«Grande è la confusione sotto il cielo. Situazione eccellente ».
Mao Tse Tung
Mentre l’attenzione dei media è tutta rivolta al conflitto israelo-palestinese, riesploso dopo il 7 di ottobre, il numero di Limes dedicato alla Cina rischia di passare in secondo piano. La sua lettura, peraltro, è vivamente consigliata, perché si tratta di un volume importante, fondativo. I numerosi scritti di autori cinesi (alcuni esponenti di Centri Studi occidentali, altri studiosi in Cina) vanno nel profondo, come ricorda il curatore del numero, Giorgio Cuscito, e illustrano aspetti fondamentali della Cina ma anche le sue lacune. Per noi la Cina resta un giallo nel duplice senso di “mistero” da districare, come i gialli Mondadori di una volta, che di questo colore avevano la copertina, ma anche nel senso di una reviviscenza del razzismo più retrivo e pericoloso, quello che discrimina le persone in base al colore della pelle. È risaputo che da molto tempo la Cina viene vista come “il” nemico nei nostri media, nelle opinioni della gente, nei discorsi quotidiani che ci capita di ascoltare. Eppure, la Cina, come non smette di ricordare Xi-Jinping, sogna di ridiventare un impero.
Il numero di ottobre 2023 ci fornisce, come sempre, qualche strumento in più per aumentare la nostra conoscenza. Ci sono tanti nomi con cui si può indicare la Cina: «Zhongguo («Stati centrali»), Zhonghua («bellezza centrale»), Huaxia («bellissima grandezza»), Shenzou («Stato divino») e Jiuzhou («nove Stati»). Poi, Han (dall’omonima dinastia, 206 a.C.- 220 d.C.) e Tang (dalla dinastia Tang, 618-907). Ci sono anche Tianchao («Corte celeste»), Tianxia («tutto sotto il cielo») e Sihai («entro i quattro mari»). Ogni nome ha la sua storia e il suo significato, illustrato da un articolo di Francesco Sisci: Un Paese, troppi nomi.

Dalla prima parte, Incubi e sogni di Pechino, segnaliamo Generazione Xi, di Giorgio Cuscito, che ci dà un quadro che sarà per molti/e inaspettato di questo Paese. La disoccupazione e il malessere giovanile sono in crescita, il rallentamento dell’economia persiste, diminuiscono matrimoni e nascite, aumenta il problema dell’obesità. Abituati dalla narrazione occidentale a pensare una Cina sovrappopolata, apprendiamo che invece è in crisi demografica e che questo rappresenta un ostacolo al “risorgimento della nazione”, « percorso che sul piano narrativo prevede il definitivo superamento del «secolo delle umiliazioni» subite per mano di europei, russi e giapponesi tra la prima guerra dell’oppio (1839) e la fondazione della Repubblica Popolare nel 1949. Risorgimento che dovrebbe completarsi entro il 2049, con la restituzione alla Cina del ruolo di centro del mondo perso durante la dinastia Qing» e la riunificazione con Taiwan. La necessità di fare più figli, sostiene (amaramente per chi scrive) il consigliere di Limes, servirebbe anche in caso di guerra con l’America per Taiwan.
Col termine tangping, cioè «lo stare sdraiati», i Cinesi intendono la forma di reazione passiva alle delusioni dei giovani, anche di alcuni funzionari del Partito, determinate dalla società e dal percorso accademico e lavorativo. Facile il richiamo al libro Gli sdraiati di qualche anno fa di Michele Serra, a conferma che poi qualche punto in comune con una cultura che avvertiamo così lontana ce lo abbiamo. Durante le celebrazioni televisive per il Capodanno cinese, Pechino ha autorizzato la messa in onda di una parodia al riguardo.

