Viaggio come pellegrinaggio. Il cammino di Santiago

Riscoprire la lentezza del viaggio, la meraviglia del creato e gli sguardi di chi cammina con noi…
Non volevo una vacanza, volevo un’esperienza che avesse un senso per me, volevo… viaggiare a piedi. Camminare per trovare la pace interiore, andando avanti, un passo dopo l’altro, per vedere qualcosa dentro di me, qualcosa che ancora non conoscevo, che spesso ho cercato e magari è sempre stato lì al mio fianco, e non l’ho capito. Rifletteva il filosofo Søren Kierkegaard: «I pensieri migliori li ho avuti mentre camminavo, e non conosco pensiero così gravoso da non poter essere lasciato alle spalle con una camminata».
Il cammino di Santiago di Compostela, di cui tanto avevo sentito parlare, reso famoso dal romanzo di Paulo Coelho, ci confida che «Santiago non è la fine della strada, è l’inizio»; era la risposta giusta a quel desiderio. Di certo non pensavo che fosse così documentato su YouTube, con video che spiegano ogni particolare, dalle calze e scarpe migliori, a cosa mettere nello zaino, alla Credenziale, agli ostelli per il pernottamento. Non pensavo neppure che il Cammino fosse frequentato da tanta gente, perché non credevo che il pellegrinaggio interessasse a così tante persone. È una forma devozionale molto antica, presente in tutte le religioni e molte sono le sue componenti: quella spirituale, in primo luogo, ma anche quella di tipo sociale, sociologica e psicologica non sono meno significative. Il pellegrinaggio è quindi una forma universale di ricerca di qualcosa di più grande e di più potente, è una ricerca spirituale e penitenziale verso un luogo considerato sacro.

Ogni popolo ha nel tempo sviluppato il proprio culto, difatti non c’è praticamente alcun luogo al mondo dove non esista questa tradizione. Il pellegrinaggio oggi ha trovato la sua massima espressione nell’obiettivo di raggiungere una precisa meta: la ricerca di se stesse/i e di Dio. Tra i pellegrinaggi induisti più famosi in India vi sono quelli di Haridwar, Allahabad e Calcutta; tra quelli buddisti il Kumano Kodo, il più antico del Giappone oltre al Cammino degli 88 templi nell’isola Shikoku; molto noto, poi, è il pellegrinaggio alla Sacra Moschea della Mecca per l’Islam.
Dal latino il termine peregrinus indica forestiero, viandante o meglio ancora errante, che si sposta da un luogo all’altro, lontano dalla sua patria; Roma, Gerusalemme, Santiago, che è, rispetto alle altre due mete, quello che più nel mondo si identifica come viaggio compiuto a piedi. Decidere di percorrere sulle proprie gambe centinaia di chilometri e immergersi nell’atmosfera densa di profondo misticismo che avvolge tutto il cammino, regala sensazioni uniche, difficilmente riscontrabili in altre modalità di viaggio. Per questo motivo il cammino a piedi, nonostante le difficoltà, rimane anche oggi una pratica molto diffusa.

Il primo esempio di pellegrinaggio devozionale nel mondo occidentale fu quello di due donne agli albori del cristianesimo: il viaggio di Elena, madre di Costantino, e di Egeria, scrittrice romana, originaria della Galizia, che ci ha lasciato uno scritto, Itinerarium, diario del suo viaggio del 338 d.c. in Terra Santa. Leggiamo del suo arrivo sul monte Sinai: «Proseguendo nel cammino, arrivammo a un luogo dove i monti, attraverso i quali stavamo andando, si aprivano e formavano una valle immensa che si estendeva a perdita d’occhio, tutta pianeggiante e molto bella, e oltre la valle appariva la santa montagna di Dio: il Sinai». Anch’io ho voluto fare qualche tappa del cammino di Santiago per condividere emozioni, strade, serate, esperienze, ma anche per vedere le case dei paesi attraversati con le loro culture. Camminare a piedi consente di apprendere qualcosa dalla cultura di un paese e di un popolo perché avviene lentamente. La prima parte del viaggio nella Spagna del Nord è stata in modalità turistica, (raccontata nello scorso articolo con la visita di Bilbao, Gernika, Burgos, Laon, Astorga e la Ribeira Sacra). Ciascuno di quei luoghi ha significato per me un momento speciale poiché, come diceva Tiziano Terzani, «ognuno deve cercare a modo suo, ognuno deve fare il proprio cammino, perché uno stesso posto può significare cose diverse a seconda di chi lo visita».

