Lezioni Ucraine. Il numero di giugno 2023 di Limes. Parte prima

«Siamo nella classica situazione ante prima guerra mondiale, in cui nessuno ha molto margine per concessioni e ogni disturbo dell’equilibrio può condurre a conseguenze catastrofiche». Henry Kissinger, The Economist, 17/5/2023.

Il numero 5 della rivista Limes, Lezioni ucraine, uscito prima della rivolta, subito rientrata, di Prigožin e delle truppe della Wagner (che sarà il tema del prossimo numero), è dedicato interamente all’Ucraina, con lo scopo di farcela conoscere, un po’ come per Lezioni afgane (https://www.limesonline.com/sommari-rivista/lezioni-afghane), attraverso una narrazione molto diversa da quella, veicolata quotidianamente senza mai un approfondimento, dai media mainstream. Leggere questo volume è davvero apprendere una serie di lezioni, sull’impegno militare ucraino e dell’Occidente in questa guerra, sui riflessi che il conflitto ha generato nell’ordine internazionale, sulle diverse narrazioni russa e ucraina della storia di questa parte del mondo, sul sogno della distruzione della Russia da parte di una serie di Paesi, sulle formazioni di destra in Ucraina e su molto altro. I sottotitoli scelti dalla redazione sono tre: Kiev lotta per la sopravvivenza, Washington non le parla più di Nato, Miraggi di tregua e guerra incontrollata.

Il numero di giugno è talmente ricco di spunti, dati e riflessioni, che richiede una recensione in due parti. Questa volta per cominciare partirò da un articolo a firma John Florio, lo pseudonimo dietro cui, a parere di chi scrive, si cela proprio il Direttore della rivista e che abbiamo imparato a conoscere nel n. 2/2023, La Polonia imperiale (https://www.limesonline.com/sommari-rivista/la-polonia-imperiale). John Florio è personaggio interessante, umanista arguto e sottile, una scelta che ben si attaglia all’acutezza e alla profondità di pensiero, nonché alla sterminata cultura, di Lucio Caracciolo. Geopolitica come relazione (Apologia di Diodoto) è il titolo di questo interessante approfondimento, vivamente consigliato a tutti e tutte coloro che, a vario titolo, sono coinvolte/i nelle decisioni della cosiddetta Guerra Grande. Lo studio della storia e quello delle lettere classiche sono importanti e proprio da Tucidide e dal suo La guerra del Peloponneso parte la riflessione di Florio. Le parole riportate dal grande storico greco sono di Diodoto, che prova a convincere gli Ateniesi (“L’America di allora”) a non seguire la linea di Cleone, che li spingerebbe, per punire i ribelli di Mitilene, a reagire con spietatezza e violenza, prevedendo come punizione esemplare l’uccisione di tutti i maschi adulti. «Chi delibera con ponderatezza ha più potere sugli avversari di chi si affida a una politica grezza e violenta, senza il lume della riflessione». Il consiglio di Diodoto non è nell’interesse dei Mitilenesi ma degli Ateniesi e da qui parte Florio con la sua analisi calata sul presente del conflitto russo-ucraino.

