Longing for Sarajevo

La storia di Sarajevo comincia ufficialmente nel 1461, quando il primo governatore ottomano della Bosnia Isa-Beg Isaković raggruppò vari villaggi della zona e li trasformò in una città vera e propria, costruendo un mercato coperto e una moschea nonché il palazzo del governatore. È però il funzionario ottomano Gazi Husrev-Beg che le diede la forma che oggi conosciamo. Rasa al suolo nel 1699, una volta sotto l’Impero austro-ungarico Sarajevo venne ricostruita secondo il gusto europeo: ciò portò alla fusione delle parti ottomane e moresche con palazzi edificati all’occidentale, donandole un aspetto unico in tutto il continente. La posizione geografica, al confine tra due grandi imperi multietnici, quello asburgico e quello ottomano, ne influenzò la composizione etnica e religiosa: qui hanno abitato pacificamente per secoli genti cristiane ortodosse e cattoliche insieme a gruppi di musulmani, di ebrei sefarditi e ashkenaziti. Questo ha reso la capitale dell’odierna Bosnia la ‘Gerusalemme d’Europa’, un centro culturale vivo e dinamico ed esempio di convivenza tra popoli e religioni diverse, una storia peculiare che è tuttavia stata macchiata dalla guerra di Jugoslavia e dai contrasti etnici da essa causati. A trent’anni dall’assedio che ha distrutto la città fisicamente e spiritualmente, quello che rimane è un profondo senso di nostalgia per quei rapporti di buon vicinato all’insegna della tolleranza e del rispetto. 

Moschea di Gazi Husrev-beg

Non è quindi un caso che la puntata di Lovely planet dedicata alla capitale della Bosnia si intitoli Longing for Sarajevo, Nostalgia per Sarajevo. E nostalgia è quella che permea la voce di Amela Zek Filipović, operatrice culturale, mentre ne racconta la storia. Come molte e molti connazionali Filipović si definisce una sarajevese prima ancora di identificarsi con una delle etnie presenti nella città, come per anni è stato fatto fino a quando la propaganda ultranazionalista ha disintegrato l’identità jugoslava. Nonostante i moderni dissapori l’armonia culturale e religiosa rimane indelebile nell’architettura urbana: ecco che inizia il racconto della sua Sarajevo a partire dalla Fortezza Bianca o Bijela Tabija, monumento nazionale della Bosnia-Erzegovina posto a 667 metri sopra il livello del mare, che fa da entrata orientale della città. Punto panoramico imperdibile, da qui passava la strada che dall’Europa del Nord portava fino a Costantinopoli attraversando il vecchio Ponte delle Capre1, uno dei quattro ponti ottomani rimasti e oggi immerso nella natura. Scendendo dalla Fortezza Bianca si arriva al Municipio, un tempo Biblioteca nazionale della Bosnia, dato alle fiamme durante l’ultima guerra. La costruzione sovrasta le piccole case presenti, il primo nucleo di costruzioni di quella che poi diventò l’area centrale. Filipović sottolinea, con orgoglio e malinconia, le tante anime che popolano le strade saravejesi.

Il quartiere Baščaršija

Nel quartiere di Baščaršija, che prende il nome dal mercato coperto, sono presenti edifici di tutte le maggiori religioni abramitiche. La moschea di Gazi Husrev-beg è la più famosa e importante, si chiama come il funzionario e benefattore ottomano che costruì gran parte della città; vicino ad essa sono presenti una scuola di studi islamici e altre due moschee, quella dello Tsar e quella di Ali Pascià, circondate a loro volta da numerosi negozi di artigianato locale.

