La Cantadora di Vanni Lai. fra realtà e fantasia

Lo scorso 30 giugno, a Tempio Pausania, è stato presentato il romanzo di Vanni Lai La Cantadora (minimum fax), durante “Mintuà”, il Festival delle parole in circolo organizzato dall’associazione CartaDannata nel chiostro degli Scolopi, e si susseguono simili eventi un po’ in tutta la Sardegna. L’avvincente storia non poteva sfuggire alla nostra attenzione sempre vigile quando si tratta di conoscere donne dalla vita straordinaria.

In foto: Vanni Lai

E il giovane scrittore sardo, nato nel 1983 e residente a Osilo (SS), già autore di vari racconti pubblicati su riviste e due volte finalista al Premio Calvino, si immerge letteralmente in questa vicenda che lo accompagna fino da bambino, che lo ha sempre affascinato e che coinvolge la sua famiglia. Talvolta si sogna la Cantadora, come lo chiamasse a darle nuova vita, e lui avverte profumo di rose. La donna dalla voce prodigiosa in verità fu cancellata da gran parte del parentado, per i motivi che vedremo, ma rimase nella memoria vivace di zia Maria e pure la madre di Vanni le è in qualche modo legata, continuando di tanto in tanto a scavare nei ricordi lontani. 

Il volume dunque si compone di quattro parti ben distinte: la prima è intitolata Il grammofono d’oro e racconta l’iniziale curiosità, le pazienti ricerche in archivi e uffici comunali, se non addirittura casa per casa, le telefonate, i viaggi, i collegamenti, le letture, i canti tramandati oralmente dalla tradizione locale, i personaggi coinvolti e, finalmente, le poche notizie certe sulla Cantadora. Dal sardo all’italiano la traduzione è ovvia: questa nostra protagonista era una donna dotata di fortissima personalità e di una voce ammaliante, rara, meravigliosa che si esibiva nelle piazze, sui palchi improvvisati, durante le sagre, le feste paesane, le occasioni da celebrare solennemente nelle comunità isolane. Il suo canto era detto “a chitarra” perché accompagnato da uno strumentista; anche lei sembrerebbe averne avuto uno di totale fiducia e grande maestria: un certo Remondicu Lanzu che la seguì per molti anni. Si racconta che arrivasse quasi di soppiatto su un carro, con la pistola infilata sotto la gonna, avendo affrontato da sola strade pericolose, circondate da boschi e natura selvaggia, non di rado frequentate da banditi. Talvolta questi cantadores, fra cui era l’unica donna, facevano gare di bravura, anche nell’improvvisazione a tema di rime, battute, persino ambigue e allusive, e lei non si perdeva d’animo, anzi incoraggiava la disputa da cui immancabilmente usciva vincitrice a furor di popolo. Quello che Lai ha appurato sono le date di nascita e di morte, e ha trovato pure la sua firma che possiamo vedere nel libro, segno che aveva per il luogo e per l’epoca una certa cultura. Candida Mara era nata a Nulvi il 17 maggio 1877 e morì il 21 settembre 1927 a Sassari, in regione Rizzeddu (ovvero casa sua), fu sepolta due giorni dopo, ma oggi la tomba in quell’area del cimitero non esiste più.

Nulvi

Risulta vedova di Giovanni Brotzu e sembra che a soli 19 anni avesse perso durante il parto l’unico figlio. In seguito al suo nome fu legato quello di un uomo di Padria, un tale Antoni Zusepe Sechi, letteralmente impazzito per lei e affascinato come Ulisse dal canto delle sirene, tuttavia ancora sposato con Emilia, ecco perché, pur essendo formalmente libera, Candida non si era potuta risposare. Di lei si dicevano tante cose, ma non si hanno certezze; sembra che sul volto affilato avesse un grosso neo e la sua pelle fosse rimasta offesa dalle cicatrici del vaiolo, che fosse brutta ma avesse uno sguardo magnetico, che fosse alta e snella, che fosse una specie di strega, che le avessero fatto un esorcismo quando era disperata per la morte del neonato; «aveva una brutta fama, masticava tabacco e le piacevano i ragazzi giovani. Si dice che avesse molti amanti». Qualcuno racconta pure che avesse inscenato la propria morte… La si descrive vestita di nero, con la giacchetta attillata, il grembiule di broccato e la gonna plissettata, gli stivaletti con la punta di lucida vernice, insomma con un abito assai tradizionale per le donne sarde, almeno fino a una buona metà del XX secolo, quell’abito che, con mille varianti, oggi viene indossato durante i balli, le sfilate e alcune feste particolarmente sentite, come i sontuosi matrimoni. Ma di Candida non si hanno fotografie e i ricordi sono vaghi, sbiaditi, si perdono nella leggenda e nella fantasia.

Donne di Nulvi in costume

La seconda parte, più ampia, è il vero e proprio romanzo in cui si fondono abilmente aneddoti e vicende attendibili alla rielaborazione attenta ed efficace dello scrittore; nel testo vengono inseriti numerosi esempi di quei canti di cui  era maestra, alcuni certamente suoi, altri di noti avversari nell’arte dell’improvvisazione. Quando si presentò a Tempio Pausania, una città ben più grande e importante dei paesi in cui era solita esibirsi, dopo l’iniziale sospetto e la curiosità per una donna che non canta in chiesa, come d’uso, ma addirittura su un palco, il pubblico si fece muto e in breve rimase conquistato. Con galanteria un cantore, consapevole di non poterla battere, le offrì un omaggio canoro, affermando che la sua voce avrebbe sciolto persino la neve, e lei ricambiò con la medesima cortesia, salutando con simpatia quella gente ospitale: bellissimo questo scambio di versi in lingua sarda, che dobbiamo immaginare in una notte magica e con l’accompagnamento di un abile chitarrista. «Canta tu, Candida Mara,/chi t’intènghin in Curragghja,/cu la boci chi iscagggja/la fiocca illu Limbara». «Addiu Tempiu meu,/cantadu at Càndida Mara./A un àteru annu a sa gara/chi torro si cheret Deu».