Da Sarria iniziava il mio pellegrinaggio, lì si incontrano tanti pellegrini e pellegrine perché mancano 114 km per giungere a Santiago, sufficienti per ottenere la Compostela. Si percorrono in diverse tappe di circa 20/25 km l’una, da Sarria a Portomarin, da Portomarin a Palas del Rey, da Palas del Rey ad Arzua, da Arzua a Rua, da Rua a Santiago. Ero piena di gioia la sera che ha preceduto l’inizio del mio cammino che vedevo ricco delle sue promesse. Sin dall’antichità chi compie il pellegrinaggio porta con sé oggetti distintivi come il mantello, la bisaccia, il bordone, il cappello a tesa larga. Oggi vi è solo la Concha – la conchiglia di San Giacomo che viene legata allo zaino. Vi è anche la Credenziale, il documento che identifica la pellegrina/o; viene timbrata a ogni tappa del Cammino, fino all’arrivo alla meta finale e resterà poi un ricordo del viaggio. La Compostela, documento finale, si ritira a Santiago, se si dimostra di aver compiuto almeno 100 km a piedi o a cavallo o 200 in bicicletta; attesta l’avvenuto pellegrinaggio e, per i credenti, riconosce la remissione dei peccati.

Ostello Obradoiro di Sarria

Nella notte a Sarria ho dormito in uno dei tanti ostelli, nella tipica camerata con letti a castello, bagni in comune, uomini e donne insieme.

Ci si può cucinare la cena nello spazio cucina, ma quasi tutti sono usciti nelle numerose locande che servono piatti tipici della Galizia; io ho scelto la zuppa di lenticchie. Gli zaini possono essere portati in spalla oppure consegnati a un servizio di pullman che li trasportano all’ostello successivo.

Il Cammino è ben indicato con cippi in granito che portano lo stemma giallo della conchiglia e l’indicazione dei km che mancano a Santiago.

Cippo indicatore del cammino

I pellegrini e le pellegrine camminano quasi sempre in fila indiana, altri però sono in gruppo e parlano tra di loro. Chi sorpassa, a piedi o in bicicletta, saluta con un Buen camino e un sorriso. Io ho voluto camminare da sola, ma vedendo altri e altre davanti o dietro di me mi sentivo in compagnia del mondo intero. Ho scelto il cammino in solitudine, perché si potesse creare quel vuoto dentro di me che consente il pensiero. Passo dopo passo ho sentito che stavo facendo un cammino di ringraziamento, rivedevo la mia vita condensata in pochi giorni. Ho pensato di ringraziare tutte le persone che hanno lasciato un segno nella mia vita, iniziando dalla mia nascita. Avendo io iniziato a camminare tardi ho anche il ricordo dei miei primi passi e di coloro che mi stavano accanto e che mi mostravano il loro entusiasmo. Mi apparivano i ricordi in modo spontaneo, senza sforzo alcuno, affioravano dalla prima infanzia al giorno d’oggi. In particolare è l’infanzia quella che lascia un segno molto forte, si fissa in profondità e rivela in seguito la nostra essenza. Ricordavo i volti sorridenti di chi mi aveva amato, le amiche d’infanzia e le persone adulte che mi avevano trasmesso simpatia e incoraggiamento, come i genitori, zia Lina, la maestra Armanda, il parroco del paese, le insegnanti della scuola magistrale, le colleghe della prima scuola dove avevo insegnato, gli innamorati, e così via…

Camminando ho percepito un cambiamento che avveniva al ritmo dei passi; è il ritmo che ci accompagna, specie se è lento e consapevole, che ci aiuta a percepire ogni piccolo cambiamento, sia fuori che dentro di noi. Ho provato affetto e gratitudine per la mia vita, anche per i momenti difficili, ma anche per il mio corpo e in particolare per le gambe che mi consentivano di camminare così a lungo senza fatica; camminare è la medicina di cui tutti abbiamo bisogno e io mi sentivo connessa a mio papà che ha tanto amato il camminare, specie quello in montagna.
Tra i diversi cammini per Santiago io stavo percorrendo quello Francese che tutti dicono essere il migliore per i paesaggi che attraversa.

