Stesse opportunità per tutti e tutte!

Pubblichiamo insieme i due racconti premiati scritti da studenti dell’Istituto Tecnico economico e Tecnologico chimico cartario “Arrigo Benedetti” di Porcari (Lucca). Sono gli ultimi due lavori della sezione Narrazioni che pubblichiamo per ora. Gli altri racconti premiati usciranno dopo la seconda cerimonia di premiazione, che si è deciso di tenere il 17 ottobre 2023, per dare modo, anche alle scuole che non hanno potuto organizzare il viaggio lo scorso aprile, di andare a Roma a ritirare i premi.
I testi, come sempre, sono stati rivisti prima della pubblicazione, per eliminare piccole imperfezioni formali, ripetizioni, ineleganze eventualmente presenti. Autori e autrici, confrontando la versione editata con quella originaria, potranno trarne utili indicazioni discutendone magari, quando sarà possibile, con l’insegnante.

Al racconto Le parole degli altri, di Monica Ausili, studente della II A (indirizzo Tecnico economico) è andato il Secondo Premio per le Classi Seconde, ex aequocon il racconto XX XY di Federico Arioli (Liceo Scientifico Calini di Brescia), già pubblicato nel numero 221.
Monica ha scelto l’incipit n. 4, ideato da Mariapia Veladiano, ed è stata seguita dall’insegnante Paola Paterni.
Il giudizio della giuria: «Con un linguaggio fluido ed efficace e in piena coerenza con l’incipit e la tematica proposta, il racconto elegge i pensieri della giovane autrice a spazio della ricomposizione di riflessioni sul tema delle pari opportunità, che inizialmente appaiono vaghe, per farsi alla fine cariche di certezze».

Incipit:
«Lo faccio da sempre quando i miei hanno ospiti a cena. Chiudo bene la porta della camera, se non lo facessi di là parlerebbero più piano e non potrei sentire, poi prendo il cuscino del letto, mi distendo sul parquet, appoggio la testa sul cuscino e incollo l’orecchio alla porta. Poi ascolto. I discorsi che i grandi fanno dopo una cena con gli amici, quando pensano di non essere sentiti dai figli, sono i più interessanti. È così che ho saputo cosa è successo al barboncino dei vicini che un giorno ha smesso di abbaiare ed erano stati tutti gli altri, compresi i miei genitori, a chiamare i vigili e Luc era finito al canile. Quella volta non ho parlato per una settimana dalla rabbia e però non potevo dire perché. Quando con gli amici parlavano di politica mi addormentavo, ma capitava poche volte. Quella sera parlavano di maschi e femmine, interessante.
“Oggi c’è una bella libertà”, dice Clara, l’amica della mamma. “I figli possono scegliere strade che una volta erano impossibili. Ci sono donne magistrate, uomini baby-sitter…” “I manny”, dice la mamma.

“Sì, e nessuno si stupisce più”, conclude Clara.
 “Beh, c’è un limite”, è mio padre a parlare. “Te la immagini una donna camionista?” “Ma ci sono. Ne abbiamo una in azienda, bravissima”, lo interrompe Clara. “Sì, ma dài, che lavoro è per una donna?”

Io seguivo senza respirare la discussione. Mi chiedevo che cosa sarebbe successo, quando, un giorno, di lì a poco, avrei detto loro quello che volevo davvero fare nella vita».

