Lisbona, 1973, Bairro Alto, quartiere centrale della capitale portoghese: Maria Isabel Barreno, Maria Teresa Horta e Maria Velho da Costa, tre affermate scrittrici lusitane, pranzano insieme al Treze, bar punto di ritrovo locale per i giornalisti lusofoni. È proprio in questo bar che le tre amiche si riuniscono una volta a settimana, solitamente il venerdì, per discutere e condividere opinioni sulla loro vita, le loro condizioni, i loro sogni, progetti e frustrazioni di tre donne-scrittrici portoghesi che vivono in un Paese dove, ahimè, vige ancora il regime fascista. Salazar, antico dittatore, già non governava più, ma Marcelo Caetano, suo successore, rimane fedele al regime, un regime che isola le donne, le sminuisce, le priva della loro identità, del loro corpo, dei loro sogni, della loro indipendenza e autonomia.
La dittatura ha cambiato testa ma non spirito: nel Portogallo degli anni Settanta le donne hanno il cognome del marito, non hanno uguale accesso ai diritti, non possono lasciare il Paese senza il consenso firmato dei mariti, non possono divorziare, non godono di alcun diritto legale sui propri figli. Una donna portoghese negli anni Settanta difficilmente esiste o ha un nome, un volto. Il suo compito, sotto il regime, è quello di limitarsi a essere una madre, una moglie, una sorella. Questo è il suo ruolo, essere tutto per l’uomo e niente per sé stessa, insomma «O marido era a cabeça, a mulher o coraçao (Il marito era la testa, la donna il cuore)».
Eppure, le tre autrici, conosciute anche come “as três Marias” (le tre Marie), sono mogli, madri, sorelle e figlie, con un nome, una testa e un cuore ed è questo sentire, colmo di frustrazione e invisibilità, che le spinge a creare, tutte insieme, al Treze, As Novas cartas Portuguesas arrivato in Italia come Le nuove lettere portoghesi.
Nel 1971, Maria Teresa Horta pubblica il suo libro Minha Senhora de Mim che fu subito al centro di polemiche. Considerato “scandaloso” dal regime e dai fascisti, l’autrice si trova al centro di attacchi persecutori che passano dalle minacce ai fatti: uscendo di casa, una notte, viene pestata da alcuni uomini che le gridano «È per imparare a non scrivere come scrivi!», racconta direttamente l’autrice in un’intervista rilasciata al giornale Esquerda nel 2020. Durante la dittatura portoghese, era il destino di una scrittrice subire violenze e censure per esprimersi “al femminile”.
Dopo quella notte, le amiche si riuniscono. Arrabbiata e indignata per le condizioni in cui riversava Maria Teresa Horta, è Maria Velho da Costa ad affermare: «Se una donna da sola causa tutto questo scandalo immagina se fossero tre». Con questa frase le tre Marie lanciano la sfida. Vogliono fare scandalo, sfidare la dittatura e i suoi principi, unirsi per mostrare che Maria Teresa Horta non è sola, che nessuna donna è sola. E decidono di scrivere insieme, ispirate da Le lettere di una monaca portoghese, un romanzo epistolare pubblicato nel XVII secolo che racconta l’amore non corrisposto di Mariana Alcoforado, giovane monaca dell’Alentejo, per un cavaliere francese.
Nasce così Novas cartas portuguesas. Il libro è di tutte così come la responsabilità della sua pubblicazione, così come il processo cui vanno incontro, insieme, nel 1973.
Le tre Marie impiegano nove mesi per arrivare alla versione finale del libro: un parto collettivo che vede le tre autrici diventare contemporaneamente madri di quest’opera fondamentale che segna un’importante svolta nel panorama del femminismo contemporaneo. È un processo di continua condivisione e confronto con la vita l’una dell’altra, di tante risate e momenti memorabili. Ogni autrice è ugualmente madre dell’opera e all’interno della stessa risulta difficile distinguere la singola voce di ciascuna. Il risultato è una fusione di tre donne, tre voci, sei mani, storie, esperienze, emozioni.
La scelta di non firmare nessuno dei testi – lettere, brani, liriche e giochi di parole – da un lato permette di far emergere la tessitura di una rete universale femminile oppressa, in clausura reale o simbolica; dall’altro estende la sorellanza alla responsabilità condivisa.

