Malala Yousafzai. Nobel per la pace

«Per la sua lotta contro la sopraffazione di bambini, bambine e giovani e per il diritto di tutti e tutte all’istruzione».

Una vita straordinaria, la sua, un destino annunciatosi precocemente come di rado avviene. Iniziata in giovanissima età la sua campagna per il diritto allo studio delle bambine nelle zone rurali del Pakistan, a dodici anni già gestisce un blog di successo. I talebani decidono di ucciderla, ma lei sfugge alla morte e i media di tutto il mondo danno la notizia dell’attentato; parla alle Nazioni Unite e in moltissime altre istituzioni, è insignita con un numero impressionante di premi prestigiosi, tra cui il Nobel per la Pace, viene chiamata a inaugurare scuole e biblioteche, scrive libri, dà vita a una fondazione, incontra leader politici di tutto il mondo, diventa un simbolo mediatico di eccezionale potenza.

Oggi Malala ha 24 anni e da poco tempo si è unita in matrimonio con un connazionale, un giovane imprenditore pakistano che ha conosciuto nel Regno Unito, dove vive. Il suo nome da qualche tempo compare di meno sui giornali e c’è quasi da rallegrarsene per lei, se è il segno di un po’ di normalità, finalmente, nella vita di una giovane donna cui un destino d’eccezione non ha permesso di vivere l’adolescenza come tutte le sue coetanee. Ma Malala non ha mai nascosto di nutrire ambizioni politiche e anche la laurea conseguita a Oxford (in Philosophy, Politics and Economics), sembra preludere a un impegno in questo senso; ha ancora molto da dare al suo Paese e al Mondo, e con tutta probabilità sentiremo ancora parlare di lei.

Ma chi è Malala Yousafzai?
È nata nel luglio del 1997 a Mingora, nella valle dello Swat, Nord-Ovest del Pakistan, in una famiglia di etnia pashtun, legata alla scuola e all’attivismo per la diffusione della cultura. A soli undici anni inizia a battersi per il diritto allo studio delle bambine e a dodici anni si fa notare attraverso un blog per la Bbc in urdu, la lingua ufficiale del Pakistan. Vi descrive la vita quotidiana di una bambina nella zona in cui vive, denunciando le violazioni dei diritti umani compiute dai talebani, che lì sono diventati potenti. Il blog conosce un buon successo, Malala viene intervistata e rilascia dichiarazioni coraggiose, gli islamisti fanatici non possono tollerarlo. Un giorno due sicari armati salgono sul pulmino che riaccompagna a casa le ragazze dopo la scuola, sparano a Malala per ucciderla e feriscono due sue compagne. È il 2012 e Malala ha quindici anni. Soccorsa immediatamente, la giovane viene operata all’ospedale militare di Peshawar dove le rimuovono il proiettile che è penetrato nel cranio. Successivamente viene trasferita al Queen Elizabeth Hospital di Birmingham, dove rimarrà mesi in osservazione e riuscirà lentamente a rimettersi.
L’attentato però commuove il mondo intero, mettendo in luce i rischi che corre chi osa contrastare il potere dei talebani. In Pakistan il capo dell’esercito, il premier in carica e pure il leader dell’opposizione si esprimono a favore di Malala, ma l’episodio assume una dimensione mediatica internazionale e la coraggiosa ragazza può contare sul sostegno della regina Elisabetta, di Obama e di personalità che hanno portato avanti lotte simili, come l’iraniana Shirin Ebadi.
In Pakistan l’indignazione spinge molte persone a scendere in strada a manifestare, ma non mancano le voci discordi: c’è anche chi critica il comportamento della ragazza e la ritiene un’agente americana. D’altra parte quella pakistana è una società di forti contraddizioni, dove accanto a chi lavora per lo svecchiamento e la liberalizzazione del costume resiste uno zoccolo duro di chiuso tradizionalismo e feroce opposizione allo stile di vita occidentale.

Dopo l’attentato si moltiplicano le occasioni, per Malala, di dar voce pubblicamente ai valori in cui crede. Nel 2012 ottiene il Premio Madre Teresa, nel 2013 il Premio Simone de Beauvoir per la libertà delle donne, il Premio Ambasciatori della Coscienza, il Premio delle Nazioni Unite per i diritti umani, e il Parlamento europeo le assegna il Premio Sakharov per la libertà di pensiero; nello stesso anno parla al Palazzo di Vetro dell’Onu indossando lo scialle di Benazir Bhutto (uno dei personaggi cui si ispira) e rilanciando con forza il suo programma. Ha solo sedici anni, ma la fermezza della voce mentre pronuncia il suo discorso indica chiaramente la consapevolezza di essere ormai un simbolo per chi vuole difendere i propri diritti. Sempre nel 2013 fonda, insieme al padre Ziauddin, il Malala Fund per promuovere l’istruzione delle ragazze in tutto il mondo.
Nel 2014 le viene assegnato il Premio Nobel per la Pace, insieme all’indiano Kailash Satyarthi («for their struggle against the suppression of children and young people and for the right of all children to education»). Ha solo diciassette anni ed è la persona più giovane che abbia ricevuto l’alta onorificenza. Il denaro del Nobel servirà a costruire una scuola per ragazze a Shangla, in Pakistan: sarà una delle tappe del suo viaggio quando tornerà nel suo Paese in una visita blindatissima, per ovvie ragioni di sicurezza, sei anni dopo l’attentato.

