Non è un lavoro da vero uomo

Pubblichiamo ancora due racconti premiati (gli ultimi) tra quelli che hanno partecipato alla Sezione B-Narrazioni, della X edizione del Concorso Sulle vie della parità di Toponomastica femminile. Anche questi sono il frutto di un lavoro di gruppo sul tema Superare gli stereotipi di genere e ci sono stati inviati entrambi dalle prof.sse Valeria Pilone e Vanessa Paparo dell’Istituto Benini di Melegnano. 
Il primo racconto, dal titolo Trappole di genere, è stato elaborato da Carola Capparelli, Arianda Kendro, Manuela Incamicia, Melisa Afrusinei, allieve della II L, partendo dall’incipit n. 4, di Mariapia Veladiano, e ha ottenuto il Premio per la composizione di gruppo Classi II. 

Questo il giudizio della giuria: «Il racconto è coerente con l’incipit e con il tema proposto. Corretta e di sicura efficacia comunicativa l’espressione e buono l’impatto emotivo della narrazione che, tuttavia, manca di spunti di originalità». 
Incipit: «Lo faccio da sempre quando i miei hanno ospiti a cena. Chiudo bene la porta della camera, se non lo facessi di là parlerebbero più piano e non potrei sentire, poi prendo il cuscino del letto, mi distendo sul parquet, appoggio la testa sul cuscino e incollo l’orecchio alla porta. Poi ascolto. I discorsi che i grandi fanno dopo una cena con gli amici, quando pensano di non essere sentiti dai figli, sono i più interessanti.  
È così che ho saputo cosa è successo al barboncino dei vicini che un giorno ha smesso di abbaiare ed erano stati tutti gli altri, compresi i miei genitori, a chiamare i vigili e Luc era finito al canile. Quella volta non ho parlato per una settimana dalla rabbia e però non potevo dire perché. Quando con gli amici parlavano di politica mi addormentavo, ma capitava poche volte. Quella sera parlavano di maschi e femmine, interessante. 
“Oggi c’è una bella libertà”, dice Clara, l’amica della mamma. “I figli possono scegliere strade che una volta erano impossibili. Ci sono donne magistrate, uomini baby-sitter…” 
“I manny”, dice la mamma. 
“Sì, e nessuno si stupisce più”, conclude Clara. 
“Beh, c’è un limite”, è mio padre a parlare. “Te la immagini una donna camionista?” 
“Ma ci sono. Ne abbiamo una in azienda, bravissima”, lo interrompe Clara. 
“Sì, ma dài, che lavoro è per una donna?” 
Io seguivo senza respirare la discussione. Mi chiedevo che cosa sarebbe successo, quando, un giorno, di lì a poco, avrei detto loro quello che volevo davvero fare nella vita». 

Racconto: «Il giorno prima, durante la riconsegna del tema di italiano che aveva come traccia “Qual è il lavoro dei tuoi sogni?”, il professor Belotti mi prese in disparte per discutere del mio tema. 
“Senti, Edoardo, ma tu sei sicuro di quello che hai scritto? Voglio dire, la sintassi e l’ortografia sono corrette, il problema è il contenuto…” 
Indugiai per un attimo non capendo cosa intendesse.  
“Sono andato per caso fuori tema?” 
Il professore si grattò la nuca e rispose: “No, non è questo, ma davvero vorresti fare il maestro d’asilo? Voglio dire, sei un ragazzo intelligente e con tantissime capacità, dovresti puntare a un futuro più ambizioso, come il poliziotto, il direttore aziendale o il medico. Poi, parliamoci chiaro, questo è un lavoro prettamente femminile… non credo ti si addica”. 
Rimasi sbalordito dalle parole del professore al punto che non riuscii nemmeno a ribattere. Tornato al posto, nella testa mi gironzolava una sola domanda: cosa c’è di sbagliato nel mio sogno?  
Il professore decise, quindi, di leggere il mio tema davanti ai miei compagni e compagne e, come da lui previsto, tutti iniziarono a ridere. 
Non contento di aver umiliato solo me, aggiunse: “Pensate, ragazzi, che non è nemmeno il tema più fantasioso che ho letto, una vostra COMPAGNA vorrebbe addirittura diventare meccanico. Non è vero, Laura?!”. Tutti gli sguardi, alcuni sbalorditi e altri divertiti, si rivolsero verso di noi. Non potemmo fare a meno di sentire i commenti che provenivano da ogni angolo della classe. 
“Ma che lavoro è il maestro d’asilo?! Mille volte meglio il calciatore!” 
“Ma li hai sentiti questi? Spero che si riprendano!” 
“È arrivato il meccanico. Ahahahah” 
“Gli uomini forti fanno i meccanici, non le femminucce”. 
Il professore riprese la lezione e io, ignorando le battutine, la seguii. 
Una volta suonata la campanella dell’ultima ora, preparai in fretta lo zaino e corsi fuori per evitare tutti. 
Mio padre mi venne a prendere in perfetto orario e appena entrai nella macchina mi diede un bacio sulla guancia chiedendomi come fosse andata a scuola quel giorno. 
Panico. 
Cosa avrei dovuto dovrei rispondergli? 
Per paura di essere giudicato anche da lui, mi limitai a un semplice: “Niente di che, tutto al solito”. 
Arrivammo a casa dove mi accolse mia madre con il suo solito modo di fare che emana gioia da tutti i pori e, subito dopo averla salutata, salii nel mio rifugio: la mia camera. Mi sdraiai sul letto per riposare un attimo dopo la pessima giornata, poi però mi ricordai di dover fare i compiti di italiano ed è lì che tutto mi si fiondò nuovamente addosso. 
Non ha senso, non può essere giusto quello che il prof Belotti mi ha detto oggi! Anche perché lui stesso è un maschio che lavora a contatto con i ragazzi e le ragazze. 
“Io insegno a persone più mature, è diverso”, mi disse. 
Mi fece intendere che quello che volevo fare io e la sua professione sono due cose agli antipodi. No, non ha senso! Nulla ha avuto senso, specialmente quando mi ha suggerito di non fare la femminuccia scegliendo un lavoro del genere. 

