Dopo aver imposto un limite alla visualizzazione giornaliera di tweet – 6000 per gli account abbonati, 600 per quelli non abbonati e 300 per quelli nuovi – Elon Musk ha fatto compiere a Twitter un altro passo verso il baratro. Le motivazioni e le conseguenze di questa scelta sono presto dette: ufficialmente Musk intende limitare il data scraping, ossia la pratica di analisi massiccia dei dati attraverso software esterni utilizzata da società di intelligenza artificiale (come Open Ai, proprietaria di Chat Gpt) o aziende governative, di modo che queste terze parti paghino per potervi avere accesso – dati importantissimi per le campagne di marketing e per percepire l’umore dell’utenza in vista di eventi importanti come le elezioni di un Paese. Nella realtà pare che il problema sia il costo dei server: nel 2021 Twitter ha guadagnato 1,5 miliardi di dollari contro 5 miliardi di spese per mantenere i server su cui opera, che sono proprietà di Google, una tendenza negativa che dura da anni e che Musk ha ereditato dopo la sua acquisizione nel 2022 per 44 miliardi di dollari.

Per cercare di recuperare denaro Musk ha introdotto il servizio Twitter Blue, un abbonamento mensile di 8,99 dollari che permette di accedere a particolari funzioni come maggiore visibilità e un limite più alto di caratteri utilizzabili. Le entrate dagli abbonamenti si sono tuttavia rivelate insufficienti e, in vista della data di scadenza del contratto di affitto dei server su cui Twitter opera, Musk pare abbia cercato di correre ai ripari limitando la visibilità dei post e riducendo il numero di volte in cui un sito esterno poteva incorporare un tweet nella propria pagina, diminuendo così il carico sui server. Il risultato è stato che Twitter è stato inutilizzabile per un giorno intero, lasciando l’utenza scontenta e adirata soprattutto dopo l’annuncio delle limitazioni. Quest’ultime potrebbero essere un ulteriore colpo per una piattaforma già in crisi: meno tweet sono visibili meno tempo l’utenza rimarrà sul social, e ciò vuol dire che meno gente vedrà le pubblicità – la vera fonte di guadagno del sito – per cui le aziende smetteranno di pagare per avere uno spazio pubblicitario e andranno altrove (forse da Meta, che lancerà il suo equivalente di Twitter, Thread, tra poche settimane). Qualora Musk intenda fare di Twitter Blue la nuova fonte di guadagno del sito dovrà rendere Twitter abbastanza appetibile per convincere l’utenza a pagare: salvo per i fan più accaniti dello stesso Musk e alcune aziende, tuttavia, Twitter Blue non sembra essere in grado di riempire la voragine finanziaria in cui il sito sta cadendo. Il contratto con Google scadrà il mese prossimo ed è impossibile prevedere un lieto fine: le aziende stanno andando via e molte/i utenti migrando verso altri siti come Tumblr, Mastodon e Blue Sky; migliaia di dipendenti sono stati licenziate/i, comportando un minore controllo e un conseguente aumento di campagne di odio e attacchi hacker, fatto che sta contribuendo allo spopolamento della piattaforma. Twitter da solo non può far fronte all’enorme debito da pagare ed è difficile pensare che Musk intenda mettere quei soldi di tasca propria.
Cosa può comportare la fine di uno dei social media più famosi? E come si è arrivati a questo? Facciamo un passo indietro: Twitter nasce nel 2006 dai membri di Odeo, un’azienda californiana che intende creare una piattaforma per podcast funzionante in modo simile a una casella vocale. Battuta sul tempo da Apple, Odeo riconverte il progetto in un servizio che possa permettere all’utenza di comunicare con una cerchia ristretta attraverso messaggi simili a sms. L’idea è di Jack Dorsey, uno dei fondatori di quello che diventerà poi Twitter. Da allora la piattaforma ha avuto un enorme successo ed è stata protagonista di eventi storici: per esempio, il 22 gennaio 2010 l’astronauta americano Timothy Creamer manda il primo tweet dalla Stazione spaziale internazionale sull’account della Nasa, che da allora posterà regolarmente foto e video della Terra dallo spazio.
