Jennifer Doudna. Nobel per la chimica

Doudna ha ricevuto il Premio Nobel per la Chimica nel 2020 insieme alla collega francese Emmanuelle Charpentier. Il prestigioso riconoscimento è stato assegnato alle due scienziate «per lo sviluppo di un metodo per l’editing del genoma».
«In questo strumento c’è un potenziale enorme che ci riguarda tutti», ha dichiarato Claes Gustafsson, a capo del comitato Nobel per la Chimica. «Non solo ha rivoluzionato la scienza di base ma ha permesso di ottenere colture innovative e ci porterà a nuovi trattamenti medici d’avanguardia».
È la prima volta nella storia che il Nobel viene condiviso da due donne: un segnale importante e un significativo incoraggiamento per le scienziate del futuro.

Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier alla cerimonia di premiazione del Nobel nel 2020

Jennifer Doudna (Washington, 19 febbraio 1964) trascorse buona parte della sua infanzia a Hilo, una cittadina della Grande Isola di Hawaii. Un’infanzia difficile perché il fatto che fosse bionda, con gli occhi azzurri e magra la rendeva facile bersaglio per gli altri ragazzi e ragazze. La definivano una haole, termine con cui venivano chiamate le persone non native ma nel suo caso utilizzato in modo dispregiativo. Il senso di estraniazione che provava contribuì a farle sviluppare una curiosità ad ampio raggio, favorita anche dalla natura lussureggiante da cui era circondata. Un influsso positivo ebbe poi il padre Martin, che lavorava come autore di discorsi per il Dipartimento della Difesa e in seguito divenne professore di Letteratura inglese. Jennifer era tra le sue tre figlie quella preferita e lui la incoraggiava molto nella lettura anche di testi a carattere scientifico.

Jennifer Doudna

Superati i problemi infantili grazie alla sua innata curiosità e agli interessi culturali, Jennifer intraprese una brillante carriera. Dopo aver conseguito la laurea in Chimica presso il Pomona College in California, si trasferì ad Harvard dove lavorò nel laboratorio del biochimico e genetista Jack W. Szostack (Premio Nobel nel 2009 per la Medicina) e dove conseguì il dottorato in Biochimica. Proseguì gli studi del post-dottorato presso l’Università del Colorado sotto la direzione del Premio Nobel per la Chimica Thomas R. Cech e divenne poi docente associata presso l’Università di Yale. Nel 2002 prese servizio presso l’Università di Berkeley in California dove ancora oggi insegna Biochimica e Biologia Molecolare.

L’interesse scientifico di Jennifer Doudna si concentrò inizialmente, e grazie all’influsso di Thomas R. Cech, sull’Rna (acido ribonucleico), una molecola presente nelle cellule viventi che è simile al Dna (acido desossiribonucleico) ma ha un atomo di ossigeno in più nel suo supporto di zucchero-fosfato e una differenza in una delle sue quattro basi.

Jennifer Doudna in laboratorio

Cech, contemporaneamente a Sidney Altman, scoprì che alcune forme di Rna potevano a loro volta agire come enzimi e in particolare che alcune molecole di Rna possono scindersi innescando una reazione chimica. Le scoperte di Cech e Altman colpirono Jack Szostak, che decise di spostare dunque la propria attenzione e le sue ricerche dal Dna all’Rna che, a suo parere, poteva rivelare dei segreti sul più grande di tutti i misteri in campo biologico, ovvero le origini della vita. Doudna fu contagiata dal suo entusiasmo e accettò di essere la prima specializzanda a lavorare in questo campo nel suo laboratorio. Le ricerche diedero alla giovane ricercatrice soddisfazioni professionali e anche una certa fama. Lo studio della struttura dell’Rna la portò a entrare in un campo che sarebbe diventato rilevante in uno stadio successivo della sua carriera: i virus. In particolare era interessata al modo in cui l’Rna in certi virus, come i coronavirus, consente loro di dirottare il meccanismo cellulare di produzione delle proteine.