Sono da sempre cresciuta in un ambiente pieno di pregiudizi: i maschi sono e devono fare i maschi e le femmine sono e devono fare le femmine. Questa mentalità e questo modo di vedere il mondo mi è sempre stato un po’ stretto: a parer mio si può fare il mestiere che si vuole, senza dover per forza rendere conto ad altre persone delle scelte personali.
Al giorno d’oggi la scelta lavorativa è spesso associata (erroneamente) al genere, e al genere si associano anche determinati atteggiamenti (come il pianto oppure il modo di rispondere) in una discussione.
Mi sono sempre trovata in difficoltà a rapportarmi con gli altri, e ciò mi ha portata a dover indossare una specie di “maschera” in pubblico o quando sono con la mia famiglia.
La mattina dopo quella cena mi svegliai con la voce di mia madre: «Svegliati o perderai il pullman! L’autista non aspetterà mica te». Mentre scendevo le scale iniziai a pensare a quella frase: Sophie era l’autista che ogni mattina incontravo alla fermata del bus e che accompagnava a scuola ragazzi e ragazze del comune. Peccato che i miei genitori la criticassero molto, si sono sempre rifiutati di  chiamarla per nome, nonostante tutti in paese la conoscessero per la sua gentilezza e per la sua disponibilità. Era stata molte volte argomento di discussione a tavola, e io come d’abitudine tacevo, perché avevo capito che intromettermi troppo, oppure esprimere una mia opinione contrastante rispetto a quella dei miei genitori era inutile, perché non avrei mai avuto ragione; d’altronde io ero la più piccola, con poca esperienza, e ancora non avevo iniziato a rapportarmi con il mondo degli adulti. Ecco, era proprio lì che si sbagliavano, noi con il mondo degli adulti ci rapportiamo ogni giorno, e non mi sto riferendo solo ai professori: i ragazzi sono lo specchio dei genitori (attenzione: lo specchio e non la copia) e il loro modo di agire e di comportarsi riflette molto spesso l’educazione che hanno avuto.
Quella mattina il pullman tardò di dieci minuti, quindi io e alcuni miei compagni entrammo in ritardo. All’entrata non c’era la solita bidella Lucia, ma un signore abbastanza alto sulla quarantina; pensai subito fosse un nuovo professore. Salimmo le scale in tutta fretta, ma mi capitò di sentire parlare degli alunni della classe quinta E: «Ma chi era quello? Il prof nuovo di fisica?» disse una ragazza. «Macché! Quello è il nuovo bidello, penso si chiami Mario» rispose il ragazzo che le stava accanto. «Ma sei serio? Oddio, non ci credo! Che vergogna, non ce lo vedo proprio un uomo a fare il bidello». Un’altra voce commentò diversamente, «Bah, a me è sembrato gentile», però dopo non potei più ascoltare, perché entrarono in classe.
Durante la lezione di economia pensai a tutto tranne che ai calcoli: continuavo a pensare alla conversazione di quei ragazzi sulle scale, mi domandavo quale fosse il problema o la sensazione di stranezza che aveva provato quella ragazza riguardo al nuovo bidello: a parer mio non suscitava sensazioni di imbarazzo, ma solo tanta stima per essere riuscito a trovare un posto di lavoro che, come sappiamo, oggi non è cosa facile.
La giornata passò più o meno in fretta, tra un’interrogazione e qualche domanda si fece l’ora di tornare a casa.
Appena arrivata, come di consueto mi preparai il pranzo (quel giorno mi era andata bene, erano avanzate le lasagne) e mi sedetti a mangiare. Era mia abitudine usare il telefono quando mangiavo sola, così per curiosità entrai su Instagram e per caso mi capitò un post sott’occhio, uno di quelli “motivazionali” che recitava: “Lavora sodo, impegnati e porta il pane a casa, arriverai a sera e ti sentirai un vero uomo”. Storsi subito il naso, e ci riflettei per il resto del pranzo. Il pomeriggio ripensai a quell’articolo e mi dissi: «Che strano! Questi articoli sono sempre scritti da uomini e mai da donne, chissà perché?».
Quella sera avremmo avuto ospiti a cena, degli amici di vecchia data di mio padre. Dopo il dolce arrivano le chiacchiere, quelle che, dopo una serata passata fra amici, si fanno senza troppi pensieri. Quella sera però rimasi in cucina ad ascoltare. Matteo, l’amico dei miei genitori, disse una frase che mi urtò particolarmente: «Le donne avvocato? Sono buone solo a fare le segretarie, portare i caffè e fare le fotocopie». Una risata animò la sala, io mi raggelai, nemmeno mia madre rise a quella battuta, anzi la vidi con quel sorriso quasi amareggiato che si ha quando si pensa a qualcosa che non diciamo per paura del giudizio altrui, o semplicemente perché sappiamo quanto sia inutile.
Dopo ciò tornai in camera e al posto di origliare pensai. Pensai a quanto questo mondo fosse ingiusto, alla mentalità retrograda delle persone che mi circondavano e alla rabbia che provavo verso di loro. Quella battuta mi aveva ferita molto, perché già da piccola sognavo di fare l’avvocata e quella frase mi aveva fatto talmente orrore da farmi passare l’idea anche solo di accennarne ai miei.
Prenderò tempo, inizierò i miei studi di legge, i miei progetti saranno resi evidenti dalle mie scelte, non dovrò giustificare niente a nessuno. Mamma capirà subito, papà non so, ma non avrà importanza.
Ho capito che è inutile arrabbiarsi per i giudizi altrui. Li dobbiamo ascoltare, anche se ci feriscono, perché ci fanno vedere un altro punto di vista. Dobbiamo riflettere sulle parole di chi ci sta intorno, ma decidere liberamente. Solo così il loro giudizio ci renderà più forti. Mai nessun’altra persona, neanche i nostri genitori, deve scegliere al posto nostro.

