Tutto sarebbe cominciato il 27 giugno scorso, in contemporanea con la visita del presidente della Repubblica Emmanuel Macron a Marsiglia, quando un poliziotto ha ucciso un diciassettenne di origini algerine di nome Nahel, nella periferia parigina di Nanterre, provocando un’ondata di rabbia tra la popolazione.

O almeno, questo è quanto il governo e le televisioni sostengono. Sarebbe ingenuo pensare che l’omicidio del giovane Nahel sia stato davvero un fulmine a ciel sereno e che prima tutto scorresse tranquillo, così come sarebbe altrettanto ingenuo pensare che la violenza della polizia francese abbia avuto inizio durante il periodo dei Gilet gialli.
Il popolo francese è particolarmente incline a scioperi, manifestazioni, proteste e a ogni forma di disobbedienza civile. Ma questo argomento non basta a spiegare l’aggressività della polizia d’oltralpe. Per capire il perché di tanta tensione occorre tornare alla prima metà degli anni Sessanta e ai traumi lasciati su entrambe le sponde del Mediterraneo dalla brusca fine del colonialismo, e in particolare dalla guerra d’indipendenza dell’Algeria. La forte repressione in Algeria e le violenze commesse in Francia sulle persone di origine maghrebina hanno lasciato un indelebile sentimento di ostilità da parte del mondo arabo verso l’Europa. Da allora, il comportamento della polizia francese è sempre rimasto oggettivamente razzista.
Nel 1961 a Parigi era stato istituito un coprifuoco solo per la popolazione algerina onde impedire di manifestare a favore dell’indipendenza. In quel contesto, decine di persone che avevano violato il coprifuoco furono uccise e gettate nella Senna. Anche finita la guerra e revocato il coprifuoco, non si è mai arrivati a una vera e propria parità. Nel 2005, in occasione dei gravi scontri nella banlieue parigina, seguiti all’uccisione da parte della polizia di Zyed Benna e Bouna Traoré – due adolescenti, uno nigeriano e uno tunisino – è stato istituito un nuovo coprifuoco, anche questo valido solo per la popolazione frutto dell’immigrazione postcoloniale.
Mentre il centro delle città è riservato al turismo e alla popolazione bianca e ricca, le famiglie immigrate vengono ghettizzate nelle cités, blocchi di palazzi fatiscenti delle periferie urbane. Queste zone vivono sotto il controllo, quasi del tutto arbitrario, dei gruppi speciali di polizia, principalmente la famigerata Bac (Brigade Anti-Criminalité, che agisce in borghese – molto più rapida dei reparti antisommossa noti come Crs, Compagnie Républicaine de Sécurité – e raramente deve rendere conto delle proprie azioni) e la Brav-m (Brigade de Répression des Actions Violentes Motorisée, gruppo armato e motorizzato in borghese, responsabile di numerosi omicidi, il più noto dei quali, nel 1986, è quello del ventiduenne di origini libanesi Malik Oussekine).
Almeno il 90% degli omicidi commessi da parte della polizia colpisce persone non bianche. Confrontando varie statistiche, si vede che tali omicidi, compiuti nei quartieri popolari e che raramente raggiungono l’opinione pubblica, si aggirano intorno ai trenta casi all’anno, taciuti, sminuiti o esplicitamente giustificati da quasi tutte le forze politiche. Si può dire che l’urbanizzazione francese costituisca una sorta di nuova forma di colonialismo in cui le banlieues sostituiscono i vecchi “territori d’oltremare”, ma le discriminazioni rimangono. Il caso di Marsiglia rappresenta l’unica eccezione a questa struttura urbana: i quartieri popolari non si trovano solo in periferia ma anche nel cuore del centro cittadino.
Il movimento dei Gilet gialli non ha fatto altro che portare agli occhi dell’opinione pubblica qualcosa che c’era già: mostrare che la violenza di Stato non riguarda solo le persone straniere o migranti o i quartieri popolari.
Senza tenere a mente queste premesse non si comprenderebbe pienamente l’esplosione di rabbia seguita all’uccisione di Nahel il 27 giugno.

