Il labirinto e lo specchio. Parte prima

«...la donna vaginale prova angoscia e senso di colpa per ogni tipo di piacere suo proprio e si associa all’uomo nel disprezzo dell’orgasmo clitorideo, poiché ha terrore di scoprirsi come essere umano al di fuori del destino di coppia, cioè dell’unione gratificata con l’essere superiore». Carla Lonzi, La donna clitoridea e la donna vaginale, Milano, Rivolta Femminile, 1971.

«Il mistero che la donna è, costituisce dunque l’obiettivo, l’oggetto e la posta in gioco d’un discorso maschile, d’un dibattito tra uomini che non dovrebbe interessarla, coinvolgerla. Del quale, al limite, non dovrebbe saper niente». Luce Irigaray, Speculum l’altra donna, Milano, Feltrinelli, 2017, a cura di Luisa Muraro (Speculum de l’autre femme, Paris, Les Èditions de Minuit, 1974). 

8 marzo 2019, a Milano si fa largo la notizia che la statua in memoria di Indro Montanelli custodita nei giardini a lui intitolati, è stata imbrattata di vernice rosa dalle femministe di Non Una di Meno. La statua viene ripulita. Se ne chiede la rimozione ma dopo un breve tergiversare tutto tace. Nel 2020 la statua viene nuovamente imbrattata, stavolta di rosso e dai collettivi studenteschi e sul suo nome viene posta una duplice e inequivocabile accusa: «razzista stupratore». Se un idolo simboleggia in forma materiale l’impalpabile stima verso qualcuno che si sia distinto, generalmente per merito, all’interno di una comunità… a cosa è dovuta la tenacia di questo rifiuto?
È mediante gli ormai domestici social network – le agorà virtuali del XXI secolo – che la maggior parte della popolazione viene a contatto con notizie che difficilmente al giorno d’oggi ricercherebbe su carta stampata. Il merito va certamente alle pagine di divulgazione scientifica, storica, letteraria, ecc. Boccate d’aria fresca nel sensazionalismo a breve scadenza del web. A tal proposito, da un po’ di tempo, iniziano a circolare dei video riportati alla ribalta da queste pagine. I video diventano virali. La gente inizia a cercare su Google approfondimenti correlati. Si tratta di una dichiarazione che Montanelli rilasciò al programma tv L’ora della verità di Gianni Bisiach nel 1969, scontrandosi con l’attivista femminista Elvira Banotti che gli chiese apertamente come si configurassero i suoi rapporti con le donne dal momento che non si era fatto scrupolo a violentare una bambina di dodici anni, raccontando con fare compiaciuto: «Pare che avessi scelto bene. Era una bellissima ragazza bilena di dodici anni. Scusatemi, ma in Africa è un’altra cosa», azione che – appunto – non avrebbe potuto osare con una dodicenne bianca caucasica, in Europa.
Indro Montanelli, giornalista e scrittore, si era arruolato come volontario all’epoca del colonialismo fascista in Africa, più precisamente nella guerra di invasione d’Etiopia del 1936. Giunto ad Asmara, aveva acquistato una giovanissima concubina eritrea, detta madama. Il madamato designava la tendenza a stabilire relazioni more uxorio tra giovanissime donne indigene native delle colonie, spesso preadolescenti se non proprio bambine, e coloni italiani. Questo fenomeno tentava di trovare radicamento nell’usanza locale del dämòz (o nozze per mercede) che, seppure a sua volta appartenente a una tradizione discutibile, avrebbe previsto tutta una sfera di obblighi – soprattutto pratici ed economici – verso sposa, famiglia d’origine ed eventuale prole, che furono completamente ignorati dai cittadini italiani. Essi entravano letteralmente in possesso di piccole schiave che deputavano a soddisfare bisogni sessuali e domestici per poi abbandonarle. Dal 1937 il madamato venne proibito per regio decreto-legge e poi penalmente perseguito, ma solo perché giudicato lesivo per integrità della razza e prestigio nazionale.

Elvira Banotti, giornalista e scrittrice, era nata ad Asmara e aveva vissuto in Africa per i primi trent’anni della sua vita, in seno a una famiglia di origini miste: italiane, greche ed eritree. Fatte queste rapidissime ma essenziali premesse, possiamo attribuire un adeguato peso non solo all’infuocato dibattito, ma anche alla dichiarazione che Montanelli fece nel 1982 ad Enzo Biagi col tono complice dei discorsi fra maschi: «non mi prendere per un Girolimoni perché a dodici anni quelle lì erano già donne. Avevo bisogno di una donna, a quell’età si capisce. La comprai assieme a un cavallo e a un fucile per 500 lire. Lei era un animalino docile».