Che poi, che male ci sarebbe? 
Io amo le donne. Amo mia mamma, mia sorella, mia nonna, la mia migliore amica e tutte le donne di questo mondo. Perché mai io non dovrei essere adatto a fare il maestro d’asilo ma la mia amichetta Laura sì, e perché lei non dovrebbe fare il meccanico – che poi, se dobbiamo essere precisi, il professore avrebbe dovuto usare il femminile “meccanica” – dato che quello è un lavoro più corrispondente ai maschi? 
“È arrivato il meccanico”, l’hanno sminuita. 
Perché i miei sogni, come quelli di Laura e di altre e altri giovani, non dovrebbero essere validi? Stesso lavoro, stesso sforzo, uguali possibilità e diritti. Nessuna e nessuno di noi dovrebbe essere giudicato più o meno bravo o brava in quanto maschio o femmina. 
Perché dovrei giustificarmi e riscrivere il mio tema, se quello che ho scritto è proprio ciò che provo? Quello che voglio fare non è forse abbastanza? 
Quindi no, non ha senso, perché nel mondo dei bambini e delle bambine, come in quello degli adulti, tutti dovrebbero essere alla pari, a prescindere. A mio parere non esiste il “non sono fatto/a per” se prima non ci provi mettendoci il 100% delle tue capacità.  
Mia madre entrò in camera interrompendo il flusso dei miei pensieri: “Edo, inizia a fare i compiti! Ricordati, prima il dovere e poi il piacere”. E con mia grande gioia mi toccò dare avvio a un lungo pomeriggio di noioso studio. Persi il conto delle ore trascorse a cercare di memorizzare tutti i tipi di complementi deconcentrandomi frequentemente, poiché continuavo a pensare a quella sgradevole scena. Alla fine, riuscii a fissare tutti i concetti, mangiai e andai subito a dormire per mettere fine a quella pessima giornata. 
Passai i due giorni successivi a rimuginare sulle parole del professore, interrogandomi se fosse il caso di parlarne con i miei genitori, però non arrivai a nessuna conclusione. Ed ecco che la sera dopo la cena con gli amici si scatenò il disastro. 
Mentre stavamo cenando, mio padre, di punto in bianco, mi pose la fatidica domanda, generata, probabilmente, dal discorso fatto la sera prima: “Edo, per curiosità, cosa ti piacerebbe fare da grande?” 
Iniziai ad agitarmi. Dovrei dirgli la verità o inventare una bugia? Presi un bel respiro e con apparente calma risposi: “Non saprei… è ancora troppo presto per pensarci”. 
“Cos’è? Il gatto ti ha forse mangiato la lingua?” mi stuzzicò lui incuriosito. 
“Certo che no… in realtà mi piacerebbe fare… il maestro d’asilo…”. 
“Dici sul serio? Dài, non prendermi in giro!” mi canzonò lui. 
Un po’ spaventato feci cenno di sì con il capo. 
“Anche il professore, qualche giorno fa, ha reagito così quando ha letto il mio tema a proposito di ciò. Ha detto che questa scelta non fa per me, sottolineando il fatto che dovrei aspirare a qualcosa di più ambizioso”. 
“Infatti, il professore ha ragione! Non è un lavoro da vero uomo, dovresti ambire a qualche professione più consona. Questa tua aspirazione mi fa vergognare!” sentenziò. 
A quel punto, mia madre intervenne nella conversazione: “Domenico, non dovresti parlare in questo modo a tuo figlio”. 
Lui, però, sicuro di sé, replicò: “Ognuno può avere le proprie idee ma se già a quest’età ragiona così non immagino dove arriveremo! Che ne sarà delle future generazioni?”. 
“Al mondo servono lavoratori e lavoratrici che facciano bene il loro mestiere per portare avanti la società, indipendentemente dal fatto che siano maschi o femmine. Se Edoardo all’asilo avesse avuto un maestro al posto di una maestra gli avresti fatto cambiare sezione, pur sapendo, magari, che era apprezzato e rispettato da tutti nella scuola?” lo provocò lei. 
Mio padre sembrava particolarmente irritato dalla piega che stava prendendo la discussione; io, dal canto, mio non volevo cedere e, con voce tremante e il cuore in gola, gli chiesi: “Papà, ma se vuoi davvero bene a una persona non dovresti lasciarle fare ciò che la rende felice, indipendentemente dal fatto che tu sia d’accordo o meno?” 
Di colpo l’espressione sul suo viso cambiò radicalmente, dopo un piccolo e quasi impercettibile cenno di stupore il suo sguardo sembrava distante anni luce dalla realtà circostante. 
Adesso, lettori e lettrici, ci rivolgiamo direttamente a voi ponendovi due quesiti: 
– secondo voi, uomini e donne hanno pari possibilità di realizzarsi in ambito lavorativo e sociale? 
– quanto spesso vi siete sentite/i discriminati in quanto uomini o in quanto donne? 
Noi riteniamo che questa citazione di John Milton sia efficace per esprimere la nostra visione a riguardo: “Prima di ogni libertà, datemi la libertà di conoscere, di esprimermi e discutere liberamente secondo coscienza”. 
Noi aggiungiamo anche indipendentemente dal sesso». 