Non si tratta di un caso isolato ma dell’ennesimo episodio di una dinamica che si ripete da decenni e che nessun governo ha mai arginato. Anzi, una legge del 2017 legittima l’uso delle armi da fuoco da parte dei poliziotti su chi non si ferma a un posto di blocco: lo autorizza solo «in caso di assoluta necessità e in maniera strettamente proporzionata» ma rende comunque difficile dimostrare che non era necessario. La «presunzione di legittima difesa» desiderata da Marine Le Pen e Jordan Bardella è dunque già stata istituita dal governo di centrosinistra. Nonostante sia stato accertato che il poliziotto che ha ucciso Nahel non ha affatto agito per legittima difesa, molti colleghi, spalleggiati dal partito di estrema destra Rassemblement National, hanno aperto una raccolta fondi a suo vantaggio che ha superato il milione e mezzo di euro, dimostrando che quel gesto gode di una certa approvazione.
A partire dal 29 giugno tutte le grandi città francesi hanno assistito a manifestazioni e scontri al limite della guerra civile. Vista la sua composizione multietnica, Marsiglia è stata uno degli epicentri della rivolta. Rispetto ai cortei sindacali, cui partecipano soprattutto militanti con anni di studio alle spalle, cultura politica e coscienza di classe, le rivolte di fine giugno e inizio luglio hanno visto decine di migliaia di giovanissimi maghrebini riempire le strade per sfogare non solo la rabbia per l’ennesimo omicidio ma anche decenni di frustrazione per le condizioni in cui vivono: considerano normale il rischio di essere uccisi ancora adolescenti, non hanno modo di studiare, non sanno nemmeno quando è il caso di coprirsi il volto in manifestazione ma conoscono bene l’odore dei gas lacrimogeni o il rumore delle flashball (granate assordanti, considerate armi da guerra, che possono provocare ferite anche molto gravi), sanno che se escono a fare la spesa senza documenti possono passare giorni in questura e tornare a casa pieni di lividi. Non è poi così tanto sorprendente che queste persone, da sempre ignorate e insultate (definite «la feccia della società» da Sarkozy e «le persone che non valgono niente» da Macron), sfruttate sul lavoro, respinte alle frontiere o trattate da straniere anche se nate qui, inquiline di quartieri degradati, arrivino all’esplosione. Dall’altro lato, la Police nationale e la Gendarmerie aggredivano anche le manifestazioni autorizzate e pacifiche, lanciavano lacrimogeni sulla folla senza alcuna distinzione, spaccavano teste e ossa a manganellate, sparavano proiettili di gomma e oggetti metallici. Sono stati mobilitati carri armati e mezzi blindati delle unità antiterrorismo.

Tutto ciò non ha fatto altro che gettare benzina sul fuoco e continuare a screditare la polizia agli occhi della popolazione delle banlieues e delle persone politicizzate. Il governo e l’estrema destra, invece, continuano a ribadire che Nahel guidava senza patente e non si è fermato davanti agli agenti, come se ciò giustificasse un omicidio. Alliance, il più grande sindacato di polizia, legato all’estrema destra, ha pubblicato un comunicato in cui la «famiglia polizia» dichiara esplicitamente «guerra» ad alcuni non meglio identificati individui «pericolosi»: «Davanti a orde selvagge, chiedere la calma non basta più, bisogna imporla. Non è più il momento di fare azioni sindacali ma di combattere questi soggetti pericolosi. Gli agenti sono in guerra e il governo dovrà prenderne atto». Nessuno ha reagito davanti a ciò che la sinistra, per bocca delle deputate ecologiste Marine Tondelier e Sandrine Rousseau, ha definito «minaccia di sedizione» e «appello alla guerra civile». Chi sarebbero questi elementi «pericolosi»? Si può ancora credere che la polizia sia un corpo statale neutro, quando i suoi legami con l’estrema destra e l’uso politico fazioso e razzista delle armi sono alla luce del sole? A febbraio scorso, a Marsiglia, una manifestazione non autorizzata ma pacifica contro l’estrema destra è stata aggredita a freddo dalla polizia e le tre persone arrestate sono state accusate di aggressione alle forze dell’ordine: un soggetto che dovrebbe essere super partes si è trasformato in una parte armata? Numerosi agenti non razzisti si sono dimessi o perfino suicidati per l’impossibilità di svolgere il loro lavoro in maniera corretta e pacifica, dal momento che è il sindacato di estrema destra a gestire le promozioni e dunque la gerarchia e gli ordini dati agli agenti. «Ora possiamo dire che c’è un problema strutturale nella polizia?», insiste Marine Tondelier.