La chiave del successo di Twitter sta nella sua interfaccia semplice ed intuitiva e nella sua immediatezza d’uso: sia il sito che l’applicazione sono leggeri, permettendo di utilizzarli anche con poca connessione a disposizione – una caratteristica che si è rivelata fondamentale nelle emergenze, come durante il terremoto dell’Aquila nel 2009 o le primavere arabe, contribuendo a diffondere velocemente le immagini e i video dei danni del terremoto e delle proteste represse dalla polizia. I tweet hanno un limite di 140 caratteri, poi alzato a 280 nel 2017; un tweet efficace deve essere semplice e di facile comprensione, spesso è necessario utilizzare abbreviazioni e il gergo tipicamente usato negli sms. Qualora sia essenziale un approfondimento si possono utilizzare i thread, tweet pubblicati uno appresso all’altro che consentono di condividere un messaggio più lungo. Per interagire con un tweet oltre a mettere il classico Mi Piace si possono utilizzare le Risposte o le Citazioni, a seconda di quanto si voglia allargare la conversazione al di fuori della propria utenza.
“Immediatezza” è la parola d’ordine su Twitter, l’elemento che lo contraddistingue dai suoi rivali come Facebook e Instagram: meglio evitare testi eccessivamente elaborati e con parole lunghe, ben vengano immagini e video, solo occasionalmente scrivere thread di approfondimento. Ciò lo ha reso un luogo di ritrovo per chi si dedica alla creazione di materiale visivo: le artiste e gli artisti possono facilmente trovare e interagire con persone disposte a commissionare loro un’opera dopo aver visionato la loro galleria. Particolarmente apprezzate sono le battute ironiche, che vengono frequentemente repostate sugli altri social media. Frequentemente gli appassionati e le appassionate di un determinato prodotto mediatico si ritrovano su Twitter per poter commentare in diretta le loro impressioni, come accade durante eventi come il Festival di San Remo e l’Eurovision o all’uscita di un album musicale o una serie tv. Accademiche e accademici lo usano per poter condividere le proprie ricerche e ottenere delle opinioni a riguardo anche da chi è al di fuori del loro ambiente. È però durante i momenti di crisi che Twitter si è reso protagonista: oltre ai già citati esempi dell’Aquila e delle primavere arabe, più recentemente è stato fondamentale per diffondere i video e le testimonianze della guerra in Ucraina e degli scontri in Francia; ancora prima è servito per documentare le violenze nella striscia di Gaza, le proteste in Iran e Hong Kong, e l’evolversi della situazione nel Sud Sudan. Moltissime esperte ed esperti hanno potuto dare le loro opinioni “a caldo” sui loro campi di competenza – come ha fatto il dottor Roberto Burioni durante la pandemia, usando il proprio profilo Twitter per diffondere notizie sul Covid 19 e sfatare miti e menzogne sui vaccini. Gli attivisti e le attiviste usano spesso Twitter per poter coordinare le loro azioni: durante le proteste a seguito della morte di George Floyd nel 2020 i membri di BlackLivesMatter usavano la piattaforma per fissare orario e luogo di incontri, scambiarsi informazioni sul posizionamento della polizia, dare istruzioni su come comportarsi nel caso si fosse stati colpiti da gas lacrimogeni o spray al peperoncino e sul percorso dei cortei, indirizzare i soccorsi sui feriti. È quindi uno dei social preferiti di giornaliste e giornalisti, che possono aggiornare e aggiornarsi in pochissimo tempo sui principali eventi in giro per il globo e battere le notizie quasi in contemporanea.

