Fotografe viaggiatrici. Le pioniere

Fin dalla creazione della primissima macchina fotografica, la Dagherotipo prodotta dalla ditta francese Susse Frères a partire dal 1839, le donne ne intuiscono le potenzialità. E fino a quando quello del fotografo non diventa un mestiere a tutti gli effetti, con regole