Myanmar swing con Carla Vitantonio

Myanmar è il nome che attualmente indica il Paese storicamente conosciuto in Italia come Birmania. Ad operare questo cambio di nome è stata la giunta militare nel 1989, e da allora la popolazione che vi abita utilizza indifferentemente i due nomi. Ecco una delle premesse che aprono il libro-memoir Myanmar swing (2021) della protagonista di una nuova puntata del podcast Lovely Planet, Carla Vitantonio. Nata in Molise, la cooperante, attivista e autrice vive a Cuba, dove è arrivata dopo quattro anni in Corea del Nord e due in Myanmar. Lavora principalmente come capo missione presso un’Ong internazionale, occupandosi di diritti civili. È stata nominata Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia nel 2022 grazie al suo impegno sociale; attualmente è Policy Leader Fellow presso la School of Transnational Governance dell’European University Institute.
Oltre alle memorie di viaggio legate alla Birmania, ha pubblicato anche Pyongyang Blues (2019), che è diventato anche un podcast, e Bolero Avana (2023). Per condensare il punto di vista di Carla Vitantonio, riportiamo un piccolo estratto che ci fa da subito immergere nella complessità del viaggio che ci attende: «Due cose sapevo di certo: la prima, che la Birmania era l’ombelico del mio mondo, ovvero della cooperazione. La seconda, che la Birmania era l’amico più sporco della Corea del Nord. L’amico che probabilmente ordinava armi nucleari e simili prodotti d’intrattenimento. L’amico che aveva chiesto ai nordcoreani assistenza tecnica per costruire la nuova, inespugnabile capitale Naypyidaw. Insomma, un filo diretto correva tra Pyongyang e Naypyidaw, e su quel sottile ma solido filo mi vedevo a camminare trionfalmente io, la sopravvissuta». Nonostante l’impegno attivo nelle questioni sociali e politiche, che è il motore dei viaggi dei Carla Vitantonio, per la creazione dell’itinerario da proporre al pubblico di Radio Tre le viene chiesto di tralasciare questi aspetti per ideare un percorso turistico di piacere alla scoperta delle principali attrazioni del Paese.

Sularata

Il punto di partenza è l’antica capitale coloniale, Yangon, il centro culturale dello Stato. Qui ci muoviamo a bordo del trenino circolare che percorre tutta la città in circa tre ore, e attraversa le tappe più simboliche per la nostra guida. La prima di queste è il distretto di nome Downtown, nel quale è presente la Sule Pagoda, il sito religioso tra i più antichi di Yangon. Posizionata tra la stazione ferroviaria e il fiume, ricorda a chiunque la osservi un’antica leggenda secondo la quale, circa 2500 anni fa, lo spirito 1 Sularata trovò proprio in quel luogo le reliquie delle tre precedenti reincarnazioni del Buddha; la Pagoda venne costruita quindi per custodire le preziose reliquie.

Ci spostiamo ora verso la 19th Street, che comprende China Town, per poi traghettare in direzione Dala, un paese famoso per l’allevamento del serpente sacro. Ma prima di imbarcarci, non possiamo rinunciare ad una sosta al mercato di Bogyoke, un’esplosione di colori, odori e suoni. Qui si trovano anticaglie, oggetti di valore e pietre preziose tra le quali la giada e i rubini, ancora estratti all’interno del Paese. Per assaporare la vita notturna ci dirigiamo a Sanchaung per perderci in pub, discoteche e locali. Sveglia presto poi per la lezione di yoga mattutina, approfittando di trovarsi nella patria della pratica vipassana: si tratta di una tecnica di meditazione buddista di origini antichissime e tenuta in vita dalla popolazione birmana fino ai giorni nostri. Il principio cardine di questo tipo di meditazione riguarda la scoperta della verità, della vera natura interiore; la pratica costante mira alla purificazione della mente facendo affidamento esclusivamente sullo sforzo individuale e sulla forza che risiede in ogni persona. L’attitudine al vedere attraverso deve accompagnare per tutto il giorno, prendendo vita attraverso un processo che va oltre il momento della meditazione in sé.

