Per mari e oceani con Anita Conti

«Noi siamo i gestori, fugacemente passeggeri, di terre, arie e acque che dovranno nutrire folle in futuro, perciò si deve tramandare una proprietà correttamente mantenuta». Potrebbe sembrare una frase pronunciata ai giorni nostri da chiunque abbia a cuore la vita sulla Terra. A scrivere queste parole, invece, è stata Anita Conti, una delle figure scientifiche e umane più appassionanti del secolo scorso. Nata nel 1899 come Anita Caracotchian a Ermont, vicino Parigi, da una ricca famiglia armena, è fin da piccola indirizzata verso lo studio della natura e in particolare del mare. Trascorre infatti le vacanze estive in Bretagna, e, come spesso ripeteva, impara prima a nuotare e poi a camminare. È proprio nel mare che concentrerà le sue energie sia mentali che fisiche, lungo tutto l’arco della vita, diventando la prima oceanografa di Francia. Lo studio delle acque e delle creature che le abitano la porta a qualificarsi anche come giornalista, fotografa e scrittrice, e a guadagnare l’appellativo di “Dama del Mare“, con il quale viene ancora oggi ricordata. Allo scoppio della Prima guerra mondiale si trasferisce a l’Ile d’Oleron con la famiglia, sulla costa atlantica francese, e nel 1927 sposa Marcel Conti, con il quale intraprenderà numerosi viaggi in giro per il mondo. Si inserisce senza problemi in una comunità prettamente maschile: quella della pesca e della navigazione in generale. Diventa presto “una di loro”, riuscendo a stringere facilmente legami lavorativi e affettivi che la porteranno a durature e proficue collaborazioni.

È difficile ancora oggi, per una donna, far parte dell’ambiente della pesca: la percentuale di donne impiegate nel mondo ittico in Europa è bassissima. Negli anni in cui salpava Anita era l’unica, sempre la prima, la pioniera. In tutto. Si concentra fin da subito sullo studio degli allevamenti delle ostriche, sottolineandone le problematiche in termini di sfruttamento e sostenibilità, oltre ad evidenziarne le scarse condizioni sanitarie. In questo, Anita Conti è stata a tutti gli effetti un’anticipatrice di riflessioni diventate prioritarie diversi decenni dopo. Non è per nulla scontato, infatti, che nella sua epoca segnata dallo sfruttamento incontrollato e feroce, si parli di rischi ambientali o di ecologia in generale. Termini che appartengono al nostro tempo, ma che racchiudono significati che la nostra esploratrice aveva già fatto propri. Come si può facilmente immaginare, non viene data rilevanza alle questioni che pone, o almeno non nell’immediato, e così continua, al tempo come oggi, la razzia di ogni risorsa.

Foto di Anita Conti

Nel 1935 inizia a lavorare presso l’Office Scientifique et Technique des Pêches Maritimes (Ufficio Scientifico e Tecnico della Pesca Marittima), per poi salpare con la prima nave oceanografica francese, la Président Théodore Tissier. Mentre solca mari e oceani crea delle originali carte ittiche, studia i fondali, rileva salinità e densità delle acque e compone dei meravigliosi reportage fotografici. Scrive poi diversi articoli per quotidiani e periodici francesi, diventando celebre all’interno del mondo accademico, scientifico o più in generale intellettuale del suo tempo. Nel 1939 riparte, questa volta a bordo della Vikings, per la prima stagione di pesca al merluzzo della sua vita; su questa avventura scriverà anche un libro, dal titolo Le carnet Viking: 70 jours en mer de Barents (Diario Viking: 70 giorni nel mare di Barents).