La ribellione di Mosca all’ordine internazionale americano,compiuta con l’aggressione all’Ucraina, «ha sprigionato in Occidente dinamiche analoghe a quelle descritte due millenni fa da Tucidide. La risposta al plateale atto di ribellione russo è stata quella di promuovere il collasso economico, politico e militare di Mosca, ovvero il regime change. Non solo per vanificare il tentativo russo di sfidare la Pax Americana in Europa, ma anche per mandare un chiaro monito alla Cina nell’Asia-Pacifico[…] Donde l’incondizionato, illimitato e interessato supporto militare e finanziario a Kiev». L’autore dell’articolo ricorda che nell’aprile 2022 Zelens’kyj stava per firmare un accordo con la Russia che avrebbe posto fine alle ostilità in cambio della neutralità ucraina, ma che Boris Johnson (come ha rivelato una fonte vicina al Presidente Zelens’kyj confermata anche da fonti americane) si precipitò in Ucraina per dissuaderlo, comunicandogli che su questo l’Occidente non sarebbe stato d’accordo. Fin dal 2014 il compito dell’Ucraina non era quello di cercare il compromesso con la Russia, ma di combatterla con il denaro e le armi americane. È chiaro a tutte e tutti che la storia è andata diversamente e che la guerra finanziata dall’Occidente, che sta «distruggendo l’Ucraina nella speranza di indebolire la Russia», si è tradotta in un inutile bagno di sangue ai cancelli d’Europa e ha finito per favorire la formazione di un «blocco euroasiatico unificato ostile all’influenza e al potere americani». Le opinioni pubbliche europee, Italia inclusa, sono contrarie al prolungamento della guerra e lo hanno dimostrato con proteste. La richiesta di armi e munizioni da parte Ucraina è continua (da ultimo anche per le cluster bomb, bandite dalla Convenzione di Ottawa e dalla maggior parte dei Paesi Ue e che ipocritamente il capo ucraino ha promesso di non usare) e l’Occidente non riesce a tenerne il passo. Inoltre, sta infliggendo costi altissimi all’economia globale (2,8 trilioni di dollari persi nel 2023 secondo l’Ocse). Quel che è più grave è la polarizzazione del sistema internazionale, spaccato in due blocchi geopolitici, di cui quello occidentale, che comincia a non credere più nei superpoteri americani, è «numericamente, demograficamente ed economicamente il più piccolo». Così continua Florio: «Evocando lo spettro di anti-Occidente, l’aperto sostegno di Washington a Kiev sta così accelerando, in una paradossale eterogenesi dei fini, la perdita di influenza degli Stati Uniti a livello globale, «rendendo evidente la fine della Pax Americana». E incoraggiando la transizione in atto per sostituire il dollaro come valuta di riserva. In breve, come riconosciuto dal presidente dell’influente Council on Foreign Relations, dal centro della guerra in Ucraina «si sta irradiando il disordine». Per questo gli Usa stanno ripensandoci, cercando di mettere in atto la virtù politica che i greci chiamavano phronesis, nella necessità di «ampliare il raggio della visuale geopolitica, finora ristretto all’evento immediato («la brutale e ingiustificata aggressione russa») e appiattito sull’approccio legalistico, quando non moralistico, alla questione («l’inaccettabile violazione del diritto internazionale»)».

L’articolo procede nella sua analisi per concludersi, anticipando quello che tutti sentiamo, cioè che una negoziazione, dopo la controffensiva ucraina, sarà assolutamente necessaria, con alcune preziose riflessioni: «La politica, dopo tutto, è l’arte del possibile, non la šarī‘a dei (presunti) valori assoluti. E il suo strumento è il compromesso (non la lapidazione del diverso). In un delicato e sempre cangiante equilibrio tra potenza, interessi e circostanze. Nella consapevolezza, la quale i leader occidentali sembrano aver tragicamente dimenticato, che una forma di ordine internazionale non potrà essere conseguita da un solo Paese (o blocco), come hanno creduto gli Stati Uniti «unica superpotenza». Politica vuol dire relazione, e la relazione implica la capacità di accettare l’esistenza di un’alterità irriducibile alla nostra identità. Imparando a conviverci. Solo una concezione più umile e misurata di noi stessi, come Occidente collettivo, permetterà di instaurare una relazione più tollerante e costruttiva (e pacifica) con il resto del mondo, recalcitrante a conformarsi ai nostri desiderata. E solo in virtù di una tale metanoia (cambio di paradigma) sarà possibile raggiungere, dopo la guerra, un accordo generale sulla sicurezza europea».