Da qui si prosegue in autobus verso Bagan; il viaggio sarà interrotto da alcune soste durante le quali sarà possibile gustare una zuppa tipica birmana dal nome mohinga. Dopo il viaggio notturno, si arriva a Bagan all’alba per immergersi subito negli oltre tremila templi e nel 2 Monte Popa, che ospita le scimmie sacre. È un luogo molto importante dal punto di vista spirituale, perché qui dimorerebbero gli spiriti Nat, 37 per la precisione. Si possono quindi percorrere i 777 scalini che portano in cima per ammirare il tempio che custodisce la memoria della transizione tra il periodo pre-buddista e quello buddista. Con gli occhi pieni di meraviglia ripartiamo alla scoperta dello Stato del Chin e della città di Mindat, nella quale abitano anche le donne dal volto tatuato, appartenenti ad un gruppo sempre meno numeroso. Le leggende sull’origine dei tatuaggi sul volto sono molteplici e affascinanti, ma ciò che colpisce è che questa tradizione è stata dichiarata illegale negli anni Sessanta dal governo birmano. Nonostante alcune donne abbiano continuato a tatuarsi, il rischio della scomparsa di questa comunità è sempre più reale. Da qui continuiamo con il nostro itinerario, questa volta attraverso il fiume Irrawaddy. Salpiamo da Bagan e andiamo verso Mandalay, una città universitaria da visitare prima di partire per Mytkyina; qui vive la popolazione Kachin, che fa parte delle oltre 135 etnie che abitano in Myanmar. Carla Vitantonio si mostra molto affezionata a questo luogo e alla sua gente, perciò consiglia di fermarsi al museo della cultura Kachin e alle chiese in sasso di fiume nelle quali è possibile trovare e ascoltare il canto di  diversi cori. Dopo uno sguardo all’artigianato locale, ci rivolgiamo verso la spiaggia, a Ngwe Saung, dove la sabbia bianca che compone il lungo litorale si alterna a piccoli tempietti. Questa è una delle località di mare predilette da coloro che vivono a Yangon o nelle sue vicinanze.

Ngwe Saung

Dopo averci consigliato di acquistare delle stoffe, e accompagnandoci verso la conclusione del nostro viaggio, Vitantonio ci suggerisce l’ascolto della musica rock degli Iron Cross, che spopola dal 1989 a oggi come espressione vitale del popolo birmano. Per quanto riguarda le suggestioni letterarie, cita Giorni birmani di George Orwell e il più recente Sulle orme di George Orwell di Emma Larkin. Il suggerimento è di consultare anche testi riguardanti la situazione politica del Paese, in modo da assumere consapevolezza sui conflitti in atto. A tal proposito, sembra necessario specificare che lo scopo del podcast è quello di regalare al pubblico un viaggio immaginario attraverso mezz’ora di evasione dal quotidiano, pur non tralasciando consigli pratici per chi ha intenzione di visitare certi luoghi. Solo per questo motivo non sono state menzionate le guerre in atto nell’area, per le quali si rimanda a fonti attendibili e certificate.

