Leymah Gbowee. Nobel per la Pace

Tre donne vincitrici del Premio Nobel per la Pace nel 2011: l’avvocata liberiana Leymah Gbowee insieme alla presidente della Liberia Ellen Johnson Sirleaf e all’attivista yemenita Tawakkul Karman «per la loro lotta non violenta in favore della sicurezza delle donne e del loro diritto a partecipare al processo di costruzione della pace».

Nata a Monrovia, in Liberia, il 1° febbraio 1972, Leymah Gbowee vive un’infanzia serena con le tre sorelle, sognando di praticare la professione medica; dopo gli studi liceali negli Usa, diciassettenne rientra in patria dove sta iniziando la guerra civile (1989-2003); intervistata in Italia da Famiglia cristiana (4 luglio 2012) afferma: «divenni una donna molto arrabbiata, una donna sempre più arrabbiata via via che crescevo». Intorno ai 26 anni avvenne la presa di coscienza: dopo aver frequentato la Eastern Mennonite University in Virginia, fa l’assistente sociale e aderisce a un programma gestito dall’Unicef per addestrare a seguire le persone traumatizzate dai conflitti; opera come volontaria presso la Chiesa luterana di San Pietro a Monrovia prestando servizio nel Trauma Healing and Reconciliation Program, e comprende quale sarà il suo futuro impegno. Già madre di tre figli e incinta del quarto, sposata a un uomo violento, si sente dire dal padre: «Che delusione, quando ti aspetti che tua figlia faccia strada e invece diventa una dannata macchina per sfornare figli». Leymah capisce che spetta alle donne dare una svolta alla tragica situazione che insanguina il suo Paese, dominato dal potere brutale del presidente Taylor (oggi condannato all’ergastolo per crimini contro l’umanità dal Tribunale speciale della Sierra Leone). Intanto consegue un master in Trasformazione dei conflitti alla Mennonite University di Harrisonburg e due dottorati in legge honoris causa presso la sudafricana Rhodes University e l’università canadese di Alberta. 

Grazie all’aiuto della sorella Geneva che si prende cura della numerosa prole (due maschi e quattro femmine), insieme a Comfort Freeman fonda l’associazione Wipnet (rete delle donne per la costruzione della pace) e poi la Women of Liberia Mass Action for Peace (2003), con cui organizza veglie di preghiera, sit-in, manifestazioni pacifiche allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica contro i massacri di civili, gli stupri, i rapimenti dei bambini per farne spietati soldati. La loro ribellione comprende anche iniziative inedite come ad esempio (specie nelle campagne) lo sciopero del sesso. Le donne ― sia cristiane che musulmane ― madri, mogli, sorelle dei combattenti vestiranno rigorosamente di bianco, colore simbolico della pace. Leymah racconta molto di sé in una interessante autobiografia intitolata Mighty be our powers: how sisterhood, prayer, and sex changed a nation at war; dice di essere guidata in ogni circostanza dalla forza della fede; è infatti sempre stata attiva all’interno della Chiesa luterana; tuttavia, non nasconde i suoi errori e le sue umane debolezze. 
«La mia fede influisce in tutto quello che faccio, e mi spinge in luoghi dove non sempre avrei voluto andare. Durante la guerra, ho sognato una voce che mi diceva: “Riunisci le donne a pregare per la pace”. Non sapevo se era la voce di Dio… come poteva essere: ero soltanto una ragazza-madre e una peccatrice. Anche se ero molto riluttante la mia fede mi spinse a osare oltre i miei limiti. Ecco un esempio di cosa intendo quando dico che l’essere credente mi ha spinto a operare con più forza a favore della pace. Non si può dedicare la vita per la pace senza avere il senso di un potere superiore. Non sto dicendo che bisogna essere per forza cristiani, né che si debba essere musulmani, sto dicendo che devi avere un senso di un Essere Supremo che è più grande di te. Per quanto mi riguarda, il mio cristianesimo mi dà la forza di andare avanti e ottenere ispirazione quando lo sforzo razionale è insufficiente» (intervista citata). La guerra finalmente si è conclusa con la firma della Convenzione di Accra, ma ha lasciato dietro di sé circa 250.000 vittime, miseria, devastazione, il processo ai leader responsabili di tante sofferenze.