Il governo cinese ha intrapreso politiche per incentivare la fertilità, per limitare l’aumento del “prezzo della sposa”(la diffusa e costosa usanza secondo cui l’uomo paga una certa somma di denaro alla famiglia della futura coniuge), per ridurre l’obesità, aumentando nelle scuole le ore di ginnastica e quelle di addestramento militare e riducendo le ore di studio a casa; ha richiamato i giovani nelle campagne, sul modello di quanto fece durante la rivoluzione culturale il quindicenne Jinping (figlio di Xi Zhongxun, eroe della rivoluzione estromesso da Mao) per sette anni; il che gli consentì di iniziare la carriera all’interno del Partito. Da alcuni anni è in vigore uno specifico piano pedagogico che si focalizza sui risultati conseguiti dal Paese, sulla fedeltà al Partito e allo stesso Xi. «Dalle elementari fino all’università, è previsto lo studio di vari manuali intorno al «pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova èra». Tale «pensiero» è diventato il prisma tramite cui leggere il «risorgimento» del Paese e il suo rapporto con il mondo.» Ma il risorgimento della Nazione prevede anche la trasformazione della Cina in potenza marittima (haiyang qiangguo), non solo per le risorse marine ma anche per difendere le acque e le isole che rivendica come proprie e su cui si possono leggere saggi e carte molto istruttivi.

Interessanti approfondimenti sulla crisi demografica e sull’invecchiamento della popolazione, in cui l’età da pensionamento rispettivamente per uomini, donne impiegate e operaie è di 60, 55 e 50 anni, sono contenuti nei numerosi interventi di autori cinesi, da cui apprendiamo che «La popolazione cinese è stata sovrastimata per oltre trent’anni. L’errore è stato un prodotto del sistema statistico truccato, influenzato dagli interessi dei governi locali e delle autorità responsabili della pianificazione familiare, i quali volevano esibire una demografia in rapida crescita per giustificare i rigidi controlli […] la politica del figlio unico ha privato gradualmente il Paese di tale risorsa. Il tasso di fertilità è sceso sotto i livelli degli Stati Uniti, del Giappone e di alcuni Stati europei. La forza lavoro ha iniziato a diminuire e l’economia è rallentata. Nel 1980 l’età mediana cinese era 22 anni, ma nel 2030 sarà 46 anni. Quindi 5,5 in più rispetto all’America. Caso diverso è l’India, dove l’età mediana è pari solo a 32 anni. Nel 2050 sarà 39, contro i 57 stimati nella Repubblica Popolare. Qui il tasso di dipendenza degli anziani eccederà quello statunitense nel 2033. Conseguentemente la Cina crescerà meno della rivale India. Insomma, potrebbe essere questo Paese a sostituire l’America come prima economia al mondo». Sulla rivale della Cina si segnala India? No grazie Bharat! che ci illumina sul cambio di nome, voluto da Narendra Modi, di cui abbiamo sentito parlare al G20 di Delhi. «Bharat è il termine con cui in hindi e nel grosso delle lingue vernacolari del subcontinente si definisce l’India. Tanto che l’articolo 1 della Costituzione repubblicana adottata nel 1949 statuisce che l’India «è Bharat». Termine cui fa riferimento anche l’inno nazionale, composto dal premio Nobel per la letteratura Rabindranath Tagore nel 1905 e adottato dalla Repubblica nel 1950, dove la parola «India» non compare». L’origine del lemma è sanscrita e ricorre nelle scritture vediche, nei Purana e nei poemi epici dell’induismo. Bharat vuole essere per Modi il simbolo dell’emancipazione dell’identità indiana dall’influenza islamica e da quella coloniale europea «capace di unificare e inorgoglire il caleidoscopio India in quanto stirpe del mitologico imperatore Bharata. Emblema senza tempo dell’essenza di una nazione millenaria che vuole ritrovarsi per (tornare a) contare nel mondo». Un altro approfondimento importante sull’India è Quanto indiano è l’Oceano indiano?

Quanto alla politica di trasformazione della Cina in potenza marittima, se ne occupa l’approfondimento di You Ji, che ricorda le quattro revisioni della Marina cinese: dalle imbarcazioni costiere degli anni Cinquanta si è passati oggi a gruppi da battaglia di portaerei per spedizioni oceaniche. «Nel 2021, con 335 navi all’attivo, quella cinese è diventata la Marina più grande del mondo per numero di vascelli da guerra, anche se la distanza rispetto agli Stati Uniti in termini di capacità belliche resta notevole. La Marina cinese è tuttora in crescita e probabilmente manterrà questo ritmo anche in futuro: secondo il Pentagono, entro il 2030 le navi saranno 460 e ciò ridurrà ulteriormente il divario con gli Stati Uniti». Del resto, fin dal 1953, lo aveva detto anche il Grande Timoniere: «Siccome la maggior parte delle invasioni straniere, sin dal 1840, sono venute dal mare, la Marina cinese dev’essere una forza capace non solo di proteggere le coste della Cina, ma anche di contrastare le potenze marittime ostili negli oceani».