La Prima parte è la più ricca di approfondimenti ed è dedicata a Come e perché l’Ucraina resiste. Tra i tanti contributi merita attenzione quello di Fulvio Scaglione, Chi e come decide in Ucraina, che ci dà informazioni su un organo molto potente e di cui si parla pochissimo nei media, la Corte Suprema, cui si devono decisioni clamorose, che hanno influito in modo determinante sulla vita sociale e politica del paese, come l’annullamento, nel 2005, del primo risultato delle elezioni presidenziali, che sembrava favorevole al filorusso Viktor Janukovyč, annullamento che aprì la strada a Viktor Juščenko, l’alfiere della «rivoluzione arancione». Nel 2022 la Corte suprema ha inoltre stabilito «che i simboli e le bandiere usati durante la seconda guerra mondiale dalla Divisione SS Galizia non sono nazisti e quindi non possono essere banditi dalle manifestazioni pubbliche in Ucraina». Il Presidente della Corte suprema, Vsevolod Knjazjev, è stato peraltro inquisito dalla Procura nazionale anticorruzione per bustarelle e tangenti, che spiegano come questa Corte, di cui anche il corpo separato militare è sotto inchiesta, non sia proprio imparziale come la sua natura richiederebbe. Ad arrestare Knjazjev è stato Oleksandr Klymenko,un poliziotto passato anche per l’Ufficio nazionale anticorruzione, che dal 28 luglio 2022 guida la procura speciale anticorruzionee la cui carriera è stata fortemente ostacolata, come riferisce Scaglione. Il consigliere di Limes ricorda che la Commissione Europea, pur favorevole all’ingresso dell’Ucraina nell’Ue, ha dedicato tre delle sette raccomandazioni al Governo ucraino proprio al tema della giustizia in questa regione d’Europa, che, pur proclamandosi democratica e avendo ottenuto questa “patente” da parte degli Usa e dell’Occidente, presenta zone d’ombra notevoli da sempre e non solo in periodo di guerra. Zelens’kyj ha fatto della “deoligarchizzazione” la sua bandiera in campagna elettorale, ma il potere degli oligarchi è ancora fortissimo, nonostante le leggi zelenskiane anti-oligarchi, da legislazione d’emergenza in tempo di guerra siano diventate legge marziale, provocando la fuga all’estero di molti oligarchi, poi arrestati dalle polizie straniere. Altri, come Akhmetov, il re delle acciaierie, alla fine hanno preferito allinearsi e appoggiare Zelens’kyj. Il Presidente ucraino non ha combattuto solo gli imprenditori non propriamente amanti della legalità e i corrotti. Dal 24 febbraio 2022 ha mantenuto in vita un solo canale televisivo gestito dallo Stato. Sulle radio e tv web ha previsto, con una legge liberticida che ha causato forti proteste della Federazione dei Giornalisti, un controllo serrato, che attribuisce al Consiglio nazionale per la tv e la radio, una commissione statale, potere totale di intervento e censura sui media. In Ucraina è ammesso solo parlare di «aggressione russa» mentre se qualcuno osa nominare o scrivere del «conflitto civile interno» rischia tre anni di prigione, «come se gli ucraini ribelli di Donec’k e Luhans’k non fossero mai stati ucraini, anzi fossero arrivati da Marte». E non a caso un’altra delle sette raccomandazioni della Commissione Europea al Governo ucraino riguarda proprio la libertà dei media. Come ricorda Scaglione, Zelens’kyj ha messo al bando (maggio 2022) undici partiti politici, tutti accusati d’intesa col nemico. Ha altresì fatto approvare attraverso il suo Ministro della Cultura «due leggi che vietano la stampa e la diffusione di libri di autori e autrici che dopo il 1991 abbiano mantenuto la cittadinanza russa e la riproduzione di musiche di autori e autrici russi post-sovietici. Lo stesso ministro ha poi avviato la campagna per espellere dal monastero delle Grotte di Kiev (di proprietà dello Stato ucraino, che ha registrato il suo territorio come parco culturale) i religiosi della Chiesa ortodossa ucraina-patriarcato di Mosca, mentre in parlamento si discute una legge per bandire l’intera Chiesa, a tutt’oggi riferimento spirituale di milioni di ucraini non certo amici di Putin, a favore della Chiesa ortodossa dell’Ucraina, autocefala, nazionalista e governativa, nata nel 2018». L’altro fronte su cui il Presidente si è impegnato riguarda la questione della lingua, ben raccontata nell’articolo dell’ex vicedirettore di Famiglia Cristiana.