*** 

Il secondo racconto, senza titolo, ha ottenuto il II Premio per la composizione di gruppo Classi IV ed è frutto del lavoro di quattro studenti della IV L: Elisa Angelin, Vittoria Barbieri, Luca Fasciano ed Ester Furci, che hanno sviluppato l’incipit n. 1, di Simona Baldelli. 
Pubblichiamo di seguito il giudizio della giuria: 
«Coerente con l’incipit e con il tema trattato, il racconto si accosta con delicatezza al tema dell’omogenitorialità, rivelando una fragilità che man mano diventa forza per infrangere le barriere, e fare scelte piene di umanità e coraggio. Corretta la forma espressiva». 

Incipit: «“Lei qui non può entrare” gli ripeté per la decima volta. 
Fece un lungo respiro appellandosi al briciolo di pazienza che gli era rimasta. “Gentile signora” disse, cercando di mantenere un tono cortese, “ho bisogno di entrare. Anzi, ne ha bisogno lui”. E indicò con un cenno del capo il bambino nel marsupio allacciato sul petto. Dal pannolino esalava un odore pestilenziale, andava cambiato al più presto. 
La donna sollevò un dito sulla targhetta del bagno pubblico. 
Le immagini erano inconfondibili: una figura femminile stilizzata e, accanto, quella di un fasciatoio per bebè». 

