L’intrinseca femminilità dell’horror. I videogiochi

Il videogioco rende assai più facile immergersi nella storia rispetto ad altri media e ciò ha portato molti sviluppatori a includere elementi di orrore e paura già nei primi anni della sua diffusione di massa: quando, nel 1972, la prima console domestica per videogiochi, la Magnavox Odyssey, debuttò sul mercato al suo interno venne incluso un overlay di quello che dieci anni dopo sarebbe diventato Haunted House, rilasciato per l’Atari 2600, considerato il primo gioco horror della storia. In esso ci sono parecchi elementi che diventeranno ricorrenti nel genere: chi gioca ha il compito di sopravvivere da un mostro o una minaccia che mira a uccidere in modi tremendi, risolvendo enigmi e fuggendo alla vista del nemico, il tutto in una ambientazione lugubre atta a spaventare. Per quanto sia classificato come un gioco di avventura, Haunted House è ritenuto il precursore del survival horror, uno dei generi videoludici più noti e artisticamente proficui.

Seguirono titoli di successo, come Castlevania (1986), primo capitolo di una fortunata serie gotica incentrata su storie di vampiri, War of the Death (1987) e Spatterhouse (1988). Il primo gioco survival horror vero è proprio è tuttavia considerato Sweet Home (1989), titolo Capcom rilasciato per la Nintendo Entertainment System (Nes) che ispirerà, nella seguente decade, la fortunata saga di Resident Evil, il cui primo capitolo uscì nel 1996. Gli anni Novanta sono considerati l’epoca d’oro del genere horror nei videogiochi, con fortunati titoli come Alone in the Dark (1992), Clock Tower (1995), The Note (1997) e, forse il più famoso e artisticamente rilevante, Silent Hill (1999). Dal Duemila in poi il survival horror inizia a dividersi in diversi sottogeneri, da titoli che prediligono di più l’azione e il combattimento come Resident Evil a quelli che si mantengono sull’esplorazione dei tumulti psicologici dei personaggi, come Silent Hill. Rimane comunque costante la volontà di spaventare chi gioca attraverso atmosfere lugubri e storie che esplorano le nostre paure più profonde.

Come si posizionano le donne in questo scenario? Dopotutto, non è certo un mistero che il mondo videoludico è spesso stato ingiusto, se non anche aggressivo nei confronti del femminile, nonostante noi giocatrici siamo la metà dell’utenza e il contributo femminile sia stato presente sin dai primi anni. È perciò con una certa sorpresa che si può affermare che, a differenza di altri generi, le donne sono ampiamente rappresentate nell’horror videoludico, sia come protagoniste che come antagoniste. In Sweet Home la nostra avversaria è Lady Mamiya, moglie del pittore proprietario della casa che ci troviamo a esplorare, che ha ucciso diversi bambini per renderli compagni di giochi del defunto figlio nell’aldilà prima di suicidarsi; non trovando pace, il suo spirito è rimasto intrappolato sulla Terra sotto forma di fantasma. In Alone in the Dark possiamo scegliere se impersonare Edward Carnby o Emily Hartwood per proseguire la nostra avventura senza che questo influenzi particolarmente la trama – Carnby è un investigatore privato, Hartwood la nipote del proprietario della casa che andremo a conoscere. In D (1995) seguiamo Laura Harris mentre indaga nell’ospedale in cui suo padre si è barricato dopo aver compiuto una strage.

Jennifer affronta Scissorman in Clock Tower, First Fear

In Clock Tower (1995), capostipite di una fortunata saga horror, aiuteremo Jennifer Simpson a sopravvivere al mostro Scissorman e a scoprire i segreti dell’uomo che l’ha adottata – è inoltre uno dei primi giochi in cui possiamo solo scappare dal nemico, senza avere possibilità di affrontarlo direttamente. Il primo Resident Evil (1996) introduce un personaggio femminile che diventerà icona del mondo videoludico, Jill Valentine, membro delle forze speciali che cerca di salvare i propri compagni dai piani della compagnia di biochimica Umbrella Corporation. In Parasite Eve (1998) aiuteremo Aya Brea a combattere una forma evoluta dell’essere umano, un mostro dalle fattezze femminili chiamato Eve.

I primi anni del nuovo millennio aggiungono ulteriori nomi a una lista già lunga e proficua: Miku Hinasaki e le gemelle Mayu e Mio Akamura di Project Zero (2001)e Project Zero II: Crimson Butterfly (2003), fortunata serie horror giapponese con sia protagoniste che antagoniste femminili; Jennifer di Rule of Rose (2005), videogioco vittima di una campagna diffamatoria tra le più assurde mai viste; la serie di Silent Hill, piena di personaggi femminili di pregio, ha una protagonista con il terzo capitolo, Heather Mason; e ancora Utsuki e Sakuya di Kuon (2003), Rayne di BloodRayne (2002), Madotsuki di Yume Nikki (2004), Alice Liddell di American McGee’s Alice (2000) e del suo fortunato seguito Alice Madness Returns (2011), Claire Redfield e Ada Wong dai successivi capitoli di Resident Evil, la piccola e pericolosa Alma di F.E.A.R. (2005). La decade successiva, complice una nuova aurea era per il genere horror e i numerosi giochi indipendenti, consacra nuove figure femminili: Ellie di The Last of Us, (2013), Clementine di The Walking Dead (2012), Sam Giddings in Until Dawn (2015), Lisa di P.T. (2014), Viola e Ellen di The Witch’s House (2012), Ib e la sua omonima protagonista (2014), Aya di Mad Father (2012), Aki di Misao (2017), Susan Ashworth di The Cat Lady (2012). Tra i nomi più recenti è impossibile non nominare Alcina Dimitrescu di Resident Evil: Village (2021), vampira antagonista del gioco il cui carisma ha permesso al personaggio di essere conosciuto anche al di fuori del mondo videoludico.

