Il superamento del “canone occidentale”, rispetto al canone letterario femminile (vedi prima parte), per dirla con H. Bloom non deve portare semplicemente a un “controcanone”, che si contrapponga all’orizzonte letterario costituito nei secoli, con il rischio di sostituzioni inutilmente ideologiche e a volte insostenibili, ma piuttosto a uno sguardo che denunci le esclusioni e le marginalizzazioni e che dunque ponga le grandi opere del passato in una prospettiva più rispettosa della complessità della storia e che evidenzi i sistemi di potere che l’hanno orientata. Si tratta di mettere in atto un lavoro di scavo che sappia riportare alla luce quello che è stato dimenticato perché è stato guardato con un’ottica parziale, senza tuttavia cadere nelle trappole dell’ideologismo. Naturalmente non si tratta di anteporre la valutazione del politicamente corretto a quella del valore letterario: stiamo parlando di letteratura, di una attività irriducibile a poche regole e a facili elenchi, che è alimentata e alimenta reti complesse di influenze, di sovrapposizioni, di allontanamenti, e deve essere libera da imposizioni extraletterarie. Serve dunque tanto impegno e tanto studio, un lavoro certosino sui testi, la capacità di guardarsi indietro con occhi nuovi che sappiano vedere quanto di bello è fiorito e poi nascosto.
D’altro canto è pur vero che anche all’interno della produzione maschile la costruzione del canone è stata operata dai posteri a seconda del loro orizzonte culturale e di pensiero. Il riconoscimento dello statuto di “classico” è altalenante, ne è un esempio addirittura Dante le cui fortune non sono sempre state salde. È dunque non solo auspicabile ma possibile che si possa costruire un nuovo canone più inclusivo, non solo della produzione femminile ma di letterature prodotto di tempi nuovi, come quelle che nascono dalle contaminazioni di scrittori e scrittrici naturalizzati, ormai piuttosto numerosi, un nome per tutte Giaba Scego.
Soprattutto si tratta di riconoscere e dare il giusto spazio alle opere che le donne hanno saputo costruire da quando, finalmente, hanno conquistato la possibilità di essere soggetti e hanno avuto diritto di parola (e non sono passati molti anni!). Mentre nei secoli precedenti l’esclusività del modello maschile pesava inevitabilmente anche sulla produzione femminile, oggi la produzione letteraria delle donne, sempre più importante dal punto di vista quantitativo, varia e originale, è in grado di costruire altri modelli, di proporre alternative e contaminazioni. Non sempre questi tentativi possono dirsi riusciti, ma costituiscono una rete di esperienze che lentamente fonda nuovi paradigmi. Non so se si possa affermare che esiste una specificità della letteratura delle donne, penso che una brava scrittrice, come un bravo scrittore debba trovare la propria personalissima voce. Elsa Morante, in tempi diversi dai nostri, voleva essere definita scrittore, per non essere costretta nella rete di una nuova marginalizzazione, quella delle “donne che scrivono”.
Tuttavia penso si possa affermare che le opere delle donne sanno trovare temi e accenti particolari come la vicinanza all’esperienza personale, l’attenzione alla quotidianità, lo sguardo verso il basso e il piccolo. Spesso questi contributi solo a posteriori sono stati valutati nel loro valore: Anna Maria Ortese è stata per quasi tutta la vita una outsider, spesso in gravi difficoltà economiche, capace di un orizzonte di pensiero e di un timbro narrativo assolutamente originale. Va anche detto che oramai alcune di queste personalità hanno fatto scuola: Morante è maestra indiscussa e se ne riconoscono le tracce ad esempio in autrici importanti come Elena Ferrante.
Queste opere vanno lette con approccio libero, in grado di accogliere, senza preclusioni accademiche, un modo di raccontare che sa muoversi su altri bisogni espressivi e, naturalmente, su di una diversa visone del mondo. Una simile disponibilità non è ancora diffusa e mi sembra lo provi a sufficienza il fatto che la letteratura critica riguardo le opere scritte da donne è ancora per gran parte femminile, quasi che i “signori uomini” non sappiano o non vogliano confrontarsi con questa produzione letteraria che per qualità e quantità è divenuta negli ultimi anni decisamente significativa. Non occuparsi con il necessario impegno e la giusta serietà, della letteratura delle donne significa ignorare una parte considerevole dell’orizzonte culturale del nostro tempo. È comunque evidente che il fiorire di nuovo interesse comincia ad avere un riflesso anche nello strumento che più di ogni altro garantisce la diffusione, la trasmissione e la persistenza di un sapere autorizzato e riconosciuto: il libro di testo.