Di taglio squisitamente economico l’articolo di Wang Zichen e Jia Yuxua che, dopo una rassegna di opinioni di autorevoli studiosi sulla congiuntura economica cinese, sull’esistenza di una “trappola della liquidità” e sulla crisi della domanda interna, sostengono che «Pechino deve seguire la strada delle riforme e della crescita sostenibile. Il potenziamento della domanda domestica, dei programmi di welfare sociale e la gestione delle questioni strutturali sono la chiave per un futuro prospero e stabile». Non sarà così facile, però, come si evince da altri approfondimenti, perché bolla immobiliare e problema del debito non sono da sottovalutare.
Particolarmente interessante il saggio di Deng Yuwen, L’America non può evitare il G2 con la Cina che ricorda il piano di «modernizzazione in stile cinese» presentato da Xi-Jinping nel 2022, di cui i primi destinatari sono i paesi che abitano il cosiddetto Sud Globale, un piano di crescita alternativo a quello americano, perché necessariamente guidato dal Partito Comunista. A febbraio, con questo piano, la Cina ha definito i contenuti dell’Iniziativa per la sicurezza globale. Questa, secondo Deng Yuven, si basa su valori come rispetto, fiducia reciproca, equità, giustizia, apertura e inclusività anziché sulla prepotenza egemonica, la legge della giungla, il conflitto e le rivalità perpetrati da Washington. Ma il diavolo si nasconde nei dettagli e chi leggerà questo articolo potrà scoprirli.
Completamente diversa la posizione di Dong Yifan e Sun Chenghao che sottolineano, ottimisticamente, i successi della politica di Xi-Jinping: il riavvicinamento di Iran e Arabia Saudita, il reintegro della Siria nella Lega Araba, la ripresa dei rapporti diplomatici tra Damasco e Riyad e la riconciliazione tra Turchia ed Egitto. «L’Iniziativa per la sicurezza globale (Gsi nell’acronimo inglese) esprime la volontà cinese di adottare un nuovo approccio alle questioni securitarie. Ai tradizionali concetti di contrapposizione, alleanza e mondo a somma zero, la Gsi oppone infatti le nozioni di dialogo, partenariato e cooperazione reciprocamente vantaggiosa, proponendo un nuovo metodo per affrontare le cause profonde dei conflitti internazionali e per risolvere le crisi in modo totalmente diverso da quello degli Usa, ribadendo il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di ogni Paese, indipendentemente dalla sua forza politica o economica e ispirando la propria azione alla “comunità di destino” a cui tutti gli Stati sono legati. L’invito è al multilateralismo e a non schierarsi in alleanze contrapposte che costituiscono una minaccia per la sicurezza globale.

«In un contesto del genere, tutti gli Stati sono infatti obbligati a scegliere preventivamente da che parte stare e dunque rischiano di trovarsi indirettamente coinvolti in ogni conflitto. Inoltre, un sistema internazionale di questo tipo porta i singoli paesi a tralasciare la propria sicurezza, dal momento che le alleanze tendono a proteggere gli interessi dell’egemone». Punti di vista diversi, che come sempre la rivista Limes ci offre per pensare.
Di Hong Kong, come porta per i rapporti della Cina con il Sud globale, tratta l’articolo di Cristine Loh, definita così nella parte della rivista dedicata agli autori: “già parlamentare e ministro del governo hongkonghese. Autrice di diversi testi accademici su Hong Kong”. Spiace davvero che il femminile sia usato solo per “autrice” e non per “Ministra”.
Il volume di ottobre di Limes si dedica anche alla guerra dei chip e alla crisi della Belt and Road Initiative, alla contrapposizione frontale ormai evidente tra Cina e Usa e a tanto altro, soprattutto nella seconda parte, intitolata Usa e soci contro Cina e Russia. Vi si affronta il tema del nuovo disordine mondiale davanti al quale si è trovato il pianeta dopo il conflitto russo-ucraino e il coinvolgimento della Nato e della Ue a fianco della ex Repubblica sovietica. Lo si fa con articoli che riguardano diversi Stati, con un’attenzione particolare, tra gli altri, a Giappone e Australia.