In questa parte del volume di giugno molte sono le cosiddette “voci di dentro”, le conversazioni e gli articoli scritti da ucraini, quasi tutti sulle previsioni di ciò che potrebbe accadere alla fine della guerra e sull’idoneità di Zelens’kyj a costruire la democrazia, di cui non è mai stato un convinto assertore, essendo piuttosto un populista, anche se è sicuramente il meno a destra di quelli che potrebbero sostituirlo, come i membri di SvobodaAzov. L’articolo di Oxana Pachlovska, Grazie Italia ma è ora di conoscerci meglio, va letto per capire come il popolo ucraino ha interpretato la storia dei nostri rapporti con la loro patria nel tempo. Spiazza il giudizio negativo persino su Papa Francesco. Ma la geopolitica ci insegna che tenere conto del punto di vista degli altri popoli e Stati può soltanto arricchirci. L’aspetto economico dei danni e della ricostruzione è molto bene descritto da Fabrizio Maronta, nel suo La guerra presenta il conto, in cui il collaboratore di Limes denuncia le sue perplessità sul primo schema di ricostruzione reso pubblico nel settembre 2022 dal German Marshall Fund statunitense, con l’evocativo titolo: Designing Ukraine’s Recovery in the Spirit of the Marshall Plan. Da leggere in questo approfondimento, accurato in ogni sua parte, il pezzo finale, che riguarda l’ingresso dell’Ucraina nella Ue e la vicenda del grano destinato all’Africa, rivelatrice della nostra grande ipocrisia. Scrive Maronta: «Il copione si ripete: delle circa 25 milioni di tonnellate di granaglie esportate nei primi mesi del 2023 dall’Ucraina in base all’ accordo (appositamente rinnovato), meno di mezzo milione ha preso la via di Etiopia, Yemen, Gibuti, Somalia o Afghanistan. Il grosso se l’è accaparrato l’Europa. Oltre allo scandalo morale e all’autolesionismo strategico -un’Europa che concorre ad affamare l’Africa con spregiudicate pratiche commerciali difficilmente può poi chiederle di riprendersi i migranti «economici», meno ancora di evitare che partano –la circostanza mette a nudo il cuore della questione. L’Ucraina era –e auspicabilmente tornerà– una potenza agricola con terre tra le più fertili al mondo. Una volta nella Ue, sarebbe anche il paese più povero e tra i più popolosi (ipotizzando un rientro dei rifugiati che, al netto delle vittime per ora non quantificate, riporti il paese vicino ai 43 milioni di abitanti anteguerra). La Pac (Politica agricola comune) resta il cuore del bilancio europeo, assorbendone da sola circa un terzo. Una Ue che lucra sulle commodities ucraine in piena emergenza e che contempla un parziale, ma clamoroso uso degli asset russi per attenuare il conto della ricostruzione, sborserebbe in permanenza i miliardi necessari a sostenere sine die l’agricoltura di Kiev?».

Mirko Mussetti e Nicola Cristadoro, esperti di questioni militari, nei loro articoli approfondiscono la preparazione dei soldati ucraini, molto migliorata dal 2014, analizzano le tattiche di guerra di entrambi i fronti e, in una interessante appendice al contributo di Cristadoro, riportano dettagliatamente il bollettino delle armi e degli aiuti dei vari Paesi occidentali e per la prima volta delle istituzioni europee all’Ucraina. Un saggio accurato su come sia cambiata la guerra con l’utilizzo dei droni e il controllo remoto è quello di Gastone Breccia, Il volto nuovo della battaglia. Qualche voce russa è riportata anche in questo numero di Limes, nella seconda parte del volume, intitolata Dal fronte russo. Oltre al commento di Fedor Lukjanov, molto critico verso l’Occidente e con lo sguardo rivolto alla Turchia, di grande aiuto per capire la situazione attuale della Russia è l’approfondimento, come sempre puntuale e articolato, di Orietta Moscatelli, Mosca tace, in cui si descrive un Putin tra due fuochi, che preferisce tenere un profilo basso nella comunicazione, anche di fronte agli attacchi nel suo territorio. «Putin si ritrova con i falchi iperpatriottici che lo criticano da destra, a sinistra i malumori degli aspiranti moderati. Come ai tempi di Mikhail Gorbačëv, per i primi il presidente non fa abbastanza, per gli altri ha fatto già troppo» ci ricorda la Caporedattrice di politica internazionale di Askanews. L’elenco degli «agenti stranieri» che dai procedimenti amministrativi passano al penale, è sempre più lungo, numerosi sono i processi per discredito delle Forze armate, le ore di propaganda bellicista in tv, il cinema patriottico, la censura al teatro. Impedito a recarsi all’estero dal mandato d’arresto della Corte penale internazionale, Putin percorre in lungo e in largo il territorio russo. Tra un viaggio e l’altro riceve dignitari del Ne-Zapad, il Non Occidente, espressione preferita dai russi rispetto a quella di Sud Globale, ossimoro ipocrita coniati dagli occidentali, come lo definisce Caracciolo. Ad aprile era a Luhans’k e Kherson, a marzo a Mariupol’. Lo zar di Russia è convinto che il logoramento ucraino e occidentale sarà inevitabile, anche se molto lungo e doloroso. «Non riusciranno a fare niente. Li stritoleremo», ha dichiarato. Il rapporto con gli oligarchi è cambiato. Molti se ne sono andati e quelli che sono rimasti compaiono pochissimo in pubblico. Ma l’ultimo sondaggio del Centro Levada, il più indipendente di tutti, vede ancora un grande consenso di popolo verso Putin.