Sono trascorsi più di venti anni dalla partecipazione italiana al progetto europeo P.o.li.te (acronimo Pari opportunità nei libri di testo), finalizzato a incentivare azioni che riconoscessero dignità alla cultura di entrambi i generi nei testi scolastici, tuttavia spesso queste lodevoli intenzioni sono rimaste lettera morta o ci si è accontentati di inserire box a fondo pagina che ricordassero personalità femminili “eccezionali” o, al massimo, di scegliere qui e là un nome a cui dare visibilità e l’onore di un modulo.
Oggi però iniziano timidamente a farsi strada pubblicazioni destinate alle scuole superiori che, superando la logica del pinkwashing, aspirano a proporre un “canone” al femminile, costruendo storie letterarie alternative o proponendo strumenti didattici da affiancare al libro di testo tradizionale: solo come esempio possiamo citare il piccolo volume di J. Bertolio, Controcanone, per la Loesher oppure C’è un’altra storia, una antologia letteraria e artistica al femminile curata da Barbara Bellani, Iolanda D’Angelo e Nadia Verdile. Sono opere di non facile inserimento in classi in cui il tempo a disposizione è sempre di meno, inevitabilmente possono concedere poco spazio alle singole personalità e devono comunque operare tagli, ma sono un primo passo verso la consapevolezza che vi è anche altro di cui potersi occupare.
Tuttavia non bastano le dichiarazioni di intenti, le circolari ministeriali o i convegni a orientare le scelte di insegnanti ed editori e a sgretolare abitudini consolidatesi negli anni. È necessaria una più ampia riflessione, una presa di coscienza generalizzata, la consapevolezza di motivi profondi che giustifichino un mutamento nelle proprie scelte didattiche. Si tratta di ragionare non solo su quali autori o autrici proporre alla lettura, ma sul senso stesso di una attività, lo studio della storia della letteratura e delle opere letterarie, che, considerata essenziale fino a pochi anni fa, ha perso la sua centralità, si è semplificata e impoverita, fino a sembrare spesso un rito inutile e noioso. Insomma non basta affannarsi ad affermare che bisogna inserire nelle antologie anche le nostre autrici, è necessario chiarire, con uno sguardo libero e privo di pregiudizi, perché è ancora importante impartire una educazione letteraria che, naturalmente, contempli anche la produzione femminile.
Nello stesso tempo è altrettanto necessario riflettere su quale sia il modello di educazione letteraria da proporre alle e ai giovani immersi in un sistema di comunicazioni assolutamente nuovo, rispetto alla tradizione precedente, e a tal punto pervasivo da diventare la principale modalità di relazione e da imporre forme di espressione e, purtroppo, di pensiero. Ritengo che un approccio diretto ai testi letterari, soprattutto del Novecento, sia un’esperienza culturale irrinunciabile, un bagaglio di crescita prezioso per un e una giovane che si affacciano a un mondo tanto difficile da decifrare.
La nostra scuola, che spesso dichiara di voler mettere l’opera al centro dell’attività didattica e di riflessione, in realtà non prevede tempi adeguati a una fruizione consapevole e personale del testo letterario: nelle scuole superiori raramente gli insegnanti hanno la possibilità di far leggere un romanzo per intero, e di guidarne l’analisi e la discussione in classe. Mentre l’approccio diretto, strutturato, non episodico, alla letteratura del ‘900 costituirebbe un contributo fondamentale alla formazione personale, sia nell’ambito dell’interiorità e dei sentimenti che della partecipazione civile, e potrebbe ben sostituirsi alle tante “educazioni” in cui sembra si voglia frammentare il processo di crescita della persona.