Per quanto concerne l’Italia, si sottolinea la presenza navale russa nel Mediterraneo, aumentata in modo significativo. Dalla relazione dell’ammiraglio Dragone emerge la minaccia della presenza russa non solo al traffico mercantile, ma anche alla sicurezza di oleodotti, gasdotti e cavi sottomarini che attraversano il nostro mare, soprattutto dopo quanto è accaduto ai Nord Stream, peraltro a opera degli ucraini, a quanto si sa.
La terza parte, estremamente interessante e ricca di approfondimenti che ipotizzano un conflitto Cina-Usa-via Taiwan, riguarda proprio l’isola Bella, il suo ruolo determinante, le tante paure che la affliggono e le ipotesi di difesa in caso di attacco cinese. A tale proposito si segnala Taipei nella trappola di Tucidide di Chen Yeong-Kang, già viceministro della Difesa nazionale della Repubblica di Cina (Taiwan).

L’approfondimento più interessante del volume riguarda però la figura di Xi-Jinping, cui sono dedicati due articoli. Da Il nuovo Mao gioca col fuoco, di Willy Lam riportiamo alcuni stralci: Xi «è stato spesso deriso per la sua scarsa istruzione, avendo studiato solo fino alle scuole medie. Tuttavia, è senza dubbio un maestro dell’intrigo politico: quella sottile arte che consiste nel costruirsi una solida base di consenso e nell’accantonare, se non cooptare, nemici da fazioni avverse […] Il Politburo di 24 membri e il Comitato permanente dello stesso, che è composto da 7 persone e rappresenta il sancta sanctorum del potere cinese, sono entrambi dominati da alleati, amici ed ex sottoposti del settantenne leader supremo […] Gli emendamenti allo Statuto del Partito nel 2018 e alla Costituzione nel 2022 hanno consacrato Xi come fulcro del Partito a vita. Le sue idee su diversi aspetti del governo, condensate in «Il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova èra», sono state inscritte in Costituzione nel 2022 quali «luce guida» per il Partito e la nazione […] Numerose decisioni controverse in materia economica riflettono le personali idiosincrasie di Xi», come la scelta di castigare i conglomerati dell’information technology (It) ritenuti insubordinati, tra cui Alibaba, Tencent e Didi Chuxing o il divieto, nel 2020, di quotare Ant Group, controllata chiave di Alibaba, alla Borsa di Shanghai. Nel 2021 e nel 2022 Xi ha sostenuto una campagna parapolitica contro gli imprenditori «avidi» accusati di violare le norme antitrust e di fomentare una yeman zengzhang (crescita barbarica).» Per non parlare della controversa politica della tolleranza zero ai tempi del Covid-19.

Xi l’insicuro sottolinea alcuni aspetti della personalità del leader più potente della storia della Repubblica popolare cinese, facendone intravedere alcuni aspetti che sfiorerebbero, secondo il giudizio di Zhao Suisheng, Professore e direttore del Center for China-US Cooperation alla Josef Korbel School of International Studies dell’Università di Denver, la paranoia. Per quanto riguarda la politica estera, Xi ha trasformato i diplomatici in “lupi guerrieri”. «Convinto dell’ascesa della Cina e della crisi del sistema a guida americana, Xi ha chiesto ai suoi diplomatici di operare con maggiore assertività. Secondo il presidente cinese, nell’attuale fase di transizione egemonica la diplomazia pechinese deve essere in grado di ‘assumere posizioni dure e di rispedire al mittente qualsiasi attacco’. Il vecchio adagio cinese secondo cui la diplomazia serve ‘a farsi nuovi amici e a trasformare i nemici in amici’ non è più valido. Peggio, è una debolezza. E le debolezze non sono più accettate». L’assertività di Pechino, che si è riavvicinata alla Russia, ha portato gli Stati Uniti e i loro alleati a intensificare il contenimento ai danni della Repubblica Popolare. La National Security Strategy della Casa Bianca pubblicata nell’ottobre 2022 indica come principale obiettivo geopolitico degli Usa «vincere la competizione con la Cina» («out-competing China») Alla Repubblica Popolare Cinese (Rpc) sono attribuite l’intenzione e la capacità (economica, diplomatica, militare e tecnologica) di riconfigurare l’ordine internazionale a proprio favore. Gli Usa contrappongono alla democrazia, di cui sarebbero i portavoce nel mondo, l’autocrazia cinese e russa. Dal canto suo, Xi Jinping ritiene che – attraverso strumenti come il Quad(Il Dialogo quadrilaterale di sicurezza ,Quadrilateral Security Dialogue, alleanza strategica informale tra Australia, Giappone, India e Stati Uniti con lo scopo di contenere l’espansionismo cinese nella regione dell’Indo-Pacifico) e l’Aukus, (un patto di sicurezza trilaterale, firmato nel 2021 tra Australia, Usa e Gran Bretagna) – le potenze occidentali stiano tentando di accerchiare la Cina, con l’obiettivo finale di strangolarla. Per questo Xi Jinping si sente continuamente minacciato e non accetta critiche. Insomma, leggere questi approfondimenti accanto a quelli della seconda parte in cui si analizzano le manovre difensive degli Stati amici degli Usa nei confronti di Russia e Cina, fa pensare a quanto insicuri siano non solo Xi-Jinping e i cinesi ma anche i loro avversari e quanto sia facile, per gli uni e per gli altri, ipotizzare una guerra.
