È trascorso un anno da quando, nella notte del 1° ottobre 2022, è venuta a mancare nella capitale la scrittrice Rosetta Provera, nota con il cognome da sposata Loy. Il 4 si svolsero i funerali nella chiesa di Santa Maria Immacolata a Grottaferrata, ma poi fu tumulata nel luogo tanto amato, di cui era originario il padre e dove esiste sempre la casa di famiglia: Mirabello Monferrato in Piemonte, ambientazione del suo romanzo più noto e apprezzato: Le strade di polvere (Einaudi, 1987), e di altre sue opere.
Era nata a Roma il 15 maggio 1931 da un padre piemontese, ingegnere, e una mamma romana, impiegata; fino da bambina manifestò interesse per la letteratura, tanto da aver fatto il suo esordio a 9 anni con un racconto. Intorno ai 25 anni espresse chiaramente il desiderio di diventare una scrittrice, finché nel 1974 pubblicò il romanzo La bicicletta, subito salutato con favore dal pubblico e dalla critica, vincitore del premio Viareggio Opera prima.

Parole bellissime scrisse in proposito Natalia Ginzburg: «La vita d’una famiglia dell’alta borghesia, in Italia, negli anni della guerra e del dopoguerra. Tema essenziale del racconto è l’adolescenza. Avvertiamo il rapido ritmo del tempo, il rimescolio confuso delle ore e delle stagioni. Ma i personaggi appaiono, alla fine e dopo molti anni, stranamente identici al momento iniziale in cui li abbiamo incontrati. Su questi tratti suggellati nell’adolescenza, le offese della vita del tempo appaiono piú visibili, piú strane e piú dolorose… I personaggi guardano la realtà come dall’alto d’una finestra o d’una terrazza. Non riescono ad afferrarne che gli echi e i lampi. Sensazioni e ricordi rimbalzano dall’uno all’altro, e tutto il racconto è come un sommesso bisbiglio corale dove si alza a tratti una voce piú acuta, una piú impaziente e ansiosa interrogazione e ricerca di libertà».
Loy ha dichiarato in un’ampia intervista al quotidiano la Repubblica (6 marzo 2016): «Mi è sempre piaciuto scrivere. Fin da bambina ho avuto questa predilezione. Ti danna e ti salva. [La scrittura è] Una parte di me, necessaria come gli occhi o le mani». «In me è la scrittura, prima di ogni altra cosa, che mi mette a nudo». Ma proprio dopo la pubblicazione del primo romanzo, intervenne un serio problema sentimentale per la scrittrice, combattuta fra due amori, il marito e il critico Cesare Garboli, «una lunga, meravigliosa e difficile storia con un uomo straordinario»: «da allora, per anni, non sono stata più in grado di scrivere. C’erano i miei figli, c’era il più piccolo. E so che senza di loro mi sarei suicidata. Stavo talmente male da desiderare solo di sparire. Ero infelice con la sensazione che nulla avrebbe riportato la luce nella mia vita. Mio marito, ricordo, fu di grande aiuto», ha raccontato ancora. Poi lentamente l’attività letteraria riprese, con efficaci cure la depressione passò, grazie anche all’impegno nella rivista Noi donne e all’affetto incondizionato della famiglia; arrivarono La porta dell’acqua (1976), L’estate di Letuche (1982), All’insaputa della notte (1984). Di alcuni anni successivo è Cioccolata da Hanselmann (Rizzoli, 1995), premio Grinzane, in cui affronta attraverso la forma del romanzo il dramma delle persecuzioni razziali.

Siamo prima a Roma e poi in Svizzera dove una ragazzina cattolica e un ragazzino ebreo vedono infrangersi forzatamente la loro bella amicizia, ma l’opera ha ben altri risvolti e molti personaggi che intrecciano le loro vite, in un arco di tempo che arriva fino al dopoguerra. Anche qui, notava Cesare Garboli, i temi prevalenti sono la famiglia e il tempo, ma un dato originale è fornito dall’epilogo: anziché una conclusione, ci troviamo di fronte una sorta di antefatto che risale agli anni Trenta nella pasticceria Hanselmann di Saint Moritz: «in questi pochi minuti il romanzo si raccoglie, si riavvolge, e si fa rileggere come in un globo di vetro». Assai interessante pure l’altra prova sulla stessa tematica: La parola ebreo (1997-premio Fregene e premio Alassio), in cui Loy si interroga sul rapporto fra la borghesia “distratta” e passiva a cui appartenevano i suoi genitori e le persecuzioni della popolazione ebrea, a causa delle leggi razziali del 1938.

