Pino: «Che rapporto hai con la Chiesa oggi, Vezio?»
Vezio: «Io sono cattocomunista totale. Sono orizzontalmente socialista, sulla faccia della terra, comunista. Come ci è stato insegnato, il comunismo serve a battere il capitalismo, poi viene il socialismo e infine la vera democrazia. Sono un cattolico trascendentale, perché così sono nato, verticalmente sono cattolico, quindi ‘catto-comunista’ totale».
Pino: «Preghi? Vai in chiesa?»
Vezio: «Di nascosto. Di nascosto ci vado. Non di me stesso, ma dagli altri che si scandalizzerebbero se mi vedessero entrare in chiesa».
È questo uno dei passaggi più oscuri e insieme interessanti dell’intervista (riportata in calce al testo) che Pino Strabioli fece a Vezio Bagazzini nell’estate del 2007, a dimostrazione che l’idea di scrivere un libro sulla vita di quest’uomo-simbolo di un’epoca e sulla storia del suo bar nacque allora. Poiché tuttavia il progetto ebbe una drastica interruzione per motivi che nessuno ricorda più, abbiamo dovuto attendere il giugno del 2023 perché il sempre attentissimo editore Iacobelli ne pubblicasse una sorta di ritratto collettivo, cucito insieme dalla penna magistrale di Maria Arcidiacono.
Il Vezio’s Bla Bla Bar, in Via De’ Delfini, si trovava alle spalle della storica sede del Partito comunista italiano in via delle Botteghe Oscure e la sua storia, fatta di immagini appese ovunque tra gli scaffali e bandiere sventolanti dai soffitti, è andata intrecciandosi con quella del Partito della sinistra italiana. Dal 1968 Vezio Bagazzini, figlio di genitori antifascisti, anticlericali e convinti repubblicani, ne fu l’orgoglioso titolare comunista e romanista, a suo modo filosofo politico di grande arguzia, nonostante la quinta elementare, tra un caffè e un cappuccino con cornetto. Così descrive il Vezio’s bar Domenico Scandella, di cui si riporta parola per parola il contributo:
«Il Bar di Vezio sembra piccolo, ma solo un metro quadro de più e già te starebbe sur cazzo. Perché? E che ne so perché, è questione di equilibri, di delicati equilibri, è così e basta. Del resto è a misura del padrone (vabbe’, padrone…). Ce lo vedete Vezio in un locale solo un po’ più grande? Te lo perderesti.
Il Bar di Vezio è giusto, su misura.
Il Bar di Vezio è brutto.
Brutto come so’ brutto io la mattina davanti allo specchio. Te guardi e te riguardi e capisci che mejo de così non è proprio possibile sperare: nun c’hai più un capello in testa e quella panza che te sbilancia in avanti senza pietà, sembra di un altro, un bastardo che te l’ha lasciata e s’è dato a gambe.
Il Bar di Vezio è lo specchio di ogni santa mattina: te ricorda come sei, te convince che mejo de così nun vieni e che se ai capelli je devi proprio di’ addio, pe’ la panza, invece, c’hai qualche speranza, basta che la smetti de magna’ pure quando dormi.
Il Bar di Vezio diventa bello assieme a te, basta credece e io ce credo.
Il Bar di Vezio è la prova vivente che non solo è esistita la via italiana al socialismo, ma che questa era un corollario della via romana al comunismo».
Un rifugio per tutti e tutte, questo bar (molti pensavano che Vezio fosse ebreo, non soltanto per la vicinanza del suo locale al ghetto, ma anche per la sua completa e totale apertura verso chi a questa cultura e religione apparteneva); un posto dove non si entra per il caffè, ma per il proprietario; dove la libera espressione di un sogno comunitario si fa discussione, serrato confronto, costruzione, pensiero, progetto. Un luogo di passaggio delle idee, ma anche di personalità politiche e culturali che hanno disegnato un’epoca, da Berlinguer a D’Alema, Bersani, Fassino, Veltroni, passando per gli aderenti alla Federazione giovanile comunista italiana e per nomi del calibro di Ennio Morricone, Claudio Villa, Renato Zero, Nicola Piovani.
La presenza nel bar e nelle pagine del libro più sconvolgente e sorprendente, almeno per me, è però quella di una donna: nientemeno che Aleida Guevara, figlia del comandante Che Guevara, di cui Vezio teneva la bandiera e la foto sopra il bancone, accanto a una immagine di Fidel Castro in versione subacqueo. Il locale e lo scorrere delle pagine si legano così in maniera indissolubile alle stanze del Pci, i cui rappresentanti non mancano mai di scendere da Vezio, come in un rituale di famiglia, anzi di famiglia allargata, in cui ciascuno ha il proprio metro quadrato di spazio da cui osservare e commentare i fatti e la storia. Tra i tanti biglietti che affollano gli specchi dietro il bancone, parafrasando uno slogan dell’epoca, uno recita appunto «Vieni in marina e girerai il mondo, vieni in piazza Morgana e il mondo girerà attorno a te». Autore lo stesso Vezio, il quale aveva un gran talento nel raccogliere e conservare come una tomba confidenze e indiscrezioni da parte dei vari rappresentanti del Partito, i quali sapevano bene di potersi fidare di lui e che anzi spesso ne cercavano il consiglio. Benché per i giornalisti era diventato un’abitudine, quando qualcosa bolliva in pentola nella sinistra italiana, entrare da Vezio per intervistarlo, gli avventurosi cronisti sapevano già che ne sarebbero usciti con meno informazioni di prima, ma con una bella sfilza di opinioni e massime con cui infarcire i loro articoli.
Io stessa potrei continuare questo pezzo quasi all’infinito, riportando le numerosissime e sempre gustose citazioni del protagonista che rendono C’era una volta il bar di Vezio un vero gioiello di ironia, ma finirei col rovinare gran parte del piacere della lettura a chi volesse immergersi in questo particolare libretto, così spiazzante che viene persino difficile definirlo. Non è un romanzo, né un racconto; non una biografia né un’antologia; non è neppure un saggio di storia o un memorandum. Piuttosto un tuffo in quasi quarant’anni di vita del Paese, visti da una piccola via della capitale, dove un’eterogenea famiglia allargata ha saputo sognare insieme, attorno a una tazza di caffè servita da
Vezio Bagazzini.

Maria Arcidiacono
C’era una volta il bar di Vezio
Iacobelli, Roma, 2023
pp. 176
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Articolo di Chiara Baldini

Classe 1978. Laureata in filosofia, specializzata in psicopedagogia, insegnante di sostegno. Consulente filosofica, da venti anni mi occupo di educazione.
