Capo Nord segna la fine e l’inizio del viaggio compiuto da Franz, pseudonimo di Francesca Zambon, e descritto nel suo libro edito da Ediciclo Editore. In una delle ultime puntate della scorsa stagione del podcast Lovely Planet di Rai Radio 3, la viaggiatrice si racconta al microfono di Anna Maria Giordano, riferendo l’impresa di un itinerario di più di ottomila chilometri in bicicletta attraverso l’Europa.

Un viaggio, spiega Zambon con voce pacata, intrapreso all’insegna di una ricerca della bellezza: esteriore, naturale, la bellezza che indubbiamente si annida negli anfratti rocciosi dei fiordi norvegesi tanto quanto lungo i declivi sabbiosi della costa francese, ma anche quella interiore dell’umanità incontrata lungo il cammino e riscoperta dentro di sé. La prima tratta è un panoramico percorso in treno da Monaco di Baviera, dove lei attualmente vive, passando per la Germania, la Svizzera, la Francia e la Spagna fino a Lisbona. È il Portogallo il punto di partenza del vero viaggio, quello che attraverso i Pirenei l’ha condotta verso nord, battendo l’Europa sotto le ruote della sua bicicletta. «Sono partita da Lisbona per ragioni prettamente personali» spiega, con il tono sicuro di chi non teme le sfide, «ho abitato anche lì, e per me era una città molto importante». Attraversando la regione dell’Alentejo, gemma del Portogallo incastonata fra le colline e l’oceano, Zambon ha poi raggiunto la Spagna, dove il suo percorso è andato a coincidere per un tratto con il cammino di Santiago. E poi Pamplona, i Pirenei e la discesa verso il mare, dove la maestosa Dune du Pilat, la più alta d’Europa, lambisce l’Oceano Atlantico. Da lì il lungo e scenografico itinerario attraverso la Francia per raggiungere il confine con il Belgio, poi con l’Olanda, e infine arrivare in Germania, dove l’aspettava il traghetto per la Danimarca.

Sette Paesi fin qui attraversati, un tripudio di colori, paesaggi ed esperienze difficilmente immaginabili. Quando le viene chiesto quali siano i luoghi che più le sono rimasti nel cuore, Zambon non ha dubbi: la Dune du Pilat1, così selvaggia e distante dalle atmosfere a cui siamo abituate/i nonché affascinante fenomeno di desertificazione europea, la vivace Pamplona, la rustica bellezza delle campagne portoghesi. Alla domanda su quale sia stato il confine più difficile da attraversare, invece, esita. Una brutta disavventura tra Svezia e Norvegia è l’unica che sembra tornarle in mente, «di notte mi hanno tirato delle pietre sulla tenda», racconta, con uno sbuffo divertito che certamente non rende giustizia a quella che dev’essere stata un’esperienza spaventosa. Ma questo non l’ha fatta perdere d’animo.

Prosegue nel suo racconto rievocando le bellezze naturali della Norvegia, una natura selvaggia e totalizzante che ci lascia a tu per tu con noi stessi. Una volta arrivata il suo cammino si snoda tra i fiordi di Oslo, Lillehammer, Ålesund, fino alla pittoresca Tromsø nel nord del Paese, antico insediamento vichingo con la più alta concentrazione di case in legno tradizionali, irradiata dall’aurora boreale d’inverno e rischiarata dal sole di mezzanotte in estate. Da Tromsø una deviazione verso sud-ovest, alle isole Lofoten, per poi risalire di nuovo attraverso il Finnmark così da raggiungere, finalmente, la penisola di Nordkapp. Capo Nord2. Da aprile ad agosto 2016, un viaggio di cinque mesi in cui neanche il ritorno è da meno: un lungo tragitto, compiuto perlopiù in autobus, per le vaste foreste lapponi fino a Helsinki, e poi verso sud passando per le tre repubbliche baltiche (nell’ordine: Estonia, Lettonia, Lituania), la Polonia, l’Austria e infine la Germania, dove è tornata alla sua Monaco di Baviera.