Nei giorni successivi molte manifestazioni hanno chiesto le dimissioni del ministro dell’Interno. Il governo, l’estrema destra e il partito macronista fanno pressioni invece per vietare gli slogan contro la polizia cantati in piazza e sanzionare i deputati e le deputate di sinistra che partecipano a manifestazioni non autorizzate. Jean-Luc Mélenchon e tutta La France Insoumise sono accusati di non aver richiamato alla calma e di aver anzi ammesso l’esistenza (negata dal governo) degli abusi in divisa.
È bene ricordare che non solo manifestare è fondamentale in qualsiasi democrazia ma che, secondo il diritto internazionale, una manifestazione pacifica è legittima anche senza autorizzazione. Vi è dunque una contraddizione tra il diritto internazionale e la legge francese.


Amnesty International e la Lega dei Diritti dell’Uomo chiedono con urgenza la messa al bando delle cosiddette «armi a letalità ridotta» come gli lbd, lanciagranate per sparare pallottole di gomma, flashball e granate lacrimogene, diverse dai semplici candelotti perché esplosive e potenzialmente micidiali. Già durante la campagna presidenziale del 2022 Jean-Luc Mélenchon proponeva una riforma della polizia i cui obiettivi principali erano lo scioglimento della Bac, il ritiro delle armi speciali e un’inchiesta sul razzismo degli agenti. Proponeva anche alcune misure (legalizzazione della cannabis, aumento dei salari e accesso facilitato agli studi superiori) per far uscire dalla criminalità i giovani delle banlieues ed evitare che le forze armate fossero l’unica risposta ai problemi sociali.

Il 2 luglio a Marsiglia il bilancio degli scontri era drammatico: un morto (un ventisettenne di nome Mohammed, ucciso con una flashball e abbandonato a terra) e due feriti gravi (uno colpito da numerosi manganelli mentre era a terra inerme, ferito e lasciato in coma senza soccorsi; l’altro, di nome Hedi, sempre di origine maghrebina, trascinato dietro un’automobile parcheggiata e manganellato dopo che aveva già letteralmente perso una parte del cranio a causa di una flashball, poi anch’egli rimasto senza soccorsi). Hedi, il ferito più grave, non stava partecipando alla manifestazione: è stato trovato in centro nei pressi di un locale e quasi ucciso dalla Bac solo in quanto maghrebino. A seguito di fatti così gravi, la magistratura locale ha aperto un’indagine e messo in custodia cautelare chi ha sparato la flashball alla testa di Hedi. Alla notizia dell’arresto di un agente della Bac, la polizia ha indetto uno sciopero e il capo nazionale Frédéric Veaux, sostenitore della protesta degli agenti, ha dichiarato che «la giustizia impedisce ai poliziotti di svolgere il loro lavoro» e che «un poliziotto non deve essere arrestato in quanto svolge un lavoro più difficile degli altri, quindi non può essere trattato alla pari degli altri cittadini». Dopo una frase del genere, è difficile chiamare gli agenti a volto coperto che picchiano e uccidono “forze dell’ordine”.
Alcuni giorni dopo l’inizio dello sciopero, il ministro dell’interno Gérald Darmanin ha denunciato l’esistenza di una «presunzione di colpevolezza che perseguita i poliziotti» e ha promesso una modifica del codice penale per evitare agli agenti il carcere in attesa del processo anche nel caso di episodi particolarmente cruenti. I giudici e tutti gli esponenti della sinistra fanno notare la gravità di tali affermazioni. Quanto potere ha dunque la polizia, per arrivare a un braccio di ferro con la magistratura? «Di fatto», spiega Arié Alimi, avvocato penalista esperto in abusi degli agenti e difensore legale delle vittime, «i funzionari di polizia godono in Francia di un privilegio della violenza e dell’impunità; quello che chiedono i loro sindacati è di consacrare a livello legislativo questo privilegio» che già esiste. Inoltre l’Inspection générale de la Police nationale (Igpn, l’organo che dovrebbe sanzionare gli abusi degli agenti ma di fatto ne è spesso complice) è sottoposta alla gerarchia poliziesca e al controllo del ministero dell’Interno, quindi ha un margine d’azione molto limitato. Darmanin ha promesso anche di rispolverare l’articolo 24 della Loi sécurité globale (già bocciato dal Consiglio costituzionale) che prevedeva il divieto di filmare gli agenti in azione, criminalizzando quindi anche la stampa e internet.
