C’è luce oltre la guerra è il titolo ottimistico dell’editoriale di novembre di Limes, uscito nelle edicole e nelle librerie in occasione del decimo Festival della rivista di geopolitica, svoltosi nel Palazzo Ducale di Genova e intitolato Il fattore italiano nel mondo in guerra.
Mai come questa volta ne abbiamo attesa la pubblicazione con il forte desiderio di conoscere più a fondo le parti in causa di questo conflitto, iniziato con il sanguinario attacco a sorpresa di Hamas e proseguito con la risposta violenta di Israele, che ha colpito soprattutto la popolazione civile.
Come ha ricordato Gianfranco Ravasi nella puntata di Quante storie del 21 novembre 2023, la risposta di Israele non si è ispirata, come saremmo indotte/i a pensare, alla cosiddetta “legge del taglione”, che ha in sé un criterio retributivo (“Occhio per occhio, dente per dente”), ma alla legge di Lamech, la concettualizzazione della vendetta. Lamech è un uomo violento e vendicativo. La Bibbia, in Genesi 4,23-24, lo condanna ponendo l’accento sul suo bestiale canto, traboccante d’odio. «Lamech disse alle mogli (perché ne aveva due, avendo inaugurato la poligamia n.d.r.): “Ada e Zilla, ascoltate la mia voce; mogli di Lamech, porgete l’orecchio al mio dire. Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette!».

Sui nostri media questa fase della “terza guerra mondiale a pezzi” ha preso il posto di quella russo-ucraina, senza che sia cambiata la narrazione come sempre cronachistica, appiattita sui fatti, ridotta a spettacolo dell’orrore. Gli effetti che ha prodotto sono stati la polarizzazione dell’opinione pubblica e il tifo da stadio per i protagonisti di un conflitto che non è tra due Stati, ma tra uno Stato e un’organizzazione terroristica, sia pure sui generis. Solo recentemente qualche reportage da Gaza, in particolare quelli di Lucia Goracci, ponendo domande intelligenti agli e alle intervistate consente a chi guarda di pensare alle ragioni di questo attacco anziché limitarsi a inorridire.
Ci eravamo lasciati, recensendo il volume Israele contro Israele, con un Paese diviso e pieno di ostilità, ai limiti dell’implosione. Sicuramente la sfida cruenta del 7 ottobre, come ricordano Anna Maria Cossiga e Claudio Pavoncello nei loro approfondimenti, ha avuto non solo l’effetto di aggregare le varie componenti di Israele, da sempre considerato parte dell’Occidente estranea al mondo arabo, ma anche di garantire l’impunità dei coloni che ormai si sentono spalleggiati dall’esercito nella loro sistematica e violenta espropriazione dei territori della Cisgiordania.
Nella prima sezione della rivista due interviste ‒ una a Ismā‘īl Haniyya, primo ministro e capo dell’Ufficio politico di Ḥamas ospite del Qatar, dal titolo Abbiamo dimostrato al mondo che Israele non è invincibile e l’altra a Meir Elran, ricercatore all’Institute for National Security Studies (Inss) e direttore dell’Homeland Security Program dal titolo Hamas ha fatto un errore colossale. Ora pagherà ‒ rappresentano i punti di vista opposti alla base delle reciproche posizioni che rendono difficile immaginare una soluzione pacifica a breve, come fa del resto l’approfondimento di Ben-Dror Yemini, dal titolo significativo Questa guerra è tra bene e male. Mentre scrivo, per fortuna, lo scambio di ostaggi e prigionieri e qualche giorno di tregua cominciano a vedersi anche se dalle dichiarazioni ufficiali di Netanyahu si percepisce che gli scambi non rappresentano l’inizio di una trattativa volta alla soluzione del conflitto.