Tempo dopo la Cantadora si recò a Padria dove avvenne l’incontro fatale con Antoni Zusepe, possidente e proprietario di cavalli da corsa. L’episodio della cavalla Ines che vince la gara dopo le parole sussurrate al suo orecchio proprio da Candida certamente è frutto dell’inventiva di Lai, ma che la donna avesse un fascino particolare e fosse in grado di “parlare” persino agli animali sembra testimoniato da più parti. E sicuramente con i cavalli ci sapeva fare: il libro ha una breve appendice in cui si riporta l’ordine di arrivo di una gara del 1925 e i primi due piazzati, Dadu e Funtana, appartenevano a lei. Le vicende si susseguono, intrecciando ipotesi e fatti accertati: le vendette, le gelosie, il risentimento che si ritorce contro l’incolpevole Ines, il prete corrotto e complice, la riprovazione generale per quella unione illecita, ma anche il coraggio di Candida che non esita a impugnare la pistola e ad andare avanti con la propria scelta di vita. Il compagno muore e di lì a poco la Cantadora fu sottoposta a un intervento per rimuovere quel neo che ne aveva da sempre segnato il volto; morì anche lei, appena cinquantenne, in una notte di tempesta. «All’esterno l’unica musica veniva suonata da una natura grandiosa, e i fulmini annunciavano gli scoppi metallici dei tuoni con un fragore simile a quello della Cantadora nelle sere in cui riempiva le piazze e turbava il pubblico. Il vento non smetteva di soffiare e scuoteva le fronde degli ulivi. Forse la pioggia sarebbe arrivata a momenti, forse sarebbe caduta in altri luoghi».

Il terzo breve capitolo, Dispedida (Congedo), ci riporta alle ricerche del narratore che evidentemente, a sorpresa, non sono ancora finite; fa infatti una nuova scoperta grazie agli archivi digitalizzati della parrocchia di Tempio Pausania (evviva la tecnologia) e trova le date di nascita e di morte del figlio di Candida e Giovanni, che invece viene appurato era una bambina: Angela, nata il 12 novembre 1896 e morta due giorni dopo. Il cerchio ora si è chiuso davvero.

Nell’Epilogo, don Brotzu, cognato di Candida, persona avida e meschina, vende la casa che fu dei due concubini, facendo un buon affare; spetterebbe a lui tramandare il ricordo della Cantadora, ma lui l’ha osteggiata sempre, forse l’ha persino pugnalata, e, dopo un rapido bacio (quello di Giuda, si direbbe), ne brucia l’unica fotografia. «Poi rimase a fissare il punto dove non c’era fuoco e il sole non batteva più. Fuori, il cavallo nitrì ancora». Ecco perché, sembra dirci Lai, oggi non ne conosciamo l’aspetto e ne favoleggiamo i tratti.

La storia di Candida Mara, come tutte quelle che si riaffacciano dal mondo del silenzio e riprendono vita, è veramente affascinante e meritava di essere raccontata, ma devo fare una annotazione particolare sulla scrittura: Vanni Lai è un autore che “sa scrivere“, scusate l’apparente banalità. Non è detto infatti che chi pubblica opere di narrativa, anche con case editrici prestigiose, usi come fa Lai una prosa fluida, scriva in modo piano, scorrevole, piacevole, avvincente, ma pure raffinato e colto senza pesantezza né ostentazione. La mia esperienza di lettrice appassionata e vorace, che ha coordinato il gruppo di socie e soci di Toponomastica femminile nel torneo letterario della rivista Robinson, mi dice che vengono purtroppo stampati romanzi francamente impresentabili, sciatti, brutti, pieni di banalità, di ripetizioni, di frasi fatte, magari con refusi ed errori di vario genere, di cui proprio non sentivamo il bisogno e che ci si augura finiscano presto al macero. Lai, invece, è bravo, belle le descrizioni, accurate le ambientazioni, vivaci i rapidi dialoghi, efficaci le scelte lessicali e stilistiche, appropriati gli inserimenti in lingua sarda (con opportuna traduzione); insomma, a me questo libro è piaciuto davvero e, sull’onda di altre opere incentrate su figure femminili indimenticabili (Accabadora di Michela Murgia, per citarne uno), lo consiglierei come lettura ideale sia per quello che narra sia come approccio alla cultura sarda e a certe tradizioni che stanno scomparendo. 

Concludiamo onorando anche noi la Cantadora con le parole di un anonimo gallurese che cantava: «Asgiu n’aeti di dì,/ li cantadori di gara,/ come Candida Mara/altu non ni pò nascì». Insomma, cari signori cantori che gareggiate, avete voglia di parlare, ma come Candida Mara non ne può nascere un’altra.

Vanni Lai
La Cantadora
minimum fax, Roma, 2023
pp. 186

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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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