E ancora, nel 2000 ne La stanza, sul Corriere della sera, Montanelli scrive: «faticai molto a superare il suo odore dovuto al sego di capra di cui erano intrisi i suoi capelli, e ancor di più a stabilire con lei un rapporto sessuale perché era fin dalla nascita infibulata: il che, oltre a opporre ai miei desideri una barriera pressoché insormontabile (ci volle, per demolirla, il brutale intervento della madre), la rendeva del tutto insensibile». 

Forse, ciò che desta maggiore raccapriccio è proprio la smania penetrativa su un corpo che non è solo acerbo e pubescente, ma più propriamente inerme, serrato, cucito, privato irreversibilmente della possibilità di sentirsi determinato come altro che non fosse sposa e fattrice, proprietà, oggetto: merce. Non soltanto l’abuso, quindi, ma l’abuso su un corpo a cui si è certi di non poter (e forse voler) mai procurare il benché minimo piacere. Sì, perché Destà, questo il nome della bambina, ovviamente, non era «del tutto insensibile», qualcosa, fisicamente, poteva provarlo: il dolore. 

Il primo fra gli aspetti che verrebbe subito da obiettare è che sono le madri a far infibulare le figlie, ma per trovare una risposta breve a questo si può pensare solo che le madri facciano alle figlie ciò che è stato fatto loro, destinandole a un mondo dai confini conosciuti, in qualche misura “sicuri”: poiché incapaci di provare piacere sessuale non saranno tentate da rapporti extra-coniugali né esposte all’espiazione della colpa. La pratica ha lo scopo di conservare la ragazza vergine dandone prova certa al futuro marito. Tradizionalmente infatti è lui a “spacchettarla” dopo le nozze, tagliando il filo con un coltello, per poi scucirlo (defibulazione) e consumare il rapporto sessuale. 

Canto delle vecchie

Una volta eravamo camerate,
ma ora vi dò ordini, perché sono un uomo – vedete – 
e ho in mano il coltello
e vi opero.

La vostra clitoride, che custodite sì gelosamente,
io la strapperò, la getterò a terra,
perché sono un uomo, oggi.

Ho il cuore di pietra: 
altrimenti non potrei operarvi.

Dopo vi cureranno la ferita,
e io saprò molte cose:
conoscerò quelle che si curano,
quelle che si trascurano.

Canto delle giovani

Non parlate in tal modo, sorelle.
Il mio cuore è impaurito.
Ho grande terrore.
Se potessi mutarmi in uccello! 
Come presto me ne volerei!

Questo canto iniziatico di vecchie e giovani mentre viene praticata l’escissione della clitoride alle ragazze Manja, Ubanghi, in Africa si trova nella seconda pagina del libro La donna clitoridea e la donna vaginale di Carla Lonzi, laquale afferma che sorta di colmo rappresenti, nella colonizzazione, il divieto di ricorrere a soluzioni abortive e quanto questo sia indice di privazione dell’autonoma sessualità delle donne. Prosegue Lonzi:«Il sesso femminile è la clitoride, il sesso maschile è il pene. La vagina è la cavità del corpo femminile che accoglie lo sperma dell’uomo e lo inoltra nell’utero affinché avvenga la fecondazione dell’ovulo. È attraverso questa cavità che il corpo del figlio esce da quello della madre. Il momento in cui il pene dell’uomo emette lo sperma è il momento del suo orgasmo. La vagina è dunque quella cavità del corpo femminile in cui, contemporaneamente all’orgasmo dell’uomo, inizia il processo di fecondazione. Nell’uomo dunque il meccanismo del piacere è strettamente connesso al meccanismo della riproduzione, nella donna meccanismo del piacere e meccanismo della riproduzione sono comunicanti, ma non coincidono. Avere imposto alla donna una coincidenza che non esisteva come dato di fatto nella sua fisiologia è stato un gesto di violenza culturale che non ha riscontro in nessun altro tipo di colonizzazione».

Carla Lonzi, La donna clitoride e la donna vaginale, Milano, Rivolta Femminile, 1971.

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Articolo di Roberta Russo

Attrice, modella d’arte e scrittrice di origine calabro-campana. Dopo un’esperienza di vita in Lettonia, attualmente abita tra Roma e Firenze. Terminata la formazione attoriale ha intrapreso un percorso universitario in Discipline, arti e scienze dello spettacolo presso l’Università “La Sapienza” di Roma e pubblicato il suo primo libro Io sono onda di mare nel 2023.

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