Per molto tempo la Resistenza è stata considerata come una storia che ha riguardato solo il centro-nord del nostro Paese. Sono stati ignorati tanti fatti di violenza e di sangue avvenuti in Campania, in particolare in Terra di Lavoro, ovvero la terra degli antichi Campani, così designata fin dal Medioevo. Negli ultimi anni alcuni studi e ricerche storiche hanno fatto piena luce e hanno ridato dignità a tanti protagonisti (donne e uomini) della lotta antifascista. Tra le figure più significative va ricordata Margherita Troili, che in un libro di memorie ci ha fatto rivivere la sua storia di lotta e di emancipazione democratica; una donna che va conosciuta e raccontata, soprattutto alle nuove generazioni. Infatti dalla sua narrazione emerge un quadro assai vivo ed impegnato dei vari gruppi antifascisti attivi sul territorio, con particolare riferimento a quelli capuani costituitisi intorno a figure emblematiche come Alberto Iannone e al giornale Il Proletario fondato a Capua nel 1942 nel Pirotecnico, una fabbrica che produceva armi (tra le più grandi imprese del Mezzogiorno, ora dismessa).
Per il 76esimo Anniversario della Liberazione, la Cgil di Caserta, aderendo all’iniziativa Strade di Liberazione lanciata da Anpi Nazionale, il 25 aprile 2021 è stata ricordata la figura di Margherita Troili nella piazza a lei dedicata nella città di Capua. Partigiana, antifascista, insegnante e dirigente politica e dell’Unione Donne Italiane, è stata in prima fila per le lotte per i diritti e per la rinascita democratica della sua città, della provincia di Caserta e della Campania. Conoscerla da vicino ci consente di sottolineare anche l’impegno troppo spesso sottovalutato delle donne, protagoniste durante i difficili anni della lotta partigiana, e il loro impulso fondamentale alla liberazione del nostro Paese. Nella storia dell’antifascismo e della Resistenza, infatti, non sempre trovano il giusto rilievo gli attivisti del Sud, in particolare alcune donne che, invece, vanno ricordate per il loro ruolo politico e sociale. Questo dato emerge con chiarezza dalla fondamentale ricerca di Giuseppe Capobianco – Il recupero della memoria, ESI – che mette in evidenza il contributo di sangue e di lotta offerto dalle donne nella Resistenza al nazifascismo, con decine di presenze nelle liste delle persone confinate e perseguitate in Terra di Lavoro. Ancora più numeroso risulta il sacrificio di 80 casalinghe trucidate nelle stragi (in particolare a Caiazzo e a Sparanise).

Ora ci preme sottolineare la figura di Margherita Troili, nata a Capua nel 1913, che fu dirigente del Pci a Napoli e Caserta, di professione insegnante nelle scuole secondarie. Subito dopo la liberazione si dedicò a organizzare la sede dell’Udi (Unione Donne Italiane) e venne nominata responsabile della commissione Femminile del Pci, diretta da Corrado Graziadei. Fu anche delegata al V congresso Nazionale del partito. Fra le sue attività principali va ricordato l’impegno nella diffusione di Il Proletario, unico giornale clandestino della Resistenza al Sud, fondato da Aniello Tucci e Michele Semeraro, che veniva distribuito in tutta la Campania. Il Proletario è anche la storia dei Gp (Gruppi Proletari), le formazioni partigiane che organizzarono la Resistenza in questa zona dell’Italia nell’autunno del 1943. Una vicenda dimenticata, ricostruita a partire dal lavoro di Franco Pezone, nel libro Un giornale fuorilegge che contiene documenti inediti. Insieme con il marito Alberto Iannone, Troili aveva animato gli ambienti antifascisti clandestini di Terra di Lavoro, il cui territorio era stato in gran parte ricompreso nella provincia di Napoli, dopo la soppressione della provincia di Caserta operata durante il fascismo nel 1927. Al suo fianco aveva attraversato quel drammatico autunno di lotta partigiana, vissuto da protagonista in azioni di sabotaggio e nell’uccisione di un soldato tedesco. Era molto legata agli impegni pubblici e politici del marito, ma sentiva fortemente la responsabilità che le era stata assegnata di coordinare i circoli dell’Udi nella zona, che le imponeva di imparare a fare da sola, di decidere in piena autonomia.