Ne ho avuto esperienza diretta per anni e ne posso dare testimonianza: far leggere romanzi, guidarne con intelligenza l’analisi critica, trovare il tempo per permettere il confronto e la discussione sono interventi didattici di sicuro valore formativo, non solo perché permettono di affinare le competenze linguistiche, spesso scarse, ma perché accompagnano alla conoscenza di sé, aiutano a dare un nome agli stati d’animo a volte confusi degli adolescenti e, forse ancor di più, insegnano a mettersi nei panni degli altri/e, a guardare da punti di vista diversi. Naturalmente bisogna lavorare molto per superare la diffidenza, l’estraneità, l’oggettiva difficoltà nell’approccio al testo di gran parte dei e delle giovani, ma è una sfida importante che ha maggiori possibilità di successo di quanto ci spingano a credere.
Un’opera d’arte è prima di tutto una testimonianza storica, è la sintesi suprema di un modo di vita e di pensiero, di un’ideologia, di un sistema produttivo e di fruizione, di un universo di relazioni. Riflettere su questo, per un e una giovane, significa fare i conti con la complessità, confrontarsi con convinzioni riguardo il senso del vivere, i sentimenti, i bisogni, il riconoscimento di diritti e doveri, anche lontane dalle nostre, ma significative e affascinanti; significa dunque alzare lo sguardo dalla propria chiusa e univoca percezione della realtà per abbracciare altri modelli di vita.
Ma il testo letterario è anche la sintesi di un mondo operata attraverso una individualità autoriale. Appare dunque evidente che, se quella sintesi, per quanto originale, è sempre il prodotto di un soggetto maschile, inevitabilmente finirà con il restituire un quadro parziale e impoverito di una complessità di vita, avrà cancellato un universo di sentimenti, desideri, dolori e inevitabilmente, invece di fornire quella varietà di pensiero che insegna il confronto e il superamento della piccola ottica individuale, avrà comunque riaffermato la gerarchia imposta da un potere.
Un testo di valore letterario è un sistema che, grazie a una costruzione retorica e a un uso raffinato del linguaggio, è in grado di mantenere una tale valenza polisemica da autorizzare una sempre nuova attività interpretativa. Ed è probabilmente in questa inesauribile capacità di significazione che sta la sua grande funzione educativa: chi legge è continuamente sollecitato a mettere in atto una attività creativa di attualizzazione del testo letterario, a interpretarlo dando nuovo senso. Va comunicato con chiarezza ai e alle giovani delle nostre scuole che leggere non è affatto una operazione passiva, come spesso si crede, ma al contrario è un’azione che può dare nuova vita a ciò che è stato scritto, che mette in moto il sistema metaforico alla base di ogni opera letteraria.
Ma, ancora una volta, se questa complessa relazione, il cui fine ultimo è quello di far germinare in colui che legge i semi lasciati da chi ha scritto, si intesse sempre solo a partire da un’identità maschile si finisce con il mettere in atto una enorme cancellazione, una negazione che, oltre a privare di ogni voce le donne che hanno vissuto, impoverisce gli uomini e le donne di oggi. Una cancellazione così macroscopica impedisce alle ragazze una proficua identificazione, lascia nel silenzio la specificità del vissuto femminile, veicola disistima per il proprio genere, fa apparire artificioso un mondo in cui si parla spesso di donne senza che le donne possano mai parlare. E, contemporaneamente, impedisce ai ragazzi di aprirsi allo sguardo delle loro sorelle, amiche, compagne e di riconoscerne il valore, nella differenza.
Dunque è necessario che l’approccio alla letteratura e l’educazione alla lettura nella scuola italiana si muovano in un territorio più libero, dai confini meno rigidi in cui le scrittrici vedano riconosciuto il loro valore.
L’agenda Onu 2030 al punto 5 ci ricorda che la parità di genere è un diritto umano che abbiamo l’obbligo di difendere, decostruendo gli stereotipi di genere e proponendo la reciprocità dei saperi e dei punti di vista: la scuola è il luogo privilegiato dove operare scelte educative che siano atti politici di libertà.
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Articolo di Tiziana Concina

Ho insegnato per molti anni italiano e storia negli istituti tecnici e italiano e latino nei licei, mi interesso di letteratura femminile italiana e straniera, in particolare mi sono occupata di Elsa Morante e Anna Maria Ortese. Attualmente rivesto la carica di vicesindaca e di assessora alla cultura in un comune in provincia di Rieti.