Cattedrale del Sacro Cuore

Accanto alle moschee si trovano la Cattedrale ortodossa – contenente una pregiata collezione di icone – e la Cattedrale del Sacro cuore, i maggiori edifici cristiani, mentre la comunità ebrea sefardita e quella ashkenazita hanno ognuna la propria sinagoga. Pochi posti al mondo vantano una tale concentrazione religiosa secolare; oltre alle attività spirituali qui si anima anche la movida, con gruppi di giovani e giovanissime/i che la frequentano regolarmente. Le numerose fontane che abbelliscono le vie sono alimentate dal fiume Miljacka, che divide in due Sarajevo. Quella principale è la fontana di Sebilij, nella piazza centrale di Baščaršija, attaccata alla moschea di Gazi Husrev-beg: leggenda vuole che chi si abbeveri da essa tornerà prima o poi a Sarajevo, fatto che l’ha resa meta di moltissime e moltissimi turisti.

Il fiume Miljacka
Ponte Latino

Una caratteristica importante della città sono i ponti: oltre al già citato Ponte delle Capre il più famoso è sicuramente il Ponte Latino, il più antico, situato vicino al quartiere cattolico e dove Gavrilo Princip segnò il destino dell’Europa assassinando l’arciduca Francesco Ferdinando. Segue il ponte pedonale Festina Lente, di recente costruzione, che collega l’Accademia delle Belle Arti al centro urbano e a via Radićeva, piena di caffè letterari e librerie, tra cui la più famosa è Buybook, vivace luogo di aggregazione culturale e sede del festival letterario Bookstan.

La libreria Buybook

Il Ponte Suada e Olga, un tempo chiamato Vrbanja, è rimasto tristemente famoso per un evento accaduto all’inizio dell’assedio durante l’ultimo conflitto: Admira Ismić e Boško Brkić, una coppia di fidanzati interetnica, venne qui uccisa da dei cecchini; per questo oggi è anche conosciuto come Ponte della Morte. 
Il ponte pedonale di Ars Aevi fa parte di un più ampio progetto firmato dall’architetto Renzo Piano – che lo ha reso cittadino onorario di Sarajevo – e permette di giungere all’omonimo museo di arte contemporanea, che ospita una delle più variegate e ricche collezioni dell’Europa sud-orientale. Un progetto parzialmente finanziato e supportato dall’Italia nello sforzo della ricostruzione del quartiere cosiddetto ‘museologico’, situato nella parte più moderna, dove è presente pure un museo storico, sempre pieno di attività culturali interessanti anche per il turismo, e dove sono allestite delle mostre permanenti dedicate all’assedio e al periodo socialista. In questa zona c’è l’albergo Holiday, rimasto famoso perché vi risiedeva la stampa internazionale durante la guerra. 

I festival sono una parte importante della vita cittadina. Il Festival dell’inverno venne inaugurato dopo le Olimpiadi del 1984: si svolge attorno a Capodanno e consiste in una serie di iniziative culturali che si svolgono a pochi passi dalle piste olimpiche, costituendo una grande attrattiva per il turismo. In aprile si tiene il Festival della memoria, dedicato alla guerra, che funge da monito per le future generazioni a non dimenticare cosa può portare l’odio. Giugno e luglio sono i mesi del festival letterario di Bookstan, che ogni anno riscuote sempre un grande interesse anche internazionale. Sempre a luglio si svolge la Notte di Baščaršija, durante la quale si susseguono concerti dal vivo eseguiti nella città vecchia. Ad agosto si ha invece il Sarajevo film festival, uno dei più importanti dell’area balcanica. Infine, a settembre c’è il Festival del teatro internazionale, dove vengono gratuitamente offerti al pubblico numerosi spettacoli teatrali. 