Per i suoi diciotto anni Malala lancia sui social la campagna Booksnobullets (libri non proiettili) accompagnandola con un monito ai grandi del Mondo, cui ricorda che «se i soldi spesi per le armi fossero investiti in libri la vita di molti bambini e bambine cambierebbe»; nello stesso anno (siamo nel 2015) inaugura una scuola per profughe siriane nella Valle libanese della Bekaa, inviando una esortazione ai leader europei perché offrano sostegno a chi chiede rifugio per sfuggire a guerre e persecuzioni. Un tema che le sta particolarmente a cuore: quando Donald Trump, nel 2017, deciderà di sospendere il programma di accoglienza per rifugiati/e nell’ambito delle misure prese per la lotta al terrorismo islamico, Malala gli chiederà di «non voltare le spalle all’infanzia e alle famiglie più indifese di tutto il mondo». Si unirà anche alle proteste di molti capi di stato contro la persecuzione della popolazione rohinga di fede musulmana in Myanmar e si rivolgerà alla premier Aung San Su Kyi chiedendole il riconoscimento della cittadinanza per la popolazione in fuga.

Nel 2018 il Malala Fund lancia Assembly, una pubblicazione digitale per ragazze con storie di ragazze e inizia una collaborazione con Apple Inc. per finanziare l’espansione in India e America latina, fornendo tecnologia, assistenza e ricerca con l’obiettivo di educare più di 100.000 ragazze.
Nel 2020 Malala si laurea a Oxford, in Filosofia, Politica ed Economia, e fonda un gruppo di lettura femminista. «Quasi tutti gli autori che usiamo per formarci – spiega – sono maschi e occidentali. E non solo a Oxford: questa disuguaglianza è uguale ovunque […] Nella scelta dei libri mi sono concentrata sulle voci femministe, inascoltate, magari esordienti […] si tratta di persone piene di passione che per essere ascoltate devono superare mille ostacoli. Ma sono persone che hanno il coraggio di parlare e hanno il coraggio di scrivere».

La sua storia ha svolto un ruolo importante in ambito pedagogico: nella scuola molte/i insegnanti la utilizzano per spiegare la condizione delle bambine e dei bambini in altre parti del mondo e nello stesso tempo per proporre alle loro scolaresche un modello femminile di impegno nel sociale, sapendo quale influenza possa avere sulle ragazze e sui ragazzi l’esperienza di una coetanea di successo. L’esempio della coraggiosa giovane pakistana ha spinto molte persone a leggere i suoi libri (Io sono Malala, soprattutto, best seller mondiale tradotto in più di 40 lingue) e a condividere la sua stessa battaglia in tutto il mondo.

Il divario di genere è ancora forte in Pakistan, dove le ragazze che frequentano la scuola sono in numero inferiore rispetto ai ragazzi. Nel 2018, secondo le statistiche dell’Unesco, c’erano ancora 10 milioni di minori non scolarizzati/e. Una cifra che Yusafzai vuole ridurre a zero.
Malala ha confessato di aver conosciuto la depressione, affrontata con il sostegno della sua famiglia, ma ha anche detto che «quello che dobbiamo fare è restare positive, perché la nostra tristezza non può cambiare il mondo». Per quanto la riguarda, lei per cambiare le sorti del suo Paese e rendere obbligatoria l’istruzione di entrambi i sessi, pensa alla carica di prima ministra del Pakistan. Le auguriamo di tutto cuore di riuscirci, se e quando deciderà di proporsi.

Qui le traduzioni in francese, inglese, spagnolo e ucraino.

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Articolo di Loretta Junck

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Già docente di lettere nei licei, fa parte del “Comitato dei lettori” del Premio letterario Italo Calvino ed è referente di Toponomastica femminile per il Piemonte. Nel 2014 ha organizzato il III Convegno di Toponomastica femminile, curandone gli atti. Ha collaborato alla stesura di Le Mille. I primati delle donne e scritto per diverse testate (L’Indice dei libri del mese, Noi Donne, Dol’s ecc.)

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