Foto di Anita Conti

Avrà pure un ruolo fondamentale all’interno di una particolare missione: trascorre diversi mesi a bordo di pescherecci in legno incaricati di disinnescare le mine piazzate dalla marina tedesca; la Dama del Mare mette a disposizione tutto ciò che sa sull’acqua, sulle correnti e sui fondali per questo pericoloso ma importante intervento. Lungo le coste occidentali dell’Africa realizza le carte nautiche della Mauritania, in Algeria studia le tecniche tradizionali della pesca locale per conto del governo di Algeri, e in Guinea contribuisce al miglioramento delle modalità di affumicatura del pesce ispirandosi alle tecniche utilizzate nel Mare del Nord. Trascorre molti anni in Africa, imparando a conoscere le popolazioni che incontra e cercando di dare un contributo alla vita di mare dei luoghi che attraversa. In particolare, si dedica alla riflessione sui problemi alimentari, studiando l’apporto di proteine ricavabili dal pesce.

In un’intervista del 1992, all’età di novantatré anni, dichiara che se non fosse stata portata per il mare sarebbe morta, perché sulla terra ferma si può calcolare l’ostacolo, ma in mare non si può calcolare nulla. Sembra dirlo senza stanchezza, con la lucidità di chi è consapevole di aver vissuto esattamente dove era nata per vivere: in mezzo al mare. E ciò che fa di questa esploratrice, oceanografa, viaggiatrice, etnologa, ecologista, fotografa, giornalista e scrittrice una personalità ancora più irresistibile e genuinamente affascinante, è la profondità di sentimento con cui ha navigato per quasi un secolo.

Nel 1952 si imbarca sulla Bois-Rosé per partecipare ancora una volta alla campagna di pesca al merluzzo, e documentare ciò che accade e che riesce a osservare. Si trova nei pressi di Terranova, e filma e fotografa quanto vede. Da questa avventura nascerà uno dei suoi capolavori: Racleurs d’océan (I raschiatori dell’oceano); a dire il vero, tutti gli appunti e i pensieri annotati negli anni verranno riordinati nel 1953, quando inizia la stesura di numerosi libri ancora oggi letti ovunque nel mondo. Tra questi ricordiamo anche Géants des mers chaudes (I giganti dei mari caldi), che ci porta nei mari africani, e L’Océan, les bêtes et l’homme (L’oceano, le bestie, l’uomo), nel quale condensa dieci anni di viaggi in mare, dal 1960 al 1970. A lei e alla sua collaborazione col celebre comandante Jacques Cousteau si deve la realizzazione del Museo Oceanografico Francese, prima del ritiro a Douarnenz, in Bretagna. Diari di bordo, fotografie e materiale audiovisivo sono conservati nell’archivio dell’associazione Cap sur Anita Conti, che nasce nel 1992, cinque anni prima della sua morte avvenuta nella notte di Natale del 1997. Dopo una vita in mare, dopo aver navigato fino all’età di ottantacinque anni, si ritira in un porto, e non poteva essere diversamente: si affaccia sul mare fino alla fine. E fino alla fine rivede e ricorda la sua vita avventurosa e ondulata, imprevedibile e mai statica.

Da questa profondità sono nate diverse poesie, una di queste, scritta nel 1994, sembra perfetta per condensare la sua essenza:

Pourrais-tu ignorer / Que chaque jour, Pour Toi, / un ciel entier s’éclaire?
À Tous les pas de cet élan / qu’est notre vie / À tous les jeux de cette rage / J’ai ouvert les bras / Et gémi
Et sur le grand vent refermé, / Au long des temps / Mes bras heureux brûlent encore / De leur désir.

Come puoi ignorare / Che ogni giorno, per te, / si illumina un intero cielo?
A ogni passo di questo cammino / Che è la nostra vita, / A ogni gioco di questa rabbia / Ho aperto le braccia / e ho pianto
E sul grande vento chiuse, / Attraverso i secoli / Le mie braccia felici bruciano ancora / Del loro desiderio.

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Articolo di Emilia Guarneri

Dopo il Liceo classico, si laurea in Lettere presso l’Università degli Studi di Torino. In seguito si trasferisce a Roma per seguire il corso magistrale in Gestione e valorizzazione del territorio presso La Sapienza. Collabora con alcune associazioni tra le quali Libera e Treno della Memoria, appassionandosi ai temi della cittadinanza attiva, del femminismo e dell’educazione alla parità nelle scuole.

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