Tra i tanti contributi da segnalare il saggio della storica e saggista Paola Caridi, grande conoscitrice ed esperta delle vicende palestinesi, autrice del libro Hamas, edito da Feltrinelli. Se ne riportano alcuni passaggi fondamentali per la conoscenza di questa organizzazione. Partendo dall’analisi del video trasmesso il 7 ottobre 2023, immediatamente dopo l’attacco a Israele eseguito dalle Brigate ‘Izz al-Dīn al-Qassām, Caridi ci introduce alla figura di Muḥammad Ḍayf, capo dell’ala militare di Ḥamas di cui circola solo una vecchia foto, che è sempre stato ritratto come una sagoma scura, nera. Nel video Dayf si assume l’intera responsabilità dell’azione militare a sorpresa, in ciò confermando la prevalenza in questa operazione dell’ala militare di Hamas su quella politica, ribadita anche in un’intervista del New Yorker da Abū Marzūq, capo dell’Ufficio politico del gruppo terroristico fino agli anni Novanta. Marzuq, dopo essere stato arrestato e liberato dalle autorità americane, ha scelto di diventare l’ideologo e l’uomo delle trattative, lasciando la guida del gruppo, a cui nel tempo si sono unite anche altre forze, ben descritte nell’approfondimento L’arcipelago delle milizie palestinesi a cura di Umberto De Giovannangeli.
Perché questo attacco è stato così forte e feroce? Caridi ricorda che «per 16 anni Gaza è stata completamente sigillata da Israele. Lo Stato ebraico ha totalmente nascosto la Striscia dagli occhi del mondo. Riuscire a rompere l’assedio costituiva dunque un cambio di paradigma. Significava attaccare l’idea secondo la quale i problemi tra israeliani e palestinesi potessero essere risolti senza tenere in considerazione gli abitanti della Striscia». Inoltre, gli accordi tra Israele e Arabia Saudita stavano minando quanto faticosamente raggiunto tra Riyad e Teheran grazie alla mediazione della Cina, escludendo ancora una volta il popolo palestinese dal tavolo che avrebbe dovuto decidere la sua sorte. Da tempo, inoltre, i coloni sulla Spianata delle Moschee sono aumentati esponenzialmente, protetti dalle Forze di sicurezza israeliane e con l’appoggio politico degli alleati di estrema destra di Netanyahu. L’analisi di Caridi, scritta prima della violenta risposta di Israele, purtroppo si conclude con una profezia che si è avverata: mancando all’ala militare di Hamas una vera strategia, la striscia di Gaza rischia di trasformarsi in un “cimitero a cielo aperto”. Ciò è puntualmente avvenuto con bombardamenti su scuole e ospedali, in aperta violazione del diritto internazionale e di guerra. (A proposito del diritto internazionale, merita di essere segnalato un contributo di questo numero secondo cui tale diritto sarebbe nato per giustificare l’imperialismo europeo e oggi si ridurrebbe a opinione, riferendosi «a ciò che dovrebbe essere e non a ciò che è» (Perry Anderson, La vera storia del diritto internazionale).

