Lei, Emilia, ha ventiquattro anni quando conosce Alessandro, scrittore famoso, venerato e più vecchio di circa tre decenni: proprio dal loro incontro nasce la redazione finale dei Promessi Sposi. L’incontro avviene nel 1838: già da undici anni “don Lisander” voleva correggere la prima edizione del 1827 e, insieme, pubblicare un’edizione del romanzo che non potesse essere contraffatta. Ne erano già uscite quaranta abusive: così Manzoni, spinto dalla seconda moglie Teresa Stampa, decide di farlo illustrare con oltre 400 vignette da Gonin, e firma un contratto con l’editore Redaelli per una uscita a cadenza fissa. È una piccola frenetica industria di cui fa parte anche Emilia, il cui ruolo si rivela ben più importante di quanto si sia finora creduto.
La correttrice di Emanuela Fontana racconta questa storia nella forma del romanzo: ma il libro è molto di più. È la stessa autrice a raccontarne la nascita e la formazione – fra le tante presentazioni – l’8 ottobre in una sala della Biblioteca Braidense, a Milano. Emanuela Fontana è nata a Milano ma vive da molti anni a Roma. È insegnante, giornalista e guida escursionistica, ed è stata finalista alla XXI edizione del premio Calvino. Il suo esordio è Il respiro degli angeli. Vita fragile e libera di Antonio Vivaldi (Mondadori 2021), il primo romanzo che ricostruisce la vita del geniale compositore delle Quattro stagioni. Racconta di aver incontrato per la prima volta il nome di Emilia in un saggio del linguista Claudio Marazzini: ne è incuriosita e inizia così un’indagine che durerà mesi tra la Braidense di Milano e l’Archivio di Stato di Firenze. La ricerca è inizialmente faticosa, in primo luogo a causa dell’errore della sua data di nascita: non il 1815, ma il 1814. Indagando con pazienza, a poco a poco la storia di Emilia prende forma: è figlia di un cancelliere del tribunale di Commercio, nipote di un impresario teatrale; la famiglia non è ricca, ma circola cultura. Per aiutare la famiglia, Emilia svolge il lavoro di aiuto bibliotecaria presso la famiglia Viesseux e, proprio nel Gabinetto, dove va ogni giorno, conosce Massimo d’Azeglio, che la vuole con sé come istitutrice della figlia Rina, avuta da Giulietta, la primogenita di Manzoni. Lasciare Firenze e il promesso sposo Fulvio non è facile: ma Emilia decide di seguire d’Azeglio a Milano, dove il suo fiorentino attira l’attenzione di Manzoni, che seguirà, l’estate successiva nella villa di Brusuglio.
L’incontro con la figura di questa giovane donna suscita da subito nella Fontana “sorpresa ed emozione”: il romanzo nasce da questi due elementi, cui si unisce la volontà di rendere giustizia a una figura femminile quasi del tutto ignorata dalla critica. In realtà a lei fu dedicato da Emilio Sioli Legnani, nel 1936, il saggio Madamigella Emilia Luti, collaboratrice del Manzoni: poi cadde di nuovo il silenzio. Adesso è tornata alla luce e a far sentire la sua voce in un’opera che, in ogni pagina, risponde fedelmente alla categoria del verosimile, che deve connotare – proprio secondo Manzoni – il romanzo storico. E La correttrice è un romanzo storico in cui ogni nome, ogni data, ogni elemento è frutto di ricerche accurate: va da sé che anche l’immaginazione ha la sua parte, perché i legami fra le singole parti sono come “buchi vuoti” da riempire. Ma anche l’invenzione deve essere fondata: così, dietro la scrittura c’è il vaglio quasi maniacale della corrispondenza fra Emilia e Alessandro. Sono, in gran parte, bigliettini in cui Manzoni chiedeva il corrispettivo toscano di una frase milanese: e l’autorevolezza di lei che possedeva appieno il fiorentino, lo spingeva di norma a inserirlo nel romanzo. È proprio lo studio di questi bigliettini che svela, poco a poco, un Manzoni inedito: spesso ironico, talvolta giocoso.