Racconto: «Gli occhi bruni dell’uomo trafissero l’immagine come pugnali, lo stava schernendo irrimediabilmente, forse persino in maniera peggiore di quanto stesse infierendo la donna di fronte a lui. Gli faceva rizzare i capelli sulla testa. 
Lei, di poco superiore al metro e cinquanta, portava con sé la stessa fermezza e le stesse parole della più robusta fra le guardie di sicurezza del centro commerciale, nel quale i due neogenitori avevano avuto la brillante idea di entrare. Idea della quale non solo loro, ma anche il bambino, stavano iniziando a pentirsi amaramente. Il piccolo, infatti, ormai lontano dalla calma del dormiveglia, cominciava ad essere infastidito. Muoveva le braccia nell’aria come per voler scappare volando e aveva corrucciato il piccolo naso. 
Alessandro si chiese come facesse ad essere disturbato dal proprio fetore solo in quel momento. Dopotutto, lui e Matteo avevano passato un buon paio di minuti coi piedi saldi sul pavimento piastrellato del reparto bambini solo per decretare chi sarebbe stato lo sfortunato a cambiare il pannolino e la causa del fatto non era certo da imputare soltanto alla remora di entrare nel bagno delle donne. Ancora non sapevano quale bigotteria li attendeva. 
L’irritazione di Alessandro verso la quarantenne che ora sbarrava l’ingresso del bagno faceva concorrenza al malessere che il tanfo del pannolino stava provocando. 
“Non glielo ripeterò ancora”, fece eco la donna, che di quella frase era stanca a sua volta. In quel momento un’altra figura si avvicinò alla scena e l’uomo temette che si trattasse di un altro ostacolo a un’impresa che, secondo i piani iniziali, sarebbe dovuta filare piuttosto in fretta. 
“Buongiorno, qual è il problema?” L’uomo che si era appena infilato nella conversazione mise una mano sulla spalla di Alessandro e lui si sentì subito rassicurato. D’altronde, il suo compagno era sempre stato molto più abile per quanto riguarda la diplomazia, avendo lavorato per diversi anni nell’ambito delle pubbliche relazioni. 
“Quest’uomo” la donna sputò le parole come fossero veleno “sta cercando di entrare nel bagno delle donne”. Matteo rise fra sé e sé all’idea della signora che accusava suo marito proprio davanti ai suoi occhi e decise che la sua ignoranza poteva tornargli utile nel placare la discussione senza entrare in argomenti maggiori che avrebbero, da una parte, umiliato le capacità cognitive della donna e, dall’altra, fatto perdere alla coppia tempo fondamentale per cambiare il bambino. 
Tuttavia l’improvviso lagnarsi del bambino gli distolse in fretta la mente dalla comicità della situazione. Dopo l’ennesimo minuto passato a ignorare l’evidenza, il piccolo aveva iniziato a piangere e pesanti lacrime gli sgorgavano dagli occhi senza sosta e senza pietà per i timpani di Alessandro, il quale aveva la testa del bambino poggiata sulla spalla. 
“Mi perdoni per la sfrontatezza”, disse Matteo a quel punto, “ma credo che tutti noi qui siamo in grado di mettere da parte una disputa così futile per il benessere del bambino. Che io sappia, i fasciatoi non sono presenti nel bagno degli uomini”. 
Agli occhi della signora Matteo appariva estremamente pacato, ma il modo in cui aveva inarcato un sopracciglio innanzi alla spietatezza della donna, indicava chiaramente ad Alessandro che il compagno era egualmente irritato. 
“Che chiami sua moglie allora, non lascerò entrare lui qui”. 
Proprio mentre l’uomo stava per sbottare contro la signora, snervato dalla sua insistenza, una guardia di sicurezza di avvicinò. Il litigio si stava dilungando troppo e il gruppo iniziava ad attirare l’attenzione. Un paio di persone si erano persino fermate a osservare la scena, poco interessate a intervenire. Un’anziana, la quale non voleva impicciarsi in una disputa che non la riguardava, stava pazientemente attendendo che il gruppo si spostasse dalla porta. 
“State bloccando il passaggio” esordì la guardia con voce grave. 
Alessandro e Matteo presero un respiro, finalmente si stava arrivando a qualcosa ed erano piuttosto certi che il pianto del bambino fosse chiassoso abbastanza da esplicitare il contesto. 
“Lì non potete entrare, trovate un modo per sbrigare la situazione nel bagno maschile”. Si sbagliavano. Dovendo per l’ennesima volta arrendersi e rivelarsi persone più assennate di altre, Alessandro fece qualche carezza rassicurante al bambino, che forse procurava più conforto a sé stesso che al piccolo, e avanzò verso la porta opposta a quella che gli era stata sbarrata. 
Nel frattempo, nonostante il problema fosse giunto a un’amara risoluzione, Matteo continuò a discutere coi piedi piantati per terra e le braccia rigide. Potevano avergli negato un diritto ma le parole gli invasero la gola senza alcun rimorso». 

***

Articolo di Loretta Junck

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Già docente di lettere nei licei, fa parte del “Comitato dei lettori” del Premio letterario Italo Calvino ed è referente di Toponomastica femminile per il Piemonte. Nel 2014 ha organizzato il III Convegno di Toponomastica femminile, curandone gli atti. Ha collaborato alla stesura di Le Mille. I primati delle donne e scritto per diverse testate (L’Indice dei libri del mese, Noi Donne, Dol’s ecc.).

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