Tripudio di fiori lungo il cammino

Infatti il sentiero, pur restando vicino alla strada principale, costeggia radure di ginestre ed entra in meravigliose foreste di querce ed eucalipti di cui è ricca la Galizia. La zona è molto verde, gli alberi sono in filari regolari, il che indica che sono stati piantumati per la produzione di carta di eucalipto; ho visto cartelli che invitavano a comprare parti di foresta di eucalipti per partecipare al progetto di forestazione. I piccoli villaggi lungo il tragitto non hanno recinzioni e le case sono tutte circondate da roseti e da fiori di ogni specie.

Numerosi anche i ruscelli di acqua limpida.

Ruscelli nella foresta

Si incontrano anche punti di ristoro con volontari che offrono bevande a offerta libera. All’ultima tappa i cippi comunicano il senso dell’avvicinarsi alla meta, i chilometri via via diminuiscono: sono felice di arrivare a Santiago, ma un po’ quasi mi dispiace che termini questa esperienza così speciale.
È primo pomeriggio di domenica 21 maggio, ho camminato sette ore per i 26 chilometri finali. Mentre percorrevo l’ultimo tratto di foresta ricevo improvvisamente un messaggio da mio marito che mi aspetta in piazza della cattedrale: mi manda la lunga scampanata della cattedrale, un anticipo festoso di ciò che mi attende. Vedo la città da lontano, ma ci sono ancora due o tre chilometri prima di raggiungere la piazza. È un’emozione grande arrivare alla meta; la piazza è piena di gente, ci sono dei figuranti vestiti da antichi pellegrini con mantello e cappello a larghe falde che uniscono i loro bastoni per far passare sotto di essi i pellegrini che arrivano; sono felice di compiere l’antico rito… di passaggio.

Rito di passaggio all’arrivo in piazza Santiago

La cattedrale è bellissima, in stile romanico, poi arricchito da altri stili successivi. Conserva le reliquie di San Giacomo sotto l’altare principale; è famoso il gigantesco turibolo, chiamato botafumeiro, che in alcuni giorni della settimana viene fatto dondolare, grazie allo sforzo di sei uomini che tirano le corde, sopra le teste delle/dei fedeli spargendo incenso.






Accanto alla chiesa vi è un bel chiostro cinquecentesco, ma più spettacolare è il museo della cattedrale che contiene statue antichissime, capitelli e parti di rosoni, arazzi su disegni del Goya e, da una balconata, una fantastica vista sulla città. Santiago è una cittadina molto vivace, medioevale, a la forma di mandorla, con vie strette, tanti negozietti e ristorantini. La fortuna ci ha assistito poiché, mentre mangiavamo, una compagnia di musici in costume secentesco, la Tuna de Derecho de Santiago de Compostela, ha preso posto accanto a noi e ha iniziato a cantare; il suono del mandolino e della chitarra hanno rievocato in me un caro ricordo. La musica ha infatti la capacità di riportarci molto indietro nel tempo.

Gruppo di musici di Tuna de derecho de Santiago

Mio nonno suonava il mandolino e mio papà lo accompagnava con la chitarra, quando io avrò avuto quattro o cinque anni; questi musicisti hanno eseguito diversi pezzi del loro repertorio, molte persone si sono assiepate attorno a loro applaudendo. Non poteva esserci una chiusura più bella per le mie giornate da viandante; avevo percorso tanta strada, avevo rivissuto la mia vita dall’inizio e la concludevo con le note musicali, come quelle di quel lontano mandolino del nonno che tanto mi piaceva.






Son partita in un certo modo e sono arrivata diversa, pronta a… continuare il cammino della vita.

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Articolo di Maria Grazia Borla

Laureata in Filosofia, è stata insegnante di scuola dell’infanzia e primaria, e dal 2002 di Scienze Umane e Filosofia. Ha avviato una rassegna di teatro filosofico Con voce di donna, rappresentando diverse figure di donne che hanno operato nei vari campi della cultura, dalla filosofia alla mistica, dalle scienze all’impegno sociale. Realizza attività volte a coniugare natura e cultura, presso l’associazione Il labirinto del dragoncello di Merlino, di cui è vicepresidente.

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