La democrazia radicale di Judith Butler

Lunedì 16 ottobre 2023 alle ore 14.00 nell’Aula Magna Aldo Cossu del Palazzo Ateneo di Bari, Judith Butler ha ricevuto, prima in Italia, il Dottorato Honoris Causa in “Gender Studies”. Come riporta il sito dell’Università «il Dottorato di interesse nazionale in Gender Studies incardinato nel Dipartimento di ricerca e innovazione umanistica dell’Ateneo barese, coordinato da Francesca R. Recchia Luciani, è al suo primo ciclo ed è stato promosso dall’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, in convenzione con altre 15 università e con docenti italiane e straniere». La filosofa americana, il cui pensiero eccentrico ha segnato la storia del femminismo, è stata definita durante la cerimonia «raffinata teorica e fondatrice degli studi di genere». Ha poi tenuto una lectio magistralis dal titolo “Imagining beyond Fear and Destruction”, in cui ha avuto modo di ripetere che sia il governo italiano, che la Chiesa cattolica, che la Russia di Putin hanno trasformato il «gender» da strumento di analisi critica e liberazione in un «fantasma» attorno al quale catalizzare le principali paure del mondo contemporaneo. E chi ha cercato, nella scuola, di parlare di educazione di genere o all’affettività, ha provato sulla propria pelle quanto questo fraintendimento abbia privato ragazze e ragazzi di una serie di strumenti indispensabili per capire seè stessi/e oltre che per leggere il presente.

Che sia stata proprio l’Università intitolata ad Aldo Moro a insignire con la laurea ad honorem la filosofa che ha introdotto i Gender Studies nell’Accademia è un segnale su cui riflettere, e deve essere salutato come un gesto simbolicamente molto forte in un’epoca segnata da omofobia, transfobia, esaltazione della famiglia tradizionale e del primario se non esclusivo ruolo riproduttivo della donna all’interno della società. L’Università che porta il nome del primo sostenitore dell’educazione civica nella scuola è stata sicuramente la più indicata a ricordare che i diritti devono essere riconosciuti e garantiti a tutte e tutti, anche alle minoranze, altrimenti, come era solito ripetere Gino Strada, sono privilegi.

Butler, originaria dell’Ohio, nata in una famiglia ebraica russo-ungherese, vittima della Shoah per parte materna, è sempre stata caratterizzata da una grande curiosità intellettuale e da una forte vocazione politica. I suoi interessi hanno spaziato tra le varie discipline, segno di un atteggiamento intellettuale molto contemporaneo nella società della complessità, atteggiamento che peraltro da molti/e è stato ingiustamente criticato da chi non condivide il suo pensiero. Convinta assertrice della necessità dell’attivismo indispensabile per contestare le norme e i modelli esistenti e per formularne di nuovi, è tra le maggiori sostenitrici della tutela dei diritti della comunità LGBTQI+. Col suo impegno si batte per dare risalto agli/alle “invisibili”, a tutte quelle minoranze di genere rappresentate nella bandiera dell’orgoglio LGBTQI+ e per riconoscere loro i diritti fondamentali. Non mi soffermerò in questa sede sul percorso filosofico e sul pensiero di Butler, che meglio di me sapranno approfondire le studiose di filosofia e di storia del femminismo.

Judith Butler

Maria Chiara Pulcini, sul numero 243 di vitaminevaganti scrive: «I lavori di Judith Butler sulla non conformità di genere sono tra i più influenti e hanno portato alla luce quanto il ruolo di genere, che ci permette di essere identificati come uomini o donne o non-conformi a un primo sguardo, sia più legato ad una performance in cui ci esprimiamo ogni giorno tramite comportamenti e dimostrazioni che alla sfera biologica». Vorrei invece evidenziare la posizione della filosofa statunitense su quanto sta avvenendo in Israele e a Gaza.