Si tratta di narrazione, ma anche di libro di memorie e saggio, in cui con sapienza la scrittrice unisce e mescola i vari piani, con quello stile che l’ha caratterizzata, attenta com’era ai dati storici, alle ambientazioni, ai sentimenti, ai ricordi. Era stato tuttavia il pluritradotto Le strade di polvere, una sorta di viaggio nello spazio e nel tempo,a darle la massima notorietà e a farle ottenere numerosi riconoscimenti, dal Campiello al Supercampiello, dal Vareggio al città di Catanzaro, dal premio Rapallo al Montalcino. Romanzo storico, ambientato fra età napoleonica e Unità italiana, che «garantisce un piacere triforme ― ebbe a dire ancora Garboli ― la storia, la narrazione, la meditazione». «Il taglio è realistico, lo stile essenziale, con una lingua sobria in cui entra talvolta un vocabolo dialettale, come il soprannome che i paesani danno ai giovani fratelli che aprono la saga»: Pidrèn e Giai, così aveva scritto sul Corriere della Sera Ida Bozzi ricordando la scrittrice appena scomparsa (3-10-2022).

Fratelli che saranno separati nell’ideologia e dall’amore: uno coronerà il sogno di sposare Maria, l’altro combatterà nelle truppe napoleoniche, ma la complessa vicenda segue la famiglia per più generazioni, fino al malinconico epilogo.
Nel 1992, lasciata momentaneamente la casa editrice Einaudi, Rosetta Loy pubblicò presso Mondadori Sogni d’inverno. In quel periodo si dedicò alla traduzione dal francese di due classici: La principessa di Clèves e Dominique, per la collana einaudiana “Scrittori tradotti da scrittori”. Nel 2000 uscì Ahi, Paloma, ambientato nel 1943 in Valle d’Aosta; il successivo Nero è l’albero dei ricordi, azzurra l’aria (2004), vicenda su cui aleggia una tragedia inespressa in un ampio arco temporale, dal 1941 agli anni Sessanta, ricevette il premio Bagutta, il Brancati, il Rhegium Julii. Nel 2009 è la volta di La prima mano, incentrato sul ricordo della figura paterna, seguìto da Cuori infranti, in cui ricostruisce in forma di racconto “nero” due tragiche vicende che hanno sconvolto l’opinione pubblica italiana, e da Forse, prima parte dell’autobiografia. Nel 2013 esce Gli anni fra cane e lupo in cui ancora riprende tematiche legate a un preciso momento del XX secolo, gli anni fra 1969 e 1994.
Nel 2005 è stata insignita del prix Jean Monnet de littérature européenne e nel 2017 le è stato attribuito il Campiello alla carriera.
A proposito del matrimonio, ha raccontato che, dopo l’infanzia dorata e la giovinezza ribelle, neppure diciottenne aveva conosciuto un ragazzo del tutto fuori del suo ambiente e se ne era innamorata: un giovane «Che si staccava dalla fauna che frequentavo. Credeva nei valori del comunismo. Si occupava di fotografia e di cinema. Si chiamava Peppe [Giuseppe], era il fratello di Nanni Loy. Ci mettemmo insieme nel 1949. Mio padre provò ad ostacolare in tutti i modi la relazione. Convinto che le sue idee avrebbero portato scompiglio. Ma alla fine ce la facemmo. Ci sposammo nel 1955. Siamo stati insieme fino alla sua morte, nel 1981. L’ho amato e l’ho tradito. Ma a lui debbo la mia quiete e la mia forza. A lui debbo i miei quattro figli [fra cui Margherita, anche lei scrittrice e giornalista]. A lui che non ha mai chiesto niente debbo molto».

Già prima della morte del marito, aveva intrecciato un tormentato rapporto intellettuale e affettivo con il noto critico Cesare Garboli che di lei scrisse: «rapida, essenziale, concreta; ma, come certi scrittori dell’Ottocento, si esalta in quegli argomenti sui quali finiamo sempre col misurare, per abitudine, il talento dei romanzieri: l’amore, la guerra, i bambini, la morte». A lui dedicò il libro del 2018 Cesare in cui rievocava la loro amicizia, il loro sodalizio, andato avanti fino alla morte di lui (2004), ma anche gli incontri, le comuni passioni, i luoghi cari a entrambi, come la casa in Toscana, a Vado, nell’entroterra versiliese.
Riguardo al suo rapporto con la fede e con la malattia, Loy nella citata intervista aveva dichiarato: «Ero credente. Avevo un atteggiamento fiducioso verso la vita religiosa. Del resto mio padre, uomo religiosissimo, mi aveva inculcato i principi del credo cattolico. Avevo studiato dalle suore. Ero la classica bambina dell’alta borghesia timorosa di Dio e delle istituzioni. Ma dov’era Dio mentre morivo? Dov’era la religione che ti confortava con le sue promesse? Ricordo che a quasi 40 anni, con l’infarto polmonare in corso, la sola cosa a cui disperatamente pensavo era il piccolo Angelo, il figlio che avevo avuto e che probabilmente mi avrebbe perso». Dopo una diagnosi errata e tanta paura, per fortuna la scrittrice, soprattutto donna e mamma, si riprese, rimanendo scettica e conservando quella visione critica e disincantata della vita che traspare nelle sue opere, acute e mai consolatorie, e che già ci manca.
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.