Negli anni 2004-5 Gbowee è stata commissaria designata della Commissione per la verità e la riconciliazione della Liberia; in proposito ha affermato: «la riconciliazione non è semplicemente una possibilità, è una necessità. È l’unica via che si può seguire», infatti «la pace è un processo, non un evento» sottolineando la complessità di certi cambiamenti radicali e la loro durata nel tempo. Ha fondato e dirige la Women Peace and Security Network-Africa, proseguendo coerentemente con il suo impegno, incentrato sul ruolo attivo delle donne.

Il suo contributo alla fine della guerra civile è stato determinante e questo le ha fatto assegnare il Nobel per la Pace, insieme alla yemenita Tawakkul Karman e alla neo-presidente del suo Paese, Ellen Johnson Sirleaf, succeduta democraticamente a Charles Ghankay Taylor e prima donna a ottenere questo incarico in Africa. La commissione norvegese (il Nobel per la Pace si assegna infatti a Oslo) si è augurata che il premio alle tre esponenti femminili, di cui due africane, «aiuti a porre fine all’oppressione delle donne, che ancora esiste in molti Paesi, e a realizzare il grande potenziale» che le donne possono rappresentare per la pace e la democrazia.  

Nel 2012 Leymah Gbowee è stata in Italia, su invito del Ministero degli Esteri; co-fondatrice di Ara Pacis initiative, ha parlato nella Camera dei Deputati il 3 luglio e ha partecipato al festival “Caffeina cultura” di Viterbo, presentando la citata autobiografia Grande sia il nostro potere, scritta con Carol Mithers, tradotta da Corbaccio. Sulla sua attività è stato realizzato il documentario Pray the Devil Back to Hell, vincitore al Tribeca film festival nel 2008; è intervenuta anche nel film di Jessica Vale Small Small Thing (2013) sulla piaga degli stupri di bambine in Liberia e nel documentario sulle donne africane di maggior rilievo (A Rede invisivel), girato dal brasiliano Carlos Nascimbeni.

Ritiro del Premio e discorso

A partire dal 2007 ha ottenuto numerosi riconoscimenti internazionali: è stata inserita fra le donne leader del XXI secolo e ha avuto la Blue Ribbon for Peace della J.F.Kennedy School of Government dell’Università di Harvard; nel 2008 il J.F.Kennedy Profile in Courage Prize e la medaglia per la giustizia del John Jay College; contemporaneamente al Nobel è stata nominata “alunna dell’anno” dall’Università Eastern Mennonite che aveva frequentato da giovane; nel 2013 ha ricevuto la medaglia dal Barnard College e The New York Women’s Foundation Century Award; l’anno seguente l’America Right the Wrong Award di Oxfam di cui è divenuta ambasciatrice globale. All’inaugurazione delle Olimpiadi di Londra del 2012 ha avuto l’onore di portare la bandiera del suo Paese.

Oggi vive in Ghana, ad Accra, e ha esteso a tutta l’Africa occidentale l’attività del Programma delle donne per la costruzione della pace. Fa parte dell’International Honorary Committee of the Global Biosphere Institute e dell’Aurora Prize Selection Committee. Il 20 agosto 2016 la Millennium Excellence Foundation l’ha insignita del Lifetime Africa Achievement Price (Laap) per la pace in Africa. Attualmente è editorialista di Newsweek Daily Beast, tiene corsi in varie università, è accademica ospite presso lo Union Seminary a New York e membro del Comitato di sostegno degli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) delle Nazioni Unite.

Qui le traduzioni in francese, inglese, spagnolo e ucraino.

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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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