Non è la prima volta che le cosiddette forze dell’ordine riescono a imporsi sul governo. Già nel 2021, quando fu istituito il pass sanitaire, prima gli agenti della Police nationale poi quelli della Gendarmerie furono esentati dal vaccino per evitare che solidarizzassero con le oceaniche manifs (manifestazioni) antipass come invece fecero i pompieri. All’inizio di quest’anno, davanti alle prime grandi manifestazioni contro la riforma delle pensioni, la polizia è stata nuovamente esentata dal subire la riforma per evitare che aderisse agli scioperi (Alliance, il sindacato di polizia, è stato l’unico a non parteciparvi). Nel libro L’état hors-la-loi (Lo Stato fuorilegge), Alimi analizza «l’illegalità di Stato e in particolare lo spazio che hanno assunto le violenze della polizia. […] È un processo avvenuto per gradi, sotto l’egida della politica, dalla destra di Sarkozy ai socialisti, con Bernard Cazeneuve e François Hollande, fino a Emmanuel Macron». «Con “illegalità di Stato” – continua Alimi in un’intervista a il manifesto – intendo definire una pratica deliberata dell’illegalità da parte dell’istituzione poliziesca […]: c’è in questi settori una volontà di non rispettare la legge».
La risposta suggerita da Alimi è quella di «intraprendere azioni giudiziarie sistematiche particolarmente aggressive, tanto nei confronti degli agenti accusati di violenze quanto delle istituzioni che impediscono che gli agenti vengano sanzionati».
A queste considerazioni bisogna aggiungere che la Francia vive ormai in uno stato d’emergenza quasi costante e quasi sempre a discapito di chi ha la pelle scura.

L’allarme terrorismo istituito subito dopo gli attentati di Parigi e di Nizza, che ha esposto la popolazione araba a fermi e perquisizioni molto frequenti, è stato seguito a ruota dall’emergenza sanitaria. Nel libro Le coup d’état d’urgence (Il colpo di stato d’emergenza), Arié Alimi, spiega che i confinements imposti dal governo, non avendo alcuna legittimità giuridica e costituzionale, non hanno fatto altro che estendere all’intera popolazione il coprifuoco istituito nel 1961 e nel 2005 per la comunità algerina; ma, pur riguardando chiunque, a subire controlli quotidiani in caso di uscita era quasi solo chi aveva la pelle scura o il velo in testa. Dunque, l’esenzione dal pass di cui gli agenti hanno goduto nel 2021 è stata solo il proseguimento di una legislazione “d’emergenza” illegittima che fin dall’inizio non ha fatto altro che aumentare, giustificare, proteggere e rendere sistematici gli abusi in divisa.
Oggi Amnesty International denuncia che «durante il periodo covid, i diritti umani fondamentali garantiti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, varata dall’Onu nel 1948, non sono stati rispettati, in particolare per quanto riguarda la libertà di espressione, di manifestazione e di dissenso».
A partire dall’autunno del 2018, con la nascita del movimento dei Gilet gialli, qualcosa è cambiato. Se prima un francese borghese e conservatore abitante del centro di una grande città o di un villaggio di campagna poteva non vedere questa situazione, oggi non è più possibile. Quando il presidente, che vorrebbe rappresentare la borghesia, è stato contestato proprio dalla borghesia, la polizia ha applicato su chiunque ciò per cui si era sempre “allenata” nelle banlieues.
Solo tra novembre 2018 e marzo 2019 centinaia di manifestanti hanno perso mani o occhi e riportato ferite gravi. Una donna anziana, Zineb Redouane, è stata uccisa in casa a Marsiglia il 2 dicembre 2018 e un’altra, Geneviève Legay, gravemente ferita in piazza a Nizza il 23 marzo 2019. Nessuno si è scusato né ha ammesso la gravità dei fatti.
Un presidente arrogante governa con una costituzione che di per sé gli dà un potere quasi illimitato. Non avendo più una maggioranza assoluta in parlamento, rifiuta ogni dialogo politico e trattativa sindacale, vara le leggi senza consultare nessuno, le approva in automatico senza votazione attraverso l’articolo 49.3 della Costituzione, che permette di far passare una legge senza votazione parlamentare, e impedisce ai deputati e alle deputate di esprimersi (occorre ricordare che la Costituzione della Quinta Repubblica francese è stata scritta nel 1958, in piena guerra d’Algeria, da Charles De Gaulle, proprio per rafforzare lo Stato in senso autoritario e presidenzialista).