Con il suo gruppo di lavoro fece una scoperta interessante che permetteva ai ricercatori di utilizzare l’“interferenza” dell’Rna per spegnere un’ampia varietà di geni, sia per scoprire che cosa fa ciascun gene sia per regolare la sua attività per scopi medici. Ma nell’era dei coronavirus c’è un altro ruolo che l’”interferenza” dell’Rna può svolgere: scoprire come servirsene per proteggere gli esseri umani dalle infezioni.
Il sistema Crispr (Cluster Reguraly Interspaced Short Palindromic Repeats), usato dai batteri per difendersi dal Dna dei virus che li attaccano, fu scoperto dallo spagnolo Francisco Mojica, specializzando dell’Università di Alicante sulla costa mediterranea della Spagna. Jennifer Doudna ne venne a conoscenza grazie a Jillian Banfield, una microbiologa australiana che, come Mojica, si interessava a minuscoli organismi che si trovavano in ambienti estremi. Era tra quanti supponevano che il sistema Crispr funzionasse utilizzando l’interferenza dell’Rna. Facendo una ricerca su Google il nome di Doudna apparve al primo posto per tali studi e Banfield decise così di contattarla.

Jennifer ed Emmanuelle alla cerimonia di premiazione

Convinta dall’entusiasmo di alcuni collaboratori e collaboratrici, Doudna decise di concentrare le ricerche sulla dissezione del sistema Crispr nei suoi componenti chimici e sullo studio di come ciascuno di essi operava, riuscendo a spiegare un meccanismo Crispr basandosi su un’analisi strutturale dei suoi componenti. Mentre Doudna e il suo gruppo cominciavano a lavorare su Crispr, due giovani specialisti dell’alimentazione stavano studiando il sistema in diversi continenti con l’obiettivo di migliorare i procedimenti per la produzione di yogurt e formaggi. I risultati delle loro ricerche contribuirono a far aumentare l’interesse della comunità scientifica intorno a queste tematiche e portarono a una scoperta clamorosa da parte di alcuni scienziati della Northwestern University di Chicago: Crispr non operava attraverso l’interferenza dell’Rna ma al contrario prendeva di mira il Dna del virus invasore. Restava però da capire come questo avvenisse. Ma era dunque necessaria una diversa impostazione, che non fosse quella della biologia molecolare ma della biochimica, che lavorava con le molecole in vitro e non con cellule viventi.
«Affrontare tali questioni significava andare oltre la ricerca genetica e affrontare un’impostazione più marcatamente biochimica», scrisse Jennifer Doudna, «un’impostazione che ci avrebbe consentito di isolare le molecole componenti e di studiarne il comportamento».

Jennifer Doudna con il premio Nobel

L’incontro, che si rivelerà determinante per la conquista del Nobel, con la biologa francese Emmanuelle Charpentier avvenne a Portorico nel marzo 2011. Da quel momento iniziò una collaborazione tra i gruppi di ricerca delle due scienziate che si proponeva di far funzionare Crispr nell’editing dei geni umani. Il riconoscimento, arrivato in piena pandemia da Covid 19, è particolarmente significativo per due motivi: perché per la prima volta a vincerlo sono state due donne e perché ha dimostrato che la ricerca di base può arrivare ad avere applicazioni pratiche. In un articolo pubblicato sull’Economist Doudna scrisse: «Come accade in questi giorni a molti altri aspetti della vita, la scienza e la sua pratica sembrano subire mutamenti rapidi e forse permanenti. Tali mutamenti andranno in direzione positiva».

Qui il link alla traduzione francese, inglese, spagnola e ucraina.

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Articolo di Annamaria Vicini

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Giornalista pubblicista con laurea in Filosofia e master in Comunicazione, ha collaborato con alcune delle maggiori testate nazionali oltre che con organi di stampa a livello locale. È stata direttrice responsabile di un sito internet e autrice di un blog di successo. Ha pubblicato il romanzo Non fare il male (I Libri di Emil, 2012) e l’eBook Abbracciare il nuovo mondo. Le startup cooperative (2017).

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