  1. Il mito di Sularata
    Secondo una leggenda birmana, nel luogo dove oggi sorge la Sule Pagoda, ovvero il quartiere downtown di Yangon, viveva uno spirito (o nat in lingua birmana, parola che si riferisce a delle entità sovrannaturali della mitologia buddista) chiamato Sularata. Il re dei nat, Sakka, desiderava aiutare un sovrano locale di nome Okkalapa a costruire un tempio per custodire una sacra reliquia, ovvero una ciocca di capelli del Buddha; questo tempio non poteva però sorgere in un luogo qualsiasi, doveva essere costruito nel punto esatto dove le tre precedenti incarnazioni del Buddha avevano seppellito le loro reliquie nelle ere passate. Tuttavia, ciò era avvenuto in tempi così remoti che nessuno ricordava quale fosse il posto preciso. Solo una creatura era abbastanza vecchia da possedere quell’antica conoscenza: Sularata, un nat che si diceva fosse così vecchio che le sue palpebre cadenti dovevano essere sorrette con dei tronchi d’albero per far sì che non si addormentasse. Allora tutti i nat e gli umani della corte di Okkalapa si riunirono nella casa di Sularata e lo pregarono di rivelare loro il luogo dove avrebbero dovuto costruire il tempio: lo spirito si ricordò che il posto giusto era proprio laddove lui dimorava, e così la Sule Pagoda venne costruita in suo nome. ↩︎
  2. Il Monte Popa
    Il Popa, erroneamente chiamato “monte”, è un vulcano dormiente di 1518 metri d’altezza situato nella regione di Mandalay, nel Myanmar centrale. Deve il suo nome alla parola sanscrita puppha, che significa fiore: in effetti, intorno al vulcano si osservano ben cinque diversi ecosistemi e il terreno, reso fertile dall’attività vulcanica, ospita una ricchissima varietà di piante. Anche la fauna che abita la montagna è molto variegata: conta numerose specie di farfalle, uccelli variopinti, e diversi tipi di scimmie fra cui la scimmia Popa Langur, endemica di questa ragione e per questo motivo in serio pericolo d’estinzione, ma anche il più comune macaco. Proprio l’alta concentrazione di scimmie selvatiche unita al grande valore religioso e culturale del sito per la popolazione locale ha reso l’area del vulcano, ora dichiarata parco nazionale, un’attrazione turistica.
    Sono moltissimi i miti e le leggende associate al Monte Popa, in particolare legate ai nat della tradizione birmana, dei potenti spiriti di retaggio animista e pre-buddhista che avrebbero residenza proprio sulla montagna. Per questo motivo il Popa è considerato alla stregua di un Monte Olimpo birmano, e su suoi colli vulcanici sorgono templi e monasteri, il più importante dei quali è il Taung Kalat, a sud-ovest del monte. Una leggenda racconta di due nat, fratello e sorella, e si rifugiarono sul Monte Popa per sfuggire alla persecuzione del re di Bagan, Thaylekyaung; il monte li accolse, e a loro fu dedicato un santuario che divenne per sempre la loro casa. Un’altra leggenda narra la storia della Popa Medaw (traducibile come “Regina madre del Popa” in birmano), una mostruosa creatura femminile che si nutriva di fiori il cui nome era Me Wunna. Questa creatura si innamorò di un funzionario del re di Bagan, Byatta, giustiziato dal suo signore quando la sua storia d’amore con Me Wunna giunse alle orecchie del sovrano. Sia Me Wunna che Byatta divennero nat, così come i loro figli.
    Non si fa dunque fatica a capire quanto i nat siano importanti per il popolo del Myanmar. Ogni anno infatti si organizzano pellegrinaggi per salire sul Monte Popa, soprattutto durante festività e occasioni speciali, ma nel farlo si presta sempre attenzione a non offendere i nat osservando alcuni particolari codici di comportamento e di abbigliamento. ↩︎

Per ascoltare la puntata, clicca qui: https://www.raiplaysound.it/audio/2022/11/Lovely-Planet-del-10082021-1e3e2f5a-dc47-4557-bfc9-df4924cee278.html

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Articolo di Emilia Guarneri

Dopo il Liceo classico, si laurea in Lettere presso l’Università degli Studi di Torino. In seguito si trasferisce a Roma per seguire il corso magistrale in Gestione e valorizzazione del territorio presso La Sapienza. Collabora con alcune associazioni tra le quali Libera e Treno della Memoria, appassionandosi ai temi della cittadinanza attiva, del femminismo e dell’educazione alla parità nelle scuole.

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