A differenza di altri generi e media, la presenza femminile nel videogioco horror ha quindi una lunga e solida tradizione. Questo nonostante i giochi siano stati per lungo tempo concepiti per un pubblico prettamente maschile ed eterosessuale – elemento che emerge quando si vanno ad analizzare i contenuti speciali come costumi alternativi per i personaggi, particolarmente attillati o inquadrature fisse sul seno e sul fondoschiena delle protagoniste. In molti e molte hanno provato a spiegare il perché di questa tendenza adducendo che essa altro non sia che una riproposizione dei topoi della final girl e della femme fatale: la final girl è l’unica che è in grado di sopravvivere perché non viola le regole e le convenzioni sociali – spesso inerenti alla sfera sessuale; la femme fatale è una donna la cui sensualità conturbante e il fascino decadente pongono un ostacolo al protagonista. Secondo questa lettura non è quindi un caso che le protagoniste dei giochi horror siano in gran parte adolescenti o poco più che maggiorenni, la quintessenza dell’innocenza e della purezza, inseguite da mostri che intendono violarle; e che le antagoniste siano donne mature, in qualche modo interessate alla giovinezza delle ragazze che intendono seviziare. La grande differenza tra i film e i videogiochi, in tal caso, è che in quest’ultimo media siamo noi ad essere determinanti per la salvezza dei personaggi invece che essere meri spettatori e spettatrici, portandoci a empatizzare maggiormente. Non è poi un caso che nei titoli horror più votati all’azione come Resident Evil i personaggi giocabili primari siano uomini, mentre nel survival horror tradizionale sono ragazze fisicamente meno prestanti non solo di un uomo ma anche di una donna più adulta, che quindi aiuta ad alimentare il senso di pericolo nel giocatore o giocatrice.

Se da un lato questo genere ha creato personaggi femminili indimenticabili, dall’altro sfrutta ancora molteplici stereotipi sessisti che, a seconda del gioco, sono o sovvertiti o riconfermati: per una Heather Mason che affronta da sola un culto interessato alla sua fertilità e una divinità, dall’altro ci sono le protagoniste di Clock Tower messe in posizioni compromettenti a favor di telecamera; Project Zero ha creato personaggi femminili indimenticabili eppure fa indossare vestiti succinti come costumi alternativi anche a minorenni; su come alcune scene di game over rasentino il feticismo si potrebbe dedicare un intero articolo.

Questa ambiguità tra complessità caratteriale e di storia data ai personaggi femminili e la costante loro sessualizzazione emerge anche nelle tematiche affrontate dai giochi. I cambiamenti del corpo femminile sono da sempre fonte fruttuosa di ispirazione e i videogiochi hanno raccolto tale eredità e l’hanno ampliata: in Silent Hill 3 l’intera vicenda gira attorno alla fertilità di Heather e alla possibilità che il suo ventre ospiti il corpo di una divinità, le ambientazioni chiuse e ricoperte di sangue ricordano un utero, e il design dei mostri è legato al tema del parto, con il loro aspetto che ricorda quello di feti o ostetriche. Similmente, in Haunting Ground la fertilità della protagonista Fiona è il punto cardine della trama: una delle antagoniste rende esplicito il desiderio di farle del male proprio per il fatto che Fiona è in grado di avere una prole, elemento che la rende una “donna vera” a differenza di lei, frutto di esperimenti. Molti dei personaggi maschili hanno poi un atteggiamento predatorio nei confronti delle protagoniste, tra battute talvolta a sfondo sessuale – ricordiamo che la maggior parte di queste sono minorenni o appena sopra la maggiore età – arrivando a vere e proprie aggressioni, stupri compresi. Anche in questo caso la femminilità è presentata come inscindibile dalla maternità – seppure qui come motivo di orrore e repulsione – ed è causa di pericoli qualora si incontri un uomo, presentato inevitabilmente come violento. Ciò non vuol dire che tale rappresentazione sia sempre stereotipata e negativa: sia Heather che Fiona, alla fine del loro percorso, si sono rese indipendenti e autonome da un nemico che vede in loro solo la capacità riproduttiva. In anni recenti, inoltre, l’horror anche psicologico è stato in grado di includere tematiche non inerenti alla maternità e al ruolo di cura: Ellie di The Last of Us e Clementine di The Walking Dead sono inizialmente dipendenti da uomini e altre figure adulte, ma sono presto in grado di cavarsela da sole e continuare la propria storia senza aiuto esterno.

Alcuni dei costumi alternativi di Fiona in Haunting Ground

Difficile, quindi, tirare le somme. L’horror videoludico pullula di bellissimi personaggi femminili già da molto prima che si formassero le odierne istanze di rappresentanza, ma ha avuto e continua ad avere un evidente e doloroso problema di sessualizzazione, se non proprio di feticismo. Visti i successi dei recenti remake di Resident Evil – che hanno riconosciuto e risolto molte delle problematiche inerenti a personaggi femminili dei capitoli precedenti – e di titoli come Fear & Hunger – videogioco splatterpunk dove i personaggi maschili sono sessualizzati e subiscono violenza quanto quelli femminili – mi sento tuttavia di dire che siamo ormai sulla buona strada.

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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.

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