In una intervista realizzata con la collaborazione di Roberta Martino, pubblicata sul Manifesto del 17 ottobre, Butler ha avuto modo di esporre la propria idea di democrazia, «una democrazia radicale, più volte invocata in numerosi scritti dalla studiosa e attivista statunitense». Nella giornata della sua laurea honoris causa, Butler ha detto: «Israele è uno Stato basato su un’occupazione violenta, su espulsioni violente: ha spogliato alcune persone dei loro diritti per produrre la sua democrazia. Serve una forma di coabitazione politica tra uguali». E ancora: «Non difenderò mai Hamas. Ma voglio capire come si è arrivati fin qui: non per scagionarli, per superarli. Non si può dubitare del mio dolore. Ma se dovessi rimanere nella mia indignazione di ebrea senza vedere la devastazione che Gaza ha subito fallirei nella comprensione di un quadro più completo».

Nella sua lectio magistralis la filosofa americana, autrice, tra gli altri, del libro La forza della non violenza. Un vincolo etico-politico ha parlato di «immaginazione oltre la paura e la distruzione». Estranea al cosiddetto “presentismo”, usato come arma verso chi viene sminuito con l’appellativo di “complessista”, perché portato/a ricercare le cause degli avvenimenti nella storia invece di schierarsi subito da una parte o dall’altra, ha ribadito: « Se non vogliamo più assistere a una simile violenza dobbiamo chiederci cosa c’è bisogno di fare per eliminarla per sempre. La risposta non è lo sterminio degli abitanti di Gaza o la loro espulsione in Egitto, come pensano alcuni leader di Israele. La risposta è liberare i palestinesi dall’occupazione e trovare una forma di coabitazione politica che permetta alle persone, a tutte le persone, di vivere con uguaglianza, libertà e giustizia. Solo una soluzione di democrazia radicale può mettere fine alla violenza».
E ancora: «Dobbiamo imparare la storia di Gaza. Quando è stata costruita? Chi è stato messo lì contro la sua volontà? Dove viveva prima? Cosa sappiamo della loro espulsione e dell’occupazione? E poi: come è stata formata Hamas? Quando? Sappiamo quanti palestinesi la sostengono? Conosciamo le differenze tra l’ala politica e quella militare di Hamas? Questa non è teoria, è storia, è sociologia. È politica. Dobbiamo conoscere tutta la vicenda, da entrambi i lati, inclusa la colonizzazione degli israeliani su quelle terre e l’espropriazione dei palestinesi mentre gli ebrei cercavano un rifugio. La conoscenza di questa storia è necessaria per avere una visione sufficientemente ampia da portare a una pace definitiva».

Interrogata sul ruolo del femminismo in questi tempi di guerra, Butler ha sottolineato l’importanza fondamentale di questo movimento contro guerra, violenza statale e lotta armata, come si è potuto vedere nei Balcani, in Turchia, Sudafrica o America Latina dove ci sono presenti movimenti enormi per la democrazia e contro la violenza. «Ni Una Menos o le lotte indigene — ricorda la filosofa ebrea — non sono coinvolte nella lotta armata, ma in mobilitazioni di massa che si battono per estendere la democrazia in tutta la popolazione. Nella ex Jugoslavia le «donne in nero» erano contro la violenza, tutta la violenza, serba o croata. Abbiamo molto da imparare dai movimenti femministi perché hanno riflettuto per decenni sulla violenza a ogni livello, venga essa da Stato, polizia o famiglia». La non violenza non è possibile in tempo di guerra ma non è una ragione per rinunciare ad affermarla. «A volte affermiamo l’impossibile. Qualcuna deve farlo. Altrimenti diventiamo tutti guerrieri, accettiamo la realpolitik. È possibile che le persone ti prendano per pazza. Pensino che sei naif o idealista. Lasciamole pensare quello che vogliono».

«Siate realisti. Chiedete l’impossibile», faceva dire Camus a Caligola, nel bellissimo testo teatrale. Lo ricordava anche Stefano Rodotà, nel 2017, « a tutti e tutte coloro che pensano e agiscono politicamente e comunque identificano la politica con il cambiamento».
Chi voglia ascoltare la lectio magistralis di Butler all’Università di Bari può trovarla a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=P80wS5is2Bc.

***

Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.

Lascia un commento