A livello gastronomico non si può andare via da Sarajevo senza aver provato i cevapčići, il piatto nazionale bosniaco: polpette di carne mista tritata con cipolla e spezie. Sono vari i ristoranti che offrono questo piatto assieme a molti altri tipici della cucina locale, come il ristorante Pod Lipom vicino alla moschea di Baščaršija; attorno alla libreria Buybook è possibile gustare il vino bosniaco, mentre la pasticceria storica Slasticarna Ramis offre la baclava più buona della città.
Numerosi artigiani lavorano il rame e vendono le loro creazioni come i souvenir – Filipović raccomanda di comprare il pentolino per fare il caffè alla bosniaca, derivante da quello ottomano: si versa la polvere del caffè che viene coperta con l’acqua bollente, si mette sul fuoco fino a portarlo quasi a bollore, a quel punto si forma la famosa schiuma caratteristica di questo caffè, che viene poi servito in una tazza assieme a una zolletta di zucchero. Se si è interessati all’arte sarajevese, tuttavia, è possibile contattare artisti come Dejan Begović che vendono opere ispirate all’assedio e alla guerra di Jugoslavia, come quelle ricavate dai pezzi di legno che venivano usati per scaldarsi durante i rigidi inverni balcanici. Molto ambìti sono anche i cuori di Sarajevo, ispirati al premio dato durante il festival del cinema, disegnato dalla stilista francese Agnes B e oggi prodotti sotto forma di monili dalla gioielleria Sofić, che si occupa anche del restauro degli oggetti preziosi della famiglia reale bosniaca medievale ritrovati durante gli scavi.

La Sarajevo che emerge dal racconto di Filipović è di una città che sta cercando di ritrovare sé stessa a dispetto delle profonde divisioni che dominano oggi in Bosnia, che un po’ rimpiange quell’animo multietnico e tollerante che l’ha resa unica nel suo genere. 

  1. Il Ponte delle Capre, noto anche come Šeher-Ćehaja o Skenderija, è un simbolo intriso di storia e significato nella città di Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina. Costruito nel XVI secolo dai turchi ottomani, questo ponte ha assistito a secoli di cambiamenti e conflitti, diventando una testimonianza silente di una città che ha attraversato epoche di prosperità e periodi di tumulto.
    La sua architettura è un mix affascinante di stili, con influssi ottomani e austro-ungarici che si fondono in un’armonia unica. Il nome “Ponte delle Capre” deriva dalla tradizione di far passare capre attraverso il ponte durante la sua costruzione, simboleggiando la solidità della struttura.
    Durante la Guerra di Bosnia degli anni ’90, Sarajevo fu teatro di uno dei più lunghi assedi nella storia moderna, e il Ponte delle Capre non fu risparmiato. La sua distruzione divenne una metafora della distruzione della città stessa. Tuttavia, nel periodo successivo alla guerra, il ponte è stato ricostruito, simboleggiando la resilienza e la determinazione di Sarajevo nel risorgere dalle ceneri del conflitto.
    Oggi, il Ponte delle Capre è molto più di una struttura architettonica. È diventato un luogo di incontro e riflessione, un simbolo di unità e di superamento delle divisioni etniche e culturali. Gli abitanti di Sarajevo, con il loro spirito indomito, hanno restaurato non solo un ponte di pietra, ma anche il tessuto sociale della loro comunità.
    Il ponte offre una vista panoramica sulla città, permettendo ai visitatori di contemplare la fusione di culture e di riflettere sul passato tormentato di Sarajevo. Le pietre levigate dal tempo raccontano storie di commercianti, viaggiatori, amanti e soldati che hanno attraversato questo ponte nei secoli.
    Il Ponte delle Capre rappresenta la resilienza di Sarajevo, la sua capacità di guarire e prosperare nonostante le prove. Attraversarlo è come attraversare una porta che collega passato e presente, e testimonia il coraggio e la forza di una comunità che ha scelto di costruire, anziché distruggere, i ponti tra le sue diversità. In un mondo spesso segnato dalla divisione, il Ponte delle Capre è un monito universale sulla potenza della ricostruzione e della speranza. ↩︎
Mappa Città di Sarajevo eleborata da Elisa Onorati con software Qgis 3.22.2 su base OSM

Per ascoltare la puntata, clicca qui.

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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.

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