«Pensavamo che le guerre servissero a vincere una pace migliore di quella che si è violata — scrive Caracciolo — Oggi le guerre sono fini a sé stesse. Di pace non si discetta più […] Il mezzo è lo scopo. La propaganda sostituisce la strategia, talvolta la tattica. Invade e pervade persino i media di quei paesi, normalmente occidentali, dove da un paio di secoli parevano resistere pensiero libero e spirito critico. L’autismo è tale che finiamo per credere alla nostra propaganda, molto più dannosa dell’altrui». In questo stralcio dall’editoriale il direttore di Limes definisce “ideologia” il pacifismo e lo accusa di non avere mai posto fine a un conflitto. Pur riconoscendo che quest’ultima affermazione corrisponde a verità, non si può fare a meno di sottolineare che sostenere la pace ed essere operatori di pace non è riducibile a ideologia ma è espressamente richiesto dall’articolo 11 della Costituzione italiana, che conferisce alle organizzazioni internazionali che promuovono la pace e la giustizia tra le nazioni il compito di perseguirla e costruirla insieme, soprattutto dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale e la minaccia nucleare.

In un altro punto dell’editoriale, sempre prezioso per i numerosi e articolati riferimenti storici, troviamo il cosiddetto “postulato Quaroni”. Con questa espressione si intende il giudizio, peraltro poi smentito dai fatti, di uno dei più brillanti diplomatici italiani sulla «incapacità biologica dell’Italia di scegliere». Si narra che Quaroni, quando venne a sapere che il nostro governo aveva deciso di allacciare negli anni ‘70 le relazioni diplomatiche con la Repubblica popolare cinese, senza chiedere prima il consenso degli americani, ma anzi anticipandone le mosse, poi suggerite da Kissinger a Nixon, di apertura ai cinesi, pare abbia detto: «Ma siamo sicuri che la Cina ci voglia riconoscere?» Questo richiamo alla nostra storia, oltre a dare il titolo all’editoriale stesso, consente di verificare le differenze tra la politica italiana degli anni ’70, che vide protagonisti di questa decisione di politica estera personalità del calibro di Moro, Nenni, Rumor e Fanfani, e l’approvazione del Memorandum sulla via della seta del Governo Conte, che, a detta di Caracciolo, fu squisitamente economicistica, senza uno sguardo geopolitico.
Nel 1995 si pubblicava il primo dei molti volumi che Limes avrebbe dedicato alla Cina: «La Cina è un giallo”: «Colore primario — si legge ancora nell’editoriale — che evoca il doppio schermo che ci pareva limitare la nostra conoscenza del colosso asiatico: i suoi segreti non solo di Palazzo e la percezione occidentale venata di razzismo (ricambiato), che continua a impedirci di cogliere valore e influenza di quel grande popolo, neanche fosse tuttora specie di coolies. Oggi confermiamo: la Cina resta un giallo. In entrambi i sensi».
La copertina di Laura Canali, come sempre molto bella, insieme alle altre carte di questo numero, è illustrata dall’artista e cartografa a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=glJm2CLuWJU.
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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.