Nadia Boaretto, referente Tf Milano
È una figura forte, quella di Emilia, dotata di un carattere fermo e talora intemperante, tanto da non esitare a rispondere per le rime allo stesso scrittore, pur nutrendo per lui una scoperta venerazione. E accanto a lei prendono vita altre figure femminili: la decisa donna Giulia Beccaria; Giovanna Feroci, la madre di Emilia che la seguì a Milano e in grado di aiutare la figlia a trovare le forme più adatte da suggerire a don Alessandro; e, ancora, Teresa Stampa, che gestisce con sapienza le pubblicazioni di Alessandro, e Luisa, la seconda moglie di d’Azeglio che rimpiazza Giulietta con affettuosa perentorietà.
Accanto a loro la figura di Manzoni si umanizza in un pacato crescendo: è affetto da una leggera balbuzie; soffre di sfinenti crisi epilettiche; è sovente angosciato e indeciso; ha l’ossessione di dar vita a una lingua italiana, comprensibile a tutti. E, in questo sforzo, è sovente solo: in molti non condividono la sua scelta di fare del fiorentino la lingua nazionale. Emilia fu il suo fedele supporto; Emilia lo rassicurava con la sua conoscenza della lingua e la sua forza giovanile.
A partire dal 17 maggio 1841 Emilia passò da casa d’Azeglio a casa Manzoni dove rimase per circa un anno: la casa di via Morone fu, in quel periodo, una vera e propria fucina. Gonin disegnava su indicazioni dello scrittore; gli incisori e gli stampatori si alternavano con ritmo febbrile; Emilia era sempre a disposizione per le correzioni linguistiche; Massimo d’Azeglio, onnipresente, sovrintendeva il tutto.
Emanuela Fontana ricostruisce con vivezza il brulicare dei personaggi intorno all’edizione “risciaquata in Arno”. La sua è una prosa scorrevole, attenta alla descrizione degli ambienti e precisa nella definizione dei caratteri. La verosimiglianza del suo romanzo storico va anche a toccare la lingua dei personaggi, in una sorta di lieve plurilinguismo avvertibile, in particolare, nei dialoghi: Emilia non rinuncia alla patina del fiorentino e don Lisander mantiene inflessioni del dialetto milanese. E c’è un altro elemento, di grande interesse, che la stessa Fontana ha messo in evidenza: la lingua fiorentina è una lingua “visiva”; la sua immissione nel romanzo rende anche i Promessi sposi potentemente visivi. Lo si avverte proprio nelle parti in cui il testo è falcidiato dalle correzioni: gli episodi della Monaca di Monza, dell’Innominato e gli ultimi capitoli del romanzo.
La lettura de La correttrice è così una riscoperta di Manzoni e della sua opera. Della Storia della colonna infame, ad esempio, che Manzoni si decide a pubblicare solo dopo la revisione di Emilia. In una lettera al figlio Stefano, Teresa Stampa scrive: «Aspettiamo a farla uscire che la signora Emilia torni…». Ed è brava la Fontana a illuminare anche aspetti del rapporto fra Manzoni e i suoi lettori e lettrici: la vicinanza di Emilia spinge lo scrittore a prestare più attenzione ai suoi “venticinque lettori”, a mettersi anche “nei loro panni”.
Ma nel romanzo c’è molto di più: c’è la presenza di un rapporto che fu anche di amicizia, con lunghe conversazioni che andavano ben oltre i Promessi sposi; un rapporto che si nutrì anche del rispetto e della riconoscenza di Manzoni nei confronti di una donna forte, intelligente, ironica a par suo. Nella dedica apposta sull’edizione definitiva dei Promessi sposi si legge: «Madamigella Luti, gradisca questi cenci da Lei risciacquati in Arno, che le offre, con affettuosa riconoscenza, l’autore… don Alessandro».

Emanuela Fontana
La correttrice
Mondadori, Milano, 2023
pp. 372
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Articolo di Giuliana Nuvoli

Docente di Letteratura Italiana presso l’Università degli Studi di Milano. Autrice di oltre duecento pubblicazioni, ha dato vita a Dante a teatro e al sito Dante e il cinema. Organizza attività culturali e di formazione presso il Centro nazionale di Studi Manzoniani e la Casa della Cultura. È attiva da sempre su temi di genere e di diritti.

Ho assistito alla presentazione del libro e ritrovo in questo articolo di Giuliana Nuvoli ogni aspetto citato dall’autrice nel ricostruire i passaggi di formazione del romanzo.
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