Nel 2020 è la quarta donna a ottenere il Premio Nobel per la Fisica, dopo Marie Sklodowska Curie, Maria Goeppert Mayer e Donna Strickland; insieme a Reinhard Genzel e Roger Penrose ha infatti scoperto «un oggetto compatto supermassiccio al centro della nostra galassia», che in base alle attuali conoscenze costituisce un cosiddetto “buco nero”.

La scienziata è nata il 16 giugno 1965 a New York; il padre Gilbert era di religione ebraica e nato a Roma, ma di ascendenza tunisina e tedesca; la madre Susanne era una cattolica americana di origine irlandese. Presto la famiglia si trasferì a Chicago dove Andrea frequentò le scuole e si appassionò all’astronomia, dopo la celebre missione Apollo, influenzata anche dalla sua insegnante di chimica. Al college iniziò la facoltà di Matematica, per passare poi a Fisica. Si è laureata nel 1987 presso il Massachusetts Institute of Technology e si è specializzata nel 1992 al California Institute of Technology. Sposata con il geologo Tom LaTourrette ha due figli e insegna all’Ucla, l’Università della California, con sede a Los Angeles, dividendo il suo tempo libero con una grande passione per il nuoto.

Un articolo molto interessante della rivista Le Scienze (12 ottobre 2020) riferisce che la studiosa da ben 25 anni aveva in mente l’idea geniale che poi le ha dato ragione: era infatti convinta che nella Via Lattea fosse presente un buco nero. Si era quindi recata, giovane e ancora sconosciuta, dal docente che dirigeva il Keck Observatory, situato sulla sommità del vulcano Mauna Kea nelle Hawaii, chiedendogli di darle accesso a strumenti delicati e costosi; sembrava una pretesa assurda. Ma, collaborando con il collega Genzel, ce l’ha fatta ad analizzare le immagini relative al Sagittarius A* (l’asterisco si legge “star”) grazie all’altissima risoluzione dei telescopi e quindi a dimostrare con successo la propria tesi. Nelle sue ricerche la scienziata oggi si avvale anche di nuove tecniche d’immagine come l’ottica adattiva, che, insieme allo speckle imaging, aiuta a contrastare l’effetto della turbolenza atmosferica che degrada le immagini visibili al telescopio.

Riconoscimenti prestigiosi le sono arrivati fino da giovanissima, iniziando con l’Annie Cannon Award in Astronomy (1994); l’American Astronomical Society l’ha premiata nel 1998, seguita dall’American Physical Society l’anno dopo; nel 2000 la rivista Discover la inserì fra le 20 giovani personalità emergenti in campo scientifico, negli Usa; nel 2004 è la volta del Sackler Prize, quindi del MacArthur Fellowship nel 2008 e del Crafoord Prize nel 2012. L’Accademia delle scienze svedese l’aveva premiata nello stesso anno, precedendo il Nobel, ma pure l’Università di Oxford, mentre l’Accademia nazionale delle scienze degli Usa l’ha ammessa fino dal 2004, l’American Philosophical Society dal 2012 e la Società astronomica americana l’ha eletta membro ufficiale nel 2019. È stata definita come “eroina della scienza” dal My Hero Projet, progetto americano non profit che valorizza i modelli di riferimento in tutto il mondo. Fra le sue molteplici attività, si segnala la partecipazione a un episodio della serie televisiva Nova, noto programma di divulgazione scientifica della Pbs. La scienziata, che si presenta come una persona disponibile, spigliata e cordiale, compare in alcuni documentari realizzati dalla Bbc, da Discovery Channel e History Channel, ma la si può trovare pure protagonista di vari filmati sul web in cui si racconta con semplicità e informa sulle proprie ricerche. Nel 2009, la vediamo giovanile e allegramente vestita di rosso mentre spiega il suo impegno come una moderna detective, fiduciosa nelle proprie capacità e ignara di cosa il futuro le avrebbe riserbato. La si può ascoltare in diverse interviste (assai ampia e interessante: 37 Questions with Andrea Ghez) e assistere mentre riceve il Premio, non a Stoccolma, a causa della pandemia, ma direttamente a Los Angeles, grazie al rappresentante del Consolato svedese; assai seria e compresa nel proprio ruolo, fa un ampio discorso ufficiale l’8 dicembre 2020.

Il suo pensiero va spesso alle future generazioni e alle tante studiose che aspirano a una carriera in ambito scientifico; saputo del Premio Nobel ha detto: «Spero di ispirare altre giovani donne a dedicarsi a questo campo del sapere. La fisica è uno studio che può regalare così tante soddisfazioni e, se si è appassionati di scienza, c’è veramente molto da fare».

Per far conoscere i propri inizi e il proprio lavoro ha scritto nel 2006 un libro, insieme a Judith Love Cohen, dal titolo significativo You Can Be a Woman Astronomer, non tradotto in Italia, in cui ancora una volta asserisce che anche il lavoro più impegnativo è conciliabile con il ruolo di moglie e madre, come accade a lei, e che le giovani devono insistere nel perseguire i propri obiettivi. Tante sono pure le sue pubblicazioni su riviste specializzate, soprattutto l’Astronomical Journal e l’Astrophysical Journal. Altre informazioni di prima mano si possono ricavare da una intervista rilasciata al giornalista Carlo Crosato per il settimanale L’Espresso (11 aprile 2021) intitolata “La scienza ha sempre ragione” in cui ha rievocato i lunghi anni all’Ucla, osservando oltre 3000 stelle, per studiarne i cicli e le interazioni. Presto trovò chi le dette fiducia, tuttavia ― ha spiegato ― quello che conta spesso non sono solo i calcoli e l’osservazione, ma la capacità di rinnovare i metodi e la ricerca stessa. Essenziale è «il nostro sapere relativo alla realtà che ci ospita, nella quale siamo integrati e con la quale intratteniamo un così fragile equilibrio. Che si tratti di ricerca mirata a un obiettivo concreto e immediato, come quella che qui sulla Terra è impegnata nello sviluppo di vaccini e farmaci, o che si tratti di ricerca pura, la scienza rimane la migliore espressione dell’intelligenza umana: essa accompagna i primi passi dell’essere umano fin dai primissimi anni di vita, in cui il bambino sperimenta gli oggetti che lo circondano e le espressioni degli altri umani che lo accudiscono; e conserva la propria importanza come versione metodica della curiosità per la realtà più complessa e misteriosa». «È il metodo ciò che ci permette di affidarci alla scienza: mescolando competizione e collaborazione, critica e osservazione empirica, la scienza unisce nell’impresa di indagare e capire». La scienziata non nega le difficoltà che ancora incontrano le donne nell’intraprendere carriere tradizionalmente riservate agli uomini, pur essendo ottimista e fiduciosa nell’affermazione femminile in ogni campo; ricorda con affetto e gratitudine la lettura da ragazzina delle biografie di illustri figure esemplari, come Marie Curie, che hanno intrapreso la strada da vere pioniere e le hanno indicato il percorso. Ribadisce che è essenziale guardare al futuro senza timore e al nostro mondo (e al nostro cielo) sempre con curiosità: «Fidatevi: il metodo scientifico è il miglior modo per aprire le vie del sapere».
Qui il link alla traduzione francese, inglese e ucraina.
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.