A essere fluido non è solo il contenuto ma anche la struttura stessa del testo: non si tratta né di romanzo epistolare, né di prosa, né di poesia, il libro è un ibrido di generi, storie, stili difficilmente categorizzabile. Non rompe solo con il regime ma infrange la tradizione letteraria stessa e rifiuta i canoni di stampo maschile e occidentale, radicati nel concetto di proprietà dell’opera e in un apparato di regole che imbriglia e massifica. Altrettanto eterogenei e sovversivi sono il tono, per lo più diretto, trasgressivo e ironico, e il linguaggio, a volte popolare, a volte colloquiale, altre volte colto, per dare voce ai molteplici livelli sociali. Alle spalle c’è forse l’intento di giungere a una vera e propria diluizione delle frontiere in senso lato, letterarie, linguistiche, politiche e persino identitarie. Il corpo delle donne è spesso protagonista del testo: da oggetto, offeso e sottomesso al volere maschile, attraverso la denuncia e il grido di rivolta si fa soggetto indipendente che scopre il suo piacere. L’opera viene pubblicata, faticosamente, il dodici dicembre del 1972, dalla casa editrice Estudo Cor, grazie all’aiuto di Natália Correia (scrittrice e all’epoca direttrice della casa editrice) e confiscata dalla polizia solo tre giorni dopo l’uscita. Le scrittrici vengono subito denunciate per oltraggio alla morale pubblica e pornografia. Le autrici sono odiate, criticate, sminuite, accusate per aver finalmente parlato delle donne, dei loro corpi, dei loro nomi, delle loro emozioni, vite e storie, ma il libro raggiunge la Francia trovando appoggio e sostegno da movimenti femministi e scrittrici, tra cui Simone de Beauvoir e Marguerite Duras.

Il processo, che inizia nel 1973 e si protrae fino alla caduta del regime – con la Rivoluzione dei Garofani, che vede il Portogallo finalmente libero il 25 aprile 1974 – diviene un evento pubblico: per tutta la sua durata le ambasciate portoghesi sono prese d’assalto e presidiate dai sit-in dei gruppi femministi. Considerata la prima causa femminista internazionale, secondo la statunitense National Organization for Women (Now), la solidarietà a favore delle Tre Marie mobilita donne europee, statunitensi e sudamericane. Articoli e lettere di protesta di scrittori e scrittrici di chiara fama escono su quotidiani di mezzo mondo. Times, New York Times, Le Monde, Libération raccontano l’indignazione per il processo e per la condizione femminile in Portogallo che raggiunge anche la Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite. In breve tempo il libro è così popolare che la prima conferenza internazionale delle donne a Boston del 1973 ne fa un tema centrale della riunione: ne consegue che nel giro di un paio d’anni viene tradotto in francese, inglese, tedesco. Tre anni dopo, Rizzoli pubblica la traduzione italiana dell’opera, con la prefazione di Armanda Guiducci.
Il 7 maggio del 1974, due settimane dopo il memorabile 25 aprile che abolisce la dittatura portoghese, arriva l’assoluzione definitiva delle Tre Marie.
In copertina: manifestazione femminista di solidarietà per Maria Isabel Barreno, Maria Teresa Horta e Maria Velho da Costa.
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Articolo di Sara Meddeb

Italo-tunisina, laureata in Lingue e culture straniere all’Università di Roma Tre, dove attualmente frequenta il corso magistrale di Informazione, editoria e giornalismo. Appassionata di fotografia, arte e letteratura, sogna di diventare fotoreporter e dare voce e dignità agli ultimi e ultime della società.