Per chi è appassionato/a di storia il saggio di Mario Giro, Jiadismo punto e a capo, ripercorre le ragioni storiche del radicalismo islamista, partendo dal prototipo hanbalita e riflettendo sui suoi riflessi geopolitici nel mondo musulmano. Una lettura impegnativa ma necessaria. Chi ha apprezzato in passato gli approfondimenti filosofici di De Ruvo troverà in Universi paralleli un’originale analisi sull’assurdità di un festival musicale a dieci chilometri dalla Striscia di Gaza. A chi invece si interessa di questioni militari, suggerisco la lettura dell’articolo di Nicola Cristadoro Il cambio di passo dei terroristi, utile anche ai/alle profane della materia come chi scrive. «La dimensione asimmetrica del conflitto in corso tra le Forze di difesa israeliane (Idf) e le cellule terroristiche di Hamas è sotto gli occhi di tutti» ricorda l’analista militare. «Dal lato di Gerusalemme abbiamo i carri armati Merkava; da quello palestinese, il 7 ottobre Hamas ha sferrato la propria offensiva impiegando nuclei di terroristi che hanno agito su motocicli, pick-up, automobili e deltaplani a motore. La scelta strategica di Hamas di far partire i razzi da lanciatori situati sottoterra e in prossimità di aree densamente abitate, spesso vicino a edifici protetti dalla convenzione di Ginevra (scuole, ospedali o moschee) si è rivelata vincente, come gli attacchi con i mortai da 82 mm di produzione russa e quelli da 120 mm di produzione iraniana, difficili da intercettare a causa del loro breve tempo di volo (5-8 km di distanza) e particolarmente pericolosi per le comunità israeliane e le formazioni delle Idf». Indubbiamente innovativa si è rivelata la tunnel warfare. «Il combattimento urbano — continua Cristadoro — si sviluppa su cinque livelli: piano stradale, intra-edificio, tetti degli edifici, dimensione aerea e, dulcis in fundo, sotterranei. In combattimento il sottosuolo offre grandi opportunità e nasconde enormi insidie. Non si sa quanti tunnel ci siano oggi a Gaza, costruiti grazie anche all’apporto dato da ingegneri iraniani e nordcoreani…». Hamas ha anche reclutato tra le sue file ex guerriglieri dell’Is e verosimilmente ha fatto proprie le Ttps (le procedure tecnico-tattiche consolidate) da questo sviluppate, dimostrando di avere pianificato accuratamente il piano di attacco secondo lo spirito dell’11 settembre. Ma il gruppo guidato da Muḥammad Ḍayf ha anche adottato, a integrazione delle azioni terroristiche, modalità di guerra ibride come l’Infowar e la Lawar. La comunicazione strategica, sul modello di quella di Ḥizbullā, utilizza sia media tradizionali, come Al-Aqsa Tv e Al-Quds Radio, sia media più innovativi, come YouTube e i social network. Filippo Tansini, esperto di intelligence dei social media richiamato da Cristadoro, ricorda, a proposito di comunicazione strategica tre momenti consequenziali con cui attuarla: propaganda, propagazione e diffusione. Oltre a queste tattiche notevole è anche il dominio informatico nella guerra ibrida.

Collocare infrastrutture militari, centri di comando e controllo, infrastrutture critiche e depositi di armi in prossimità di aree civili o importanti nodi stradali è stata una tattica di lawfare in cui Hamas è risultato vincitore. «Infatti — sottolinea Cristadoro — nel caso in cui le azioni militari delle Idf provocassero un numero esagerato di vittime civili, Ḥamas può avvantaggiarsi dall’uso sapiente della lawfare, accusando Israele di crimini di guerra contro civili innocenti; qualora, al contrario, lo Stato ebraico contenesse l’impiego delle proprie Forze armate, limitandone l’azione, l’ala militare del gruppo avrebbe ottenuto l’effetto definito «controllo della reazione».
Nella parte finale del suo approfondimento Cristadoro ricorda l’errore di Israele nell’aver consentito che il Qatar, potenza ricchissima che oggi gioca su due tavoli, finanziasse Hamas da almeno dieci anni per indebolire l’Associazione Nazionale Palestinese. Secondo Carmon, ex consigliere per l’antiterrorismo dei primi ministri Shamir e Rabin che, inascoltato, aveva profetizzato un possibile attacco di Hamas, dal 2012 «il Qatar ha erogato circa 1,5 miliardi di dollari alla Striscia di Gaza, con la tacita approvazione di Israele nonostante il blocco. Dal 2018, la monarchia del Golfo ha fornito assistenza mensile per 30 milioni di dollari all’enclave costiera, in tre tranche da 10 milioni per pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici di Ḥamas, il carburante e gli aiuti alle famiglie bisognose. Ḥamas, che governa una Striscia di Gaza impoverita, bloccata da Israele ed Egitto dal 2007 e isolata dal resto del mondo, non avrebbe le risorse e le capacità per portare a termine i suoi attacchi contro Israele se non fosse per il sostegno internazionale. La potenza straniera che più spesso viene accusata è l’Iran […] Ma la vera àncora di salvezza finanziaria per Ḥamās è fornita dal Qatar. Non è un segreto che Doha finanzia da anni gruppi islamici radicali. Ha ottimi rapporti con l’Iran e ha intrattenuto una cooperazione militare con i Guardiani della rivoluzione (Irgc), è un sostenitore dei Fratelli musulmani ed è stato accusato di finanziare l’ascesa di al-Qā‘ida e dello Stato Islamico. Il Qatar può vantare un’importante azienda televisiva, Al Jazeera, che dall’inizio della guerra è diventata il portavoce di Hamas».