La mappa geografica del percorso di Francesca Zambon si accosta a quella umana degli incontri fatti durante un viaggio compiuto sì da sola, ma mai in solitudine. Racconta degli amici di Lisbona, degli scambi con altri viaggiatori e viaggiatrici su due ruote partiti ancor più da lontano, dal Marocco, e anche dell’esperienza di una prospettiva di vita semi-nomade in bicicletta. La narratrice si sofferma pure sulla generosità di molte persone locali che l’hanno ospitata, con il supporto della tecnologia e delle moderne app, permettendole di entrare a contatto con storie, culture e vite diverse. Un’esperienza in cui l’umanità solo in apparenza scivola in secondo piano rispetto alla natura, come il momento quasi mistico dell’osservazione collettiva del tramonto sull’isola di Andøya, che lei si porta dentro, impressa come una fotografia. O come i particolarissimi souvenir che ha riportato a casa: tantissime conchiglie, collezionate lungo i chilometri di sterminata linea costiera dal Portogallo alla Norvegia, calzini di lana, merluzzo essiccato e una giacca antipioggia.

Ma oltre a essere una viaggiatrice esperta e una ciclista appassionata, Francesca Zambon è anche designer dell’innovazione; le viene infatti chiesto da Anna Maria Giordano se e come la sua professione possa aver influito sul suo modo di vedere il mondo, il ruolo giocato all’architettura in un viaggio tanto urbano quanto selvaggio. «L’architettura ha sempre avuto un ruolo importante su come disegniamo le interazioni fra l’essere umano e l’ambiente», spiega, «e questa cambia da Paese a Paese». Una vera e propria psicologia dell’architettura, sottile e affascinante, quella da lei illustrata nel raccontare l’accogliente Lisbona in contrasto, per esempio, con le mura merlate di Salamanca. Un’architettura definita «strati di polvere umana», e che viene meno, diventando più timida e geometrica, tanto più a nord ci spingiamo, in una vera e propria retrocessione dell’essere umano che lascia spazio all’ambiente naturale.
Viaggiare, si sa, ci getta a capofitto in situazioni in cui non avremmo mai pensato di trovarci. In un viaggio lungo come quello di Francesca Zambon, sono state diverse le occasioni in cui ha avuto modo di toccare con mano cosa significasse immergersi in una cultura diversa. «Nulla di programmato», racconta, solo molta casualità, come il ritrovarsi in mezzo alla parata in onore del pittore fiammingo Hieronymus Bosch nella città di ‘s-Hertogenbosch in Olanda, ma anche parecchio senso dell’avventura che l’ha spinta a prendere parte a una caccia alle balene in Norvegia. È proprio la possibilità di non dover programmare alcuna attività, di seguire il flusso con mente attenta e curiosa, che la viaggiatrice ricorda con maggior piacere. E i ricordi di questo incredibile viaggio certamente l’accompagneranno, con la speranza che ispirino sempre più persone a partire, in bicicletta o a piedi, verso nord o verso sud, ma soprattutto verso nuove altre destinazioni.
Per sentire la puntata integrale del podcast Lovely Planet di Rai Radio 3: https://www.raiplaysound.it/audio/2022/12/Lovely-Planet-del-26122022-2e1a9b71-e460-42ae-843f-2134f331cf95.html
- Dune du Pilat – la duna più grande d’Europa
La Dune du Pilat, anche nota in francese con il nome di Grande Dune du Pilat, è la duna più alta d’Europa. Situata nel bacino di Arcachon nel sud della Francia, a circa sessanta chilometri da Bordeaux, la Duna si estende per quasi tre chilometri lungo la costa. Nel 2018 è stata effettuata l’ultima misurazione, con un’altezza stimata di circa 106 m sul livello del mare. La Duna è instabile e costantemente in movimento: sta pian piano arretrando all’interno della pineta che la circonda a causa dei forti venti che spazzano la costa francese, con un record di 175 km/h registrato nel 2009.
Formazione e storia
