Purple economy

Il fenomeno della Globalizzazione è qualcosa che, ormai, non è più così recente e dall’aria inedita, ma anzi, è un meccanismo decisamente consolidato nell’attualità, parte di noi e di tutto ciò che ci riguarda. Qualsiasi tipo di fenomeno (economico, tecnologico o sociale che sia), tende a riflettersi su scala mondiale, e questo avviene sempre più intensamente e velocemente. Ce ne siamo accorti con il passare del tempo: le vecchie strutture si stanno incrinando, i vecchi equilibri si stanno rompendo sotto l’effetto combinato di cambiamenti geopolitici, demografici e tecnologici e delle sempre maggiori aspirazioni dei popoli alla libertà e al benessere. Il risultato è un mondo gonfio di contraddizioni: la ricchezza media delle nazioni sta aumentando, ma continuano a persistere immense sacche di povertà; l’istruzione e la conoscenza risultano più diffuse, però troppe sono le aree geografiche ancora aspramente svantaggiate. 

Appare chiaro che il modello economico seguito finora non è più sostenibile nel XXI secolo e, soprattutto, non è più praticabile a lungo termine: se non si inverte questa tendenza, tale “crescita senza cultura” avrà effetti deleteri, fra cui una standardizzazione assoluta dei prodotti e un conseguente impoverimento dei contenuti, un inaccettabile spreco di risorse e l’abbandono del know-how locale.

Al contempo, auspicare a un cambiamento in grado di abbracciare un mondo così dinamico, significa mettere in discussione gli equilibri che hanno caratterizzato la struttura sociale ed economica in cui siamo cresciuti, dando così avvio a una nuova fase per la globalizzazione. È tempo quindi di dare un volto più umano alla globalizzazione per come la conosciamo oggi e di sviluppare un rapporto virtuoso tra cultura ed economia, che sia in grado di andare oltre la pura strumentalizzazione della prima e la vana stigmatizzazione della seconda. Nel mondo a cui oggi aspiriamo, infatti, la cultura non è un lusso per i ricchi o un’attività di svago per gli oziosi, ma colma il bisogno di significato della comunità umana, e permea tutti i processi produttivi moderni. Una solida base culturale è punto di partenza imprescindibile per la costruzione della società di domani. La cosiddetta Purple Economy (che in italiano sarebbe Economia Viola) si propone di lavorare proprio su questa trasformazione, al fine di edificare un sistema economico che abbraccia la cultura come risorsa fondamentale.


Jérôme Gouadain, segretario generale e fondatore di Diversum

Il termine Purple Economy è emerso per la prima volta nel 2011, in Francia, in un manifesto pubblicato su LeMonde. Tra i firmatari figuravano i membri del consiglio direttivo di Diversum, che ha organizzato il primo Forum internazionale sulla Purple Economy con il patrocinio dell’Unesco, del Parlamento europeo e della Commissione europea. Diversum è un’associazione fondata in Francia nel 2006 che si è sempre occupata di mettere in discussione i legami tra economia e cultura nell’ambito della globalizzazione. Il messaggio originale sviluppato e diffuso dall’associazione consiste nel rappresentare la cultura non come un settore isolato dal resto, ma piuttosto come un ambiente, un sub-strato che alimenta tutte le attività umane, in particolare quelle economiche. In cambio, tutte queste attività umane hanno un impatto sull’ambiente culturale, ovvero ciò che Diversum definisce “impronta culturale”.

Tale approccio trasversale fa della cultura un nuovo campo di responsabilità e opportunità attraverso la globalizzazione. La Purple Economy risulta essere una combinazione di due percorsi: l’adattamento alla diversità (approccio orizzontale) e la promozione di beni e servizi attraverso la cultura (approccio verticale). In primo luogo, infatti, si impegna affinché tutti i processi economici adattino beni e servizi alle caratteristiche uniche di ogni cultura, nel rispetto e nella tutela delle diversità. Il secondo percorso del motore economico della diversità, poi, incoraggia un uso più limitato delle risorse naturali: promuovere culturalmente beni e servizi significa attingere a materiali essenzialmente simbolici. Già molti anni fa, la comunità internazionale e l’Unesco riconoscevano alla cultura un ruolo centrale nella concezione dello sviluppo sostenibile e determinante per la qualità della vita. La dimensione culturale, infatti, è indissociabile dall’economia quotidiana: anche per questo essa trova un posto importante nelle politiche pubbliche e nelle strategie aziendali. 

In tale contesto, i territori che meglio conserveranno gli elementi originali della loro identità potranno beneficiare di reali vantaggi competitivi, se risulteranno essere in grado di valorizzarli. Da questo punto di vista, infatti, la Purple Economy è per sua natura universale: tutti i territori, compresi quelli meno dotati economicamente e tecnologicamente, hanno un messaggio culturale da condividere. Si tratta di dare a ciascuno di loro la possibilità di mostrare ciò che li rende unici, in un mondo in cui l’omogeneizzazione è un segno di devitalizzazione. L’evoluzione che la Purple Economy porta può aprire la strada a una prosperità globale, più rispettosa dell’ambiente naturale e più equamente distribuita. D’altronde il viola è il colore della creatività e dell’immaginazione, le cui sfumature esaltano le diversità di ogni individuo, purché nel rispetto delle libertà fondamentali. Ogni azione umana, l’abbiamo detto, ha un’impronta culturale, quella che Diversum definisce “cultural footprint”: la Purple Economy rappresenta la parte dell’attività umana che contribuisce a migliorare tale impronta, al fine di promuovere la ricchezza culturale e la splendida varietà che il mondo ci offre. Questo tipo di economia si contraddistingue per essere trasversale e, essendo principalmente immateriale, consuma poche risorse naturali (anche per questo la Purple Economy è strettamente connessa alla cosiddetta Green Economy, l’economia ecologica). Essa contiene i semi di una nuova crescita, una nuova alleanza fra cultura ed economia, che vuole risultare in uno sviluppo per tutti gli interessi in gioco: un migliore adattamento delle imprese al mercato e una maggiore efficienza delle loro operazioni, attraverso la comprensione profonda delle persone per le quali e con le quali lavorano. Poiché quindi, tutti abbiamo interesse a sfruttare al meglio questo potenziale, anche economico, dobbiamo iniziare ad attuare una rivoluzione Purple adesso, senza perdere altro tempo.

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Articolo di Chiara Giacomelli

Laureanda in Management presso l’Università di Pavia. Ama le cene in compagnia e leggere un libro che la tenga incollata fino ad addormentarcisi sopra. Ha tanti sogni nel cassetto, ma non sa da quale cominciare… perciò per adesso si limita a “fare la fuorisede” e a scrivere la tesi, sempre in compagnia delle sue cuffiette, da cui non si separa mai, e di una tazza di tè fumante.

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