Il ruolo pieno di contraddizioni del Qatar nel conflitto mediorientale è messo bene in evidenza nella seconda parte del volume. Il Paese ha il più alto pil pro capite al mondo grazie agli enormi giacimenti di gas, gli aumenti del prezzo degli ultimi anni lo hanno reso ancora più ricco, mentre i suoi concorrenti diretti, Russia e Iran, sono da tempo tempestati di sanzioni. Durante il conflitto afgano il regime talebano risiedeva a Doha, molti capi di Ḥamas vi hanno trovato rifugio. Con sapiente equilibrismo il Qatar ospita sul suo territorio il quartier generale locale dello United States Central Command (Centcom), importantissimo per la presenza americana in Medio Oriente. Per il rilascio di ostaggi e prigioniere/i palestinesi la mediazione qatarina si è rivelata fondamentale, grazie ai suoi buoni rapporti con Israele, con gli Usa e con il popolo palestinese, ospitato in gran numero sul proprio territorio ai tempi della Nakba o esodo forzato del popolo palestinese del 1947-48. Nei fori internazionali il Qatar si fa portavoce della causa palestinese, spingendo per la costituzione di un vero e proprio Stato con capitale Gerusalemme Est.

La terza parte del volume approfondisce le posizioni delle varie potenze di fronte al conflitto, soffermandosi sulla sparizione dell’onnipresente Zelensky dagli schermi e dai consessi internazionali (Netanyahu ha ritenuto che non fosse il momento di incontrarlo in Israele e al G20 Zelensky, star del forum dello scorso anno, non ha partecipato, a differenza di Putin che lo ha fatto in modo virtuale), sulla sovraesposizione degli Usa nei vari scenari di guerra e le sue difficoltà domestiche (Sovraestesi e senza strategia è l’articolo che ne parla), sulle “due sedie” su cui è seduto l’Egitto, sull’Iran che teme la guerra che forse vuole ( articolo di Nicola Pedde), sulla stanchezza dell’opinione pubblica europea rispetto al conflitto russo-ucraino e sul prudente atteggiamento della Cina. La Russia legge l’attuale fase geopolitica come un vero e proprio cambio di paradigma. Secondo Kortunov, direttore del Russian International Affairs Council «Il “sistema globale” si sta infatti velocemente disintegrando, complici le crisi scoppiate in Ucraina, nel Sahel, nel Caucaso meridionale e, da ultimo, in Israele/Palestina. Tutti questi conflitti, lungi dall’essere meramente regionali, hanno in realtà una valenza planetaria. Essi sono segni inequivocabili di un cambiamento epocale, che la Russia si candida a indirizzare per il verso giusto» e che è vissuto come tale anche dalla Cina, (secondo il mantra dell’«amicizia senza limiti» con la Russia, coniato da Xi-Jinping), dagli altri Stati Brics e dai paesi del cosiddetto Sud Globale.

Gli ultimi dati provenienti da Gaza ci informano che i morti dall’inizio del conflitto israelo palestinese sono, alla data del 14 dicembre 2023, circa 19 mila, di cui il 70% bambini e donne. Anche in Cisgiordania ci sono state incursioni e bombardamenti, con 75 persone palestinesi uccise. Secondo l’Urnwra la popolazione palestinese sta affrontando il capitolo più buio della sua storia dal 1948. Intanto il governo israeliano ha ignorato il monito di Joe Biden a tener conto dell’opinione pubblica internazionale, profondamente colpita dalla crudeltà e dalla violenza dei bombardamenti indiscriminati sul popolo di Gaza e ha dichiarato: «Andremo avanti con o senza il sostegno internazionale». Peraltro, gli Usa hanno posto il veto al Consiglio di sicurezza dell’Onu sulla richiesta di “cessate il fuoco” e hanno votato contro la risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu con lo stesso oggetto, su cui l’Italia si è astenuta. Quanto sta accadendo in Medio Oriente in aperta violazione delle regole del diritto internazionale e umanitario e in spregio dei diritti umani è gravissimo e purtroppo avrà conseguenze terribili anche in futuro perché rappresenterà un precedente posto in atto da una cosiddetta democrazia.
Come sempre, la copertina di questo numero di Limes è spiegata dalla cartografa Laura Canali a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=YwBzuxuf5eU
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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.