Dall’altro lato, tutte le opposizioni (partiti della sinistra e dell’estrema destra, sindacati, militanti e Gilet gialli) chiedono di dare voce al popolo attraverso referendum di vario tipo: costituzionali (per modificare la Costituzione), abrogativi (per abrogare dal basso una legge del parlamento o del governo), revocativi (per revocare la delega a una persona eletta che non rappresenta più la base) e legislativi (per promulgare leggi dal basso senza passare per il parlamento).
Alle elezioni l’astensionismo è al 60%, un record storico. Le persone che siedono nelle istituzioni non possono essere controllate da chi le ha elette e spesso non hanno nemmeno modo di esprimersi nelle rispettive sedi; i referendum chiesti dalle opposizioni servirebbero anche a poter eventualmente revocare una delega, se la persona eletta non rappresenta più effettivamente la sua base.
È vero che Macron è più autoritario di quasi tutti i suoi predecessori, ma il problema è strutturale. È in corso una crisi della democrazia e della rappresentanza ben più grande di ciò che appare. L’ex ministro dell’istruzione Pap Ndiaye, di origini africane, è appena stato sollevato dall’incarico e sostituito con l’ex portavoce del governo Gabriel Attal per aver dichiarato, durante un viaggio negli Stati Uniti, che «esiste in Francia un problema di razzismo»: secondo il governo «dire tale frase costituisce un pericolo per la democrazia». Cosa intende il governo per “democrazia”, se esprimersi la mette in pericolo?

Di recente, persino all’Assemblea generale dell’Onu si è parlato dell’autoritarismo francese. La cosa grave non è di per sé solo la frequenza con cui la polizia uccide e ferisce impunemente, quanto il fatto che queste violenze costituiscono l’ultima spiaggia di un governo incapace di comunicare, che ha perso ogni consenso popolare e ormai anche ogni legittimità istituzionale, che si tiene in piedi solo impedendo il voto all’Assemblée Nationale e sparando su chi protesta, e che usa le armi come unica risposta ai problemi sociali; tant’è vero che quest’anno gli abusi in divisa hanno avuto inizio in concomitanza con la decisione del governo di approvare “a forza” la riforma delle pensioni.
A partire dalla repressione dei Gilet gialli, Amnesty International classifica questo sistema come «democrazia illiberale»: vi sono elezioni regolari, svolte in maniera corretta e trasparente, ma al di fuori di queste non è più garantito il diritto di manifestare.
La sera del 2 luglio, al vecchio porto di Marsiglia, vedevo carri armati e mezzi blindati avanzare contro la folla, vedevo agenti a volto coperto sparare, vedevo bambini e adolescenti arabi in preda all’esasperazione sfasciare e incendiare qualunque cosa capitasse a portata di mano senza che nessuno li fermasse, vedevo persone pacifiche ferite e insanguinate che piangevano sangue a causa di “qualcosa” sparato sugli occhi, vedevo agenti in borghese puntare armi sui giornalisti, fino alla notizia di un morto… Ed erano mesi che provavo disgusto per i modi autoritari del governo, per le leggi non votate e i dibattiti parlamentari vietati. Quella sera, davanti a tutto ciò, mi sono chiesto: «davvero qualcuno ha votato questo in quanto costituirebbe l’alternativa all’estrema destra?».
Cosa sta succedendo nel Paese di Libertà Uguaglianza e Fratellanza, della Rivoluzione e della Comune, della prima Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina? È quello che molte persone si stanno chiedendo: la Francia è ancora una democrazia?
Riferimenti
Sull’appello di Amnesty International:
https://www.amnesty.fr/dossiers/droit-de-manifester-france-violences-policieres-dans-les-manifestations
Sul caso Hedi:
https://www.konbini.com/societe/video-le-temoignage-dhedi-defigure-par-un-tir-de-flash-ball-et-tabasse-par-la-bac-a-marseille/
Sulla Loi sécurité globale:
https://ilmanifesto.it/la-polizia-francese-mette-in-ginocchio-il-ministro-dellinterno
L’intervista ad Arié Alimi sul manifesto:
https://ilmanifesto.it/la-polizia-francese-chiede-di-operare-al-di-sopra-della-legge-la-fine-della-democrazia
***
Articolo di Andrea Zennaro

Andrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.
