGate si è sgonfiato nel tempo, ma i suoi effetti non sono ancora del tutto scomparsi: esso è stato a tutti gli effetti il prototipo delle campagne di disinformazione e violenza provenienti dall’estrema destra, oggi a noi molto familiari e che hanno portato al potere partiti populisti che hanno fatto dell’intolleranza la loro bandiera.

Gli elementi ci sono tutti: antipatia nei confronti del “politicamente corretto”, accusato di star “contaminando” tutto ciò che c’è di bello nel mondo (intendendo spesso come “mondo” quello dei più privilegiati); identificazione di un nemico che è in genere una donna o qualcuno appartenente a comunità marginalizzate, che diventano puntualmente bersaglio di insulti misogini, razzisti e abilisti, arrivando anche a pubblicare dati sensibili se la vittima si ribella a questo trattamento; assenza di una leadership precisa, solo tante persone unite dall’odio e indirizzate dall’attività online verso precisi nemici; giornalisti accusati di star mentendo e manipolando le informazioni per far passare delle “valide critiche” come tentativi violenti di reprimere la libertà di espressione – e anzi: essi affermano che è la loro libertà di espressione a essere messa in pericolo dal femminismo; anche le tecniche usate per insultare e minacciare sono le stesse, compresi i luoghi in cui si incontrano, 4chan e 8chan. Chi ha difeso questo movimento ha affermato che tutto quanto è stato finora descritto non sia mai avvenuto («Literally who», «Letteralmente chi?» scrivono nelle tag dei post delle discussioni) o che sia frutto di una minoranza particolarmente vocale, mentre la maggior parte dei sostenitori si è sempre mantenuta civile; per lungo tempo hanno negato i legami con fazioni dell’estrema destra e ultra-conservatrici, portando a sostegno dei sondaggi fatti con dubbi mezzi che dovevano dimostrare che i sostenitori del #GamerGate erano in realtà centristi/progressisti preoccupati dagli sviluppi che la narrativa femminista stava avendo sul mondo videoludico. #GamerGate sembra essere stata la risposta conservatrice al cambiamento culturale attorno all’identità del gamer: per molto tempo il videogioco è stato considerato un hobby per giovani uomini eterosessuali, con prodotti pensati e modellati sui loro bisogni e desideri; quando è diventato più comune sempre più donne hanno potuto emergere come giocatrici e sviluppatrici e trovare una propria voce contro una rappresentazione misogina e stereotipata delle donne nei media, con il mercato che si è adattato a questa nuova fetta creando prodotti specifici per loro.

Una scelta che ai sostenitori di #GamerGate non è andata giù e che anticipa quello che abbiamo visto di recente con le proteste contro il recente remake de La sirenetta, perché Ariel è interpretata dall’attrice e cantante afroamericana Halle Berry invece che da una donna bianca. Sessismo e discriminazioni sono un problema noto nel mondo videoludico: contro le intenzioni dei suoi ideatori #GamerGate ha reso queste questioni mainstream e avviato una sincera discussione, portando alla creazione di videogiochi meno dannosi dal punto di vista della rappresentanza. I promotori di #GamerGate, che non hanno mai del tutto abbandonato la loro “lotta”, oggi si sono spostati su altri fronti, da QAnon – gruppo di cospirazionisti di estrema destra che è stato fondamentale per l’elezione di Donald Trump – a movimenti di natura populista e reazionaria. #GamerGate è stato il primo atto della risorgenza di un movimento reazionario e becero che ha tutta l’intenzione di sopprimere qualunque progressismo. Per studiare il mondo della menosfera e dei rigurgiti di estrema destra, episodi come #GamerGate non posso essere ignorati o sminuiti.

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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.

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