La Duna ha una storia relativamente recente, ma il sito dove sorge è molto antico: alla sua base sono stati infatti ritrovati degli oggetti, fra cui un’urna funeraria, risalenti all’età del Ferro. Il processo di formazione comincia nel Settecento con la disgregazione di un enorme banco di sabbia che si estendeva lungo la linea costiera attuale. Le misurazioni svolte nel 1835 stimano un’altezza di soli 35 m, infatti il nome deriva dal termine guascone pilàt che significa mucchio o monticello, denotando quindi un’altezza molto inferiore a quella che osserviamo oggi. La Dune du Pilat è tecnicamente definitiva come foredune, cioè un accumulo di sabbia depositato dal vento che si estende parallelamente a una spiaggia.
Un esempio di desertificazione europea
La Duna si spinge sempre di più nell’entroterra, inghiottendo dagli 1 ai 5 m di pineta ogni anno, e per questo rappresenta un fenomeno di desertificazione naturale e localizzata che interessa il continente europeo. È un ambiente fragile, preservato da un delicato equilibrio, e si teme che gli incendi boschivi che hanno consumato la pineta circostante negli ultimi anni possano accelerare il fenomeno di slittamento della sabbia. Ciò contribuirebbe a far perdere alla Duna la sua ragguardevole altezza, e andrebbe inevitabilmente anche a incidere sul turismo. La Dune du Pilat accoglie infatti migliaia di visitatori ogni anno ed è inserita nel circuito Grand site national, un elenco di siti turistici molto frequentati e per questo maggiormente tutelati.
↩︎ - Capo Nord
Nordkapp in novergese, Capo Nord è un promontorio situato sulla punta nord dell’isola di Magerøya, nella contea del Finnmark. È più precisamente una falesia, cioè una costa rocciosa con pareti a picco sul Mare glaciale artico. Nell’immaginario collettivo è considerato il punto più a nord del continente europeo, ma ciò è tecnicamente inesatto in quanto il vicino promontorio di Knivskjellodden si trova a un grado in più di latitudine nord. La popolarità di Capo Nord come estremità settentrionale d’Europa è dovuta all’esploratore inglese Richard Chancellor, che vi approdò nel 1553 durante una spedizione di ricerca del passaggio a nord-est.
I fenomeni polari – il sole di mezzanotte e l’aurora boreale
Come tutte le regioni del circolo polare, Capo Nord è interessato dal fenomeno estivo del sole di mezzanotte. A causa di una particolare inclinazione dell’asse di rotazione terrestre rispetto al piano dell’orbita, il sole non scende mai sotto la linea dell’orizzonte per più di venti ore, e di conseguenza non cala mai la notte. Non si verifica invece il fenomeno della notte polare vera e propria: per circa due mesi il sole non sorge mai oltre la linea dell’orizzonte, ma il lungo crepuscolo che ne deriva impedisce che scenda il buio totale. È possibile anche ammirare l’aurora boreale, un fenomeno ottico causato dall’interazione di particolari particelle (protoni ed elettroni) di origine solare con l’atmosfera terrestre, che si verifica nelle zone situate vicino ai poli magnetici.
Storia e turismo di Capo Nord
Capo Nord è stato occasionalmente visitato nel corso della storia a partire dall’esplorazione di Chancellor, prevalentemente da avventurieri europei. Tra l’Ottocento e il Novecento ha ricevuto alcune visite illustri, tra cui Re Oscar II di Svezia nel 1873 e il Re di Tailandia Chulalongkorn nel 1907. È soprattutto a partire dagli anni Sessanta che il flusso turistico si fa più intenso, mettendo il governo norvegese nelle condizioni di doversi attrezzare per farvi fronte. Il promontorio attualmente offre diverse strutture informative e ricettive, fra cui il Royal North Cape Club, dove è possibile ottenere un diploma che attesta la propria visita. ↩︎
***
Articolo di Ilaria Ricci

Laureata in Lettere moderne, si sta specializzando in editoria. Ama le storie, qualunque sia il mezzo con cui vengono raccontate, e ama coglierne l’architettura profonda. Gli amici la definiscono “quella razionale del gruppo”.

Un commento