Nel bel libro Una donna ricorda (Il Ventaglio) Margherita racconta la sua intensa vita di partigiana e di militante politica di sinistra, in prima fila nelle lotte per la rinascita democratica nella sua città, ma anche a livello provinciale e regionale. Come ha ben descritto Lidia Menapace nella presentazione, ci troviamo di fronte a una storia intessuta e intrecciata con una vicenda più pubblica, quella delle lotte antifasciste e della formazione del Pci in Terra di Lavoro. La narrazione mostra una libertà di rapporti, una così intensa identità personale che sembra non avere avvertito il peso, il gravame di essere donna. L’autobiografia rievoca una serie di vicende la cui emblematicità “narrativa” poggia su una similarità storica: sono segni dei tempi, sentimenti di un’epoca, non bizzarrie e singolarità romantiche. Va ribadito che la scrittura e la narrazione dell’autrice sono semplici, volutamente disadorne, poco aggettivate, piene invece di oggetti, cose, polli, cristalliere, volti, eventi, equivoci, dispense, strade, ore, tempi, quasi affollate di oggetti da non poter concedere agli ornamenti. Tuttavia, molti scrittori e scrittrici vorrebbero avere scritto una pagina come quella in cui Margherita narra un episodio della guerra antifascista: «Un giorno era ancora buio…, quando devo inseguire e uccidere un giovane soldato tedesco che ha scoperto il nascondiglio dei partigiani. Dovevo sparargli; dovevo colpirlo; dovevo eliminarlo. Ad un certo punto sbucati da due sentieri paralleli ci troviamo faccia a faccia. Non ebbi modo di pensare; approfittai di un suo attimo di esitazione e sparai per prima, subito, la mano insolitamente sicura. Lo colpii, cadde riverso in mezzo al viottolo, le mani annaspanti nel terreno; un attimo, poi più nulla. Ritornai sui miei passi come in trance. È la guerra, mi si disse; ed è la guerra che io voglio non si faccia più. Ancora oggi non voglio sapere se lo colpii a morte, cosa ne fu del suo corpo. So solo che, quando rivivo questo episodio, penso che se non avessi sparato così repentinamente cogliendolo di sorpresa, certamente egli mi avrebbe fatta fuori; ma ciò sinceramente non mi consola». Ma forse il pezzo più ricco di passione è quello in cui l’autrice riferisce di una sede che Iannone avrebbe dovuto ottenere per l’Udi, organizzazione di cui lei era dirigente, e che per lesioni e incuria crollò poco prima che l’associazione vi si trasferisse: «Pensa se ci fossi stata io là dentro. E lui abbracciandomi con infinita tenerezza: starei a scavare con le unghie e con i denti, disperatamente». Il giorno seguente crolla un’ala dell’Ufficio del Lavoro dove lavora il marito con cinque operai: «Sulla soglia io, sola. Sola con il bisogno di scavare con le unghie e con i denti, disperatamente».
La solitudine, appena mediata dai molti affetti con i compagni e le compagne, poggia sulla singolarità di questa donna meridionale colta, vivace, ribelle, capitata in vicende tra le più straordinarie della nostra recente storia, in rapporto con i nomi più prestigiosi della generazione di Togliatti ― non soltanto per averne ascoltato i comizi o letto i discorsi e le opere ― rimasta ai margini come il Sud.
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Articolo di Pasquale Iorio

Giornalista pubblicista, laureato in Scienze politiche, è stato segretario generale provinciale della CdLT di Caserta e dirigente Cigl Campania. Esperto di sviluppo locale, ha ricoperto diversi incarichi in vari settori e istituzioni. Coordina reti per promuovere la coesione sociale e l’apprendimento permanente. In campo editoriale ha curato diverse pubblicazioni, tra cui l’ultima: Il museo vivente delle Madri, 2021, Rubettino.