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Il Secondo Premio per le Classi Terze è stato attribuito al racconto Forse non è come credi di Azzurra Madrigali, allieva della III A, indirizzo Tecnico economico, che ha preso spunto dall’incipit 3, di Adil Bellafqih, sviluppando un punto di vista autonomo in un’ottica di contestazione dell’opinione espressavi. Ha lavorato anche lei sotto la guida della prof.ssa Paola Paterni.
Riportiamo il giudizio della giuria:
«Il racconto, breve ma intenso, è coerente con l’incipit e aderisce pienamente alla tematica proposta. Di sicuro effetto il richiamo letterario finale, che invita a volare alto, oltre le gabbie degli stereotipi. Accurata e piacevole l’espressione».

Incipit:
«La prima cosa cui pensò quando la vide fu che, da morta, avrebbero dovuto metterla nella differenziata per la plastica. Non c’era parte di lei che non fosse rifatta o ritoccata. Forse tutto quel silicone le aveva intasato anche il cervello…».

Questo era quello che pensava Davide della professoressa di matematica del suo liceo. Davide aveva diciannove anni, era alto, biondo con gli occhi verdi e intensi, un fisico scolpito da dure sessioni di allenamento in palestra. Proveniva da una delle famiglie benestanti della città, commercianti da almeno tre generazioni. Lo si vedeva sfrecciare spesso con la sua Audi grigia, anche nei vicoli del centro città e quando arrivava a scuola non passava certo inosservato. Davide usciva solo con delle ragazze quasi anoressiche, aspiranti modelle, che portava nei locali più in voga della Versilia. Le sue relazioni duravano pochissimo, non dava importanza alle ragazze con cui usciva, era necessario solo che facessero scena e che riempissero di invidia i suoi amici. Tanto Davide lo sapeva che poi da grande avrebbe sposato una ragazza appartenente a una famiglia come la sua. Sia chiaro, Davide non avrebbe rinunciato alle uscite con le ragazze più giovani anche una volta sposato, l’importante sarebbe stato tornare sempre a casa da moglie e figli, trascorrere un mese d’estate a San Teodoro in Sardegna e le ferie invernali a Cortina.
Davide non era contro la chirurgia estetica, ma secondo lui doveva essere applicata sul seno e la bocca delle ragazze giovani che frequentava. Sulla professoressa Marchi no! A più di sessant’anni, a due passi dalla pensione, non aveva senso secondo lui sprecare soldi per un’impresa che gli sembrava disperata. Davide era in quinta liceo, a scuola non era mai andato molto bene, ma era sempre riuscito a essere promosso grazie all’aiuto di alcune compagne di classe che stravedevano per lui e a loro Davide si era sempre dimostrato riconoscente, anche se di nascosto dagli amici: non poteva perdere la reputazione.
Tutti aiutavano Davide, perché era ricco e brillante; essere considerati da lui voleva dire essere “fighi” altrettanto. Tutti subivano il suo fascino tranne Sofia.
Ed è proprio Sofia che Davide incontrò all’uscita di scuola e fu lei a intercettare il commento non proprio lusinghiero sulla professoressa Marchi. Sofia gli si avvicinò e lo fissò dritto negli occhi per almeno quindici secondi, e poi gli disse:
«Pirandello, dovresti ripassare la lezione di italiano su Pirandello, il suo saggio L’umorismo».
Dopo aver detto ciò, si girò e andò via impettita.

Davide non capiva cosa volesse intendere quella secchiona, ma al momento era importante mantenere un certo contegno con i suoi amici, così decise di offrire loro un aperitivo.

Davide però non era stupido, era solo superficiale, forse vittima della sua famiglia e prigioniero del tenore di vita cui era abituato, così nel pomeriggio, rientrato a casa, andò in camera sua e digitò sul Mac “Saggio l’Umorismo – Pirandello”.

Lesse prima svogliatamente, poi il suo interesse crebbe sempre di più. Arrivato in fondo a quello che era un ottimo riassunto del saggio, si incupì e, per la prima volta, si sentì piccolo piccolo».

In copertina: il pubblico studentesco presente alla premiazione a Roma il 27 aprile 2023, presso l’Aula magna dell’Università Roma Tre, Dipartimento di Scienze della Formazione.

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Articolo di Loretta Junk

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Già docente di lettere nei licei, fa parte del “Comitato dei lettori” del Premio letterario Italo Calvino ed è referente di Toponomastica femminile per il Piemonte. Nel 2014 ha organizzato il III Convegno di Toponomastica femminile. curandone gli atti. Ha collaborato alla stesura di Le Mille. I primati delle donne e scritto per diverse testate (L’Indice dei libri del mese, Noi Donne, Dol’s ecc.).

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