Il dissenso e le diversità religiose

Il terzo incontro del corso Genere e diversità si intitola Dissenso e diversità religiose ed è presentato dalla professoressa Stefania Pastore, docente di Storia moderna alla Scuola Normale Superiore di Pisa, che fa anche parte del centro di studi Beniamino Segre dell’Accademia dei Lincei ed è specializzata nel dissenso religioso tra XVI e XVII secolo in diversi contesti nelle penisole italiana e iberica.
Come cambia la vita delle minoranze religiose in un’Europa sempre più intollerante? A partire dalla Reconquista fino alle guerre di religione del XVI e XVII secolo la situazione per loro peggiora giorno dopo giorno, tra ghettizzazioni, purghe e conversioni forzate. L’Europa che si affaccia all’età moderna è sostanzialmente cristiana, reduce dal Grande scisma d’Oriente del 1054 e dalle crociate, e sulla via del secondo grande scisma, quello Protestante del 1517. Le minoranze religiose sono appena tollerate: la popolazione ebrea e quella musulmana sono in una posizione scomoda, di continua contrattazione con i sovrani. Già durante il Medioevo ci sono state le prime espulsioni di massa: Paesi come l’Inghilterra diventano completamente inaccessibili al popolo ebreo; i musulmani e le musulmane sono confinati nella zona meridionale della penisola iberica, l’unico luogo dove le tre grandi religioni monoteiste – Ebraismo, Cristianesimo, Islam – convivono l’una accanto all’altra in relativa pace. La Spagna pre-Reconquista non è certo un paradiso della tolleranza che va idealizzato: nel regno di Granada alla popolazione cristiana e a quella ebrea è concesso di mantenere il proprio credo e i propri costumi grazie a degli accordi fiscali, e una situazione simile si registra nei regni cristiani di Aragona e Castiglia, dove la popolazione ebrea e quella musulmana contrattano direttamente con la corona per migliorare e preservare la propria condizione e versando una tassa che va direttamente nelle casse del sovrano, da cui dipendono totalmente. Lo squilibrio giuridico è evidente: la popolazione cristiana e quella ebrea in territorio musulmano, e la popolazione ebrea e musulmana in territorio cristiano sono soggette a regimi fiscali e giuridici separati da quelli della maggioranza, e devono sperare di volta in volta di trovare di buon umore il sovrano di turno quando sono a trattare per concessioni che vadano a loro beneficio; l’eguale trattamento non è sempre garantito.

Questa situazione unica si protrae fin dai tempi della prima invasione araba, nel VIII secolo. Cinquecento anni dopo Isabella di Castiglia e suo marito Ferdinando di Aragona, unite le loro corone e i territori in un unico regno, distruggono l’equilibrio della penisola con una politica molto più aggressiva, avviando una campagna militare contro il regno di Granada che tra battaglie e trattati viene lentamente “mangiato” dai due sovrani fino a scomparire nel 1492, anno che segna convenzionalmente l’inizio dell’Età moderna; a gennaio Ferdinando e Isabella entrano trionfanti nel complesso palaziale dell’Alhambra, uno degli esempi più squisiti di architettura araba nel continente europeo.

Oltre che corrispondente alla scoperta del continente americano, il 1492 è l’inizio di una serie di tumulti religiosi e della ricerca di nuovi equilibri. Curiosamente, le fonti dell’epoca legano alla scomparsa dell’ultimo avamposto musulmano nella penisola iberica la cacciata della comunità ebraica dalla Spagna. Si calcola che questa fosse composta da circa 300.000 persone, una delle più influenti e ricche d’Europa e perfettamente integrata nella società di Granada; quando è passata sotto il dominio spagnolo, un editto reale le ha dato, come pure alla popolazione musulmana, 4 mesi di tempo per convertirsi al Cristianesimo o lasciare definitivamente il Paese. All’incirca 1/3 di loro ha preferito andarsene emigrando in Portogallo – che, però, li ha cacciati via con un proprio editto nel 1497, segnando l’inizio un lungo periodo di purghe di minoranze religiose in tutto il Vecchio continente. Le nuove mete sono la Francia e l’Italia, in particolar modo Venezia, che vengono in genere usate come porto di lancio per andare nell’Impero ottomano, dove i sultani accolgono volentieri la comunità ebraica e quella musulmana assieme alle loro ricchezze e conoscenze commerciali e culturali; anche il Marocco, potenza regionale nascente, diventa una meta ambita per questi migranti che contribuiranno a rendere il Paese di accoglienza prospero e con un ruolo di rilievo nello scacchiere europeo.