Molti sono coloro che vorrebbero la distruzione della Federazione Russa e con essa quella di Putin, dal capo dell’intelligence Kyrylo Budanov, che ha disegnato la mappa dei nuovi Stati liberati dall’oppressione moscovita e si è fatto fotografare mentre con la baionetta sta tagliando a fette una torta con il disegno di una Federazione divisa tra confinanti, al rapporto della Cia che prevedeva entro il 2015 lo spezzettamento del paese in diversi Stati, a Janusz Bugajski, analista inglese, che già tre anni prima della guerra d’Ucraina descrive la sua idea di dissoluzione e di come gestirla, al generale americano Ben Hodges, già a capo dell’esercito statunitense in Europa, all’ex ministra degli Esteri polacca, Anna Fotyga. I più, però, mettono in guardia dalla disgregazione della Federazione russa. Scrive Mauro de Bonis: «Progetti, ipotesi e desideri di decolonizzare la Federazione Russa, ovvero porre fine all’ultimo impero europeo, non tengono spesso conto di una realtà molto complessa che in Occidente è forse poco conosciuta. Il paese più vasto del mondo è anche quello tra i meno abitati, ma degli oltre 145 milioni di persone che ci vivono circa l’80% è russo. E delle 21 repubbliche etniche solo 6 contano una maggioranza della nazionalità titolare». Da tempo Limes racconta del Forum delle libere nazioni della post Russia, nato un anno fa. Il Forum si è riunito una prima volta a Varsavia, finanziato da un’associazione di giornalisti polacchi. Grazie ad Anna Fotyga, eurodeputata ed ex ministra degli Esteri polacca il Forum si è potuto riunire nel parlamento europeo a fine gennaio e per il terzo incontro sono stati scelti gli Stati Uniti. Nella conversazione di Agnese Rossi con l’ucraino Oleg Magaletskye nell’appendice a cura della stessa collaboratrice di Limes all’articolo di Mauro De Bonis emerge l’odio profondo che anima questo Forum nei confronti di Mosca e della Federazione Russa come Impero del Male che mai potrà diventare, secondo l’interpretazione di Magaletsky, una democrazia e la sottovalutazione del pericolo che le 6 mila testate nucleari ora sotto il controllo di Putin finiscano nelle mani inesperte dei governanti improvvisati delle Regioni post dissoluzione dell’Impero. Le mappe immaginate dai componenti del Forum (polacchi, russi, ucraini, inglesi, membri dell’Intelligence usa) meritano di essere studiate a fondo.

Nella terza parte della rivista è illuminante la conversazione di Federico Petroni, direttore didattico della scuola di Limes, con Jeffrey Mankoff, Noi americani non combatteremo al posto degli ucraini. Petroni incalza il ricercatore del Center for Strategic Research alla National Defense University su molti punti, tra cui il controllo che gli Usa avrebbero sulle decisioni di Zelen’sky, il pericolo di un’escalation, l’opinione di Mankoff sui gruppi che vorrebbero la distruzione e una nuova spartizione della Federazione Russa, i rapporti con la Cina e molto altro. In sintesi, gli americani si dissociano da alcune decisioni prese dall’Ucraina e con l’invio delle armi vorrebbero soltanto indebolire la Russia. In previsione delle elezioni americane un cessate il fuoco è visto con favore, anche se non nell’immediato. Delle responsabilità del sabotaggio al gasdotto Nord Stream 1 e 2 non si parla qui, ma un interessante approfondimento può trovarsi a questa puntata di Mappamundi con Alfonso Desiderio e Federico Petroni: https://www.youtube.com/watch?v=PyZZB3dEOBI&list=PLdGzyrCItloSVMD29dWIGPX-boFRvw-Hy&index=3

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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la maiuscola. Docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.

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