Quando nel 2022 Musk ha deciso di acquistare Twitter egli ha spiegato che a spingerlo è stata l’eccesiva censura: a detta del miliardario, lo stringente regolamento implementato per difendere l’utenza da odio razziale, omotransfobico e misogino aveva finito per intaccare la libertà di opinione delle persone, che si ritrovavano a dover moderare in continuazione il proprio linguaggio e contenuto pena l’essere prese di mira da centinaia di insulti. Musk ha anche criticato il problema dei bot, account che creano contenuti in modo automatico, che causerebbero finte interazioni andando a danno di chi fornisce contenuti genuini. Convinto di poter risolvere questi problemi, i suoi cambiamenti si sono rivelati peggiorativi: “l’amnistia” elargita a tutti gli account bannati da Twitter ha permesso il ritorno di personalità estremiste, odiatori e odiatrici di professione che non hanno esitato a riprendere ad attaccare le loro vittime; a farne le spese, ovviamente, sono state soprattutto le minoranze. I licenziamenti di massa hanno reso più difficile moderare la piattaforma, lasciando campo libero non solo a troll e molestatori o molestatrici, ma anche ad hacker: è di non molto tempo fa la scoperta di una grave breccia nella sicurezza del sito, che avrebbe permesso a qualunque malintenzionato di potersi appropriare di terabyte su terabyte di dati sensibili.
Twitter Blue è stato creato con l’intenzione di rendere più semplice identificare ed eliminare i bot; invece non solo i bot hanno continuato e continuano tuttora a proliferare indisturbati – ironicamente, molti di questi account automatici sono iscritti a Twitter Blue – ma ha sensibilmente peggiorato la vivibilità sul sito: il fatto che i post di utenti abbonati abbiano la priorità di visibilità nelle risposte ha portato molte persone a iscriversi al servizio solo per avere la certezza che i propri messaggi di odio fossero letti da più individui possibili, garantendo interazioni basate sull’indignazione. Twitter Blue è stato sfruttato anche da chi diffonde disinformazione, rendendo significativamente più difficile il lavoro di accertamento delle notizie e facilitando la diffusione di dati falsi, spesso le correzioni sono sommerse sotto decine di post di abbonati a Twitter Blue che continuano a diffondere bugie e mezze verità. Ciò sta danneggiando soprattutto il lavoro di giornaliste e giornalisti: chi non paga l’abbonamento ha trovato moltissima difficoltà a riuscire a stare al passo con le notizie, portando alcune/i a decidere di abbonarsi pur controvoglia o ad abbandonare Twitter.
La timeline – il luogo dove si può visionare il contenuto degli account seguìti – è stata divisa in due, una che mostra solo gli account seguìti e l’altra che mostra contenuti suggeriti in base alle interazioni. Il risultato è che nella seconda timeline appaiono quasi esclusivamente account che non si seguono; ciò porta molte persone a stare sulla prima, a scapito però della quantità e qualità delle notizie trovabili. I continui cambiamenti dell’algoritmo hanno reso inaffidabili le tendenze, dando risalto a fatti di poco conto rispetto a eventi più importanti. A tutto ciò si aggiunge il debito crescente che Twitter sta maturando, col serio rischio di una bancarotta imminente.
Viene da chiedersi il perché di tutto questo. C’è chi dice che sia un piano di Musk in vista delle elezioni del 2024 per la presidenza degli Stati Uniti, per manipolarle a favore del Partito Repubblicano sfruttando uno dei social media ritenuto fondamentale per l’elezione di Joe Biden; altri dicono che sia perché alcuni giornalisti stavano indagando sulle difficoltà della sua azienda, Tesla, e abbia comprato Twitter per insabbiare le notizie a riguardo, evitandone la diffusione; altri ancora ritengono che non ci sia alcun piano e che Musk abbia fatto tutto questo per mero capriccio e che si stia rivelando per l’incapace che è sempre stato, un uomo arricchitosi grazie all’eredità paterna che ha saputo vendere la propria immagine ma sostanzialmente privo di talento imprenditoriale. Al di là di teorie più o meno plausibili, una cosa è certa: è estremamente inquietante che un miliardario, in un momento storico come questo in cui il divario sociale sta impoverendo sempre più persone a scapito dei più ricchi, abbia comprato un social usato nel giornalismo e nell’attivismo e lo abbia reso inutilizzabile alle porte di un evento importante come l’elezione del Presidente degli Stati Uniti. Che sia un piano di Musk o un’incredibile coincidenza dettata dal caso, la dipartita di Twitter non può che essere un danno per l’informazione libera e il giornalismo.
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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.