A seguito dello scisma protestante, tuttavia, neanche la conversione si è rivelata la scelta sicura: tra il 1609 e il 1619 i cosiddetti marranos o conversos saranno anche loro cacciati in diverse ondate. Perfino scrittori antisemiti come Andrés Bernàldez non riescono a non sentirsi angosciati alla vista di queste colonne di uomini, donne e infanti costretti ad andarsene, con carri carichi di quanto potevano trasportare. Neppure i moriscos, i discendenti della popolazione araba e musulmana in Spagna, sono risparmiati, anche se nel loro caso l’espulsione avviene in modo molto più graduale ma non per questo con meno violenza. Nel 1502 viene istituita la legge “Pragmàtica” che impone la conversione e vieta alla popolazione musulmana l’ingresso a Granada, il luogo più tollerante della Spagna grazie alle continue contrattazioni del periodo della Reconquista: una parte di essa accetta di cambiare religione, l’altra lascia la penisola. Nel 1526 succede la stessa cosa in Aragona e a Valencia, dove viene pure proibito l’uso della lingua araba. A partire dal 1530 la temibile Inquisizione spagnola inizia a indagare sui moriscos per assicurarsi che la loro adesione al Cristianesimo sia stata sincera; nel 1570 l’utilizzo dell’arabo è vietato in tutta la penisola iberica portando alla guerra de Las Alpujarras a Granada, una rivolta della gente musulmana convertita repressa nel sangue da Filippo II il quale impone poi la dispersione di oltre 80.000 persone in altre zone della Spagna, per frammentare la comunità e accelerarne l’assimilazione. Nonostante questo nel 1609 arriva comunque l’espulsione: l’esodo è immenso e si riversa sulle coste del Nord Africa e nell’Impero Ottomano, coinvolgendo sorprendentemente anche la Francia e l’Italia – non sempre poi usate come approdo temporaneo prima di andare in territorio turco: attualmente ancora si dibatte sui motivi del loro rimanere in Europa.

Vestiario alla morisca tradizionale

In queste dinamiche gli abiti non sono un fattore di poco conto, in quanto questi continui movimenti cambiano le demografie di intere città e Paesi, e diventa così importante trovare un modo per essere riconoscibili. Abbiamo vari esempi: in Moltiplicazione dei pani e dei pesci di Juan de Flandes, uno dei pittori più amati da Isabella di Castiglia, è visibile una donna musulmana in abito e velo bianchi che tiene in braccio un bambino, un segno della diversità etnica della penisola iberica che non poteva essere ignorato. Quando la diversità non è visibile iniziano le paranoie: mano a mano che i conversos si integrano nella società spagnola aumenta la smania di trovare nuovi modi per identificarli, rendere la loro diversità di cristiani convertiti in qualche modo tangibile. In genere il “vestire alla morisca” prevede abiti dai colori brillanti, soprattutto rosso e verde, fatti di seta frutto della lavorazione degli stessi moriscos; al contrario i cristiani vestono abiti dai colori più tenui, tendenti al beige. In questo modo la diversità religiosa è ben visibile attraverso l’uso di abiti tradizionali: in vari processi dell’epoca che coinvolgono donne viene riportato che i giudici sono soliti chiedere se la donna veste “alla moresca” o “alla cristiana”. A partire dal 1215 un decreto conciliare impone che la minoranza ebrea deve essere distinguibile, indossando la stella di David o abiti particolari come un cappello giallo.

Come venivano influenzate le donne da tutto ciò? Le fonti che abbiamo a riguardo sono per la maggior parte maschili e appartenenti al fronte della repressione: il mondo femminile, musulmano o giudaico che sia, è quello che permette la riproduzione di ritualità e abitudini, che si fa carico di una fede che deve rimanere clandestina, porta avanti tradizioni attraverso l’ambito domestico – per esempio, usando l’olio di oliva per cucinare invece del grasso animale, o i molti modi di preparare le verdure come le melanzane fritte. A volte è la letteratura che ci dà informazioni interessanti: Retrato de la Lozana andalusa è un racconto satirico di Francisco Delicado pubblicato a Venezia nel 1528 che narra le peripezie di Lozana, una andalusa ebrea costretta a fuggire dal suo Paese a causa delle espulsioni di massa e dell’Inquisizione. Dopo varie avventure si ritrova a Roma ed entra in contatto con la locale comunità spagnola, che vive a Campo dei Fiori ed è formata soprattutto da ebrei ed ebree sefardite. Lozana è una cortigiana che usa la propria bellezza e astuzia per potersi mantenere: presto fa amicizia con le spagnole lì residenti facendo loro da “estetista” e aiutandole nelle faccende domestiche. Le sefardite, tuttavia, temono sia una convertita, una che si dice ebrea o cristiana a seconda della situazione, e decidono di metterla alla prova invitandola a cucinare del couscous; quando Lozana utilizza l’olio hanno la certezza che essa è una vera sefardita, e la accolgono definitivamente tra loro.

Dai tribunali abbiamo invece la storia di due donne morische che mettono a dura prova le categorie intersezionali che oggi conosciamo e utilizziamo quando vengono poi applicate ai casi individuali: molti inquisitori interrogano donne convinti di avere davanti delle musulmane che fingono di professare la fede cristiana; eppure molte, come nel caso di Catalina Buonanno di Valladolid, si definiscono cristiane nonostante il loro abito: Catalina era una convertita fuggita dalla Spagna a seguito delle purghe passando per la Francia, da qui si dirige in Marocco dove, dopo qualche anno, è catturata dai pirati e resa schiava, per poi essere venduta in Spagna. Gli inquisitori credono alla sua storia e le restituiscono la libertà, giudicandola una vera cristiana. Diverso è il caso di Catalina de Baron, che preferisce farsi chiamare Zara e si definisce apertamente musulmana anche di fronte all’Inquisizione, la quale si accerta che essa sia stata battezzata, e che quindi abbia rinunciato di propria sponte al proprio credo, prima di condannarla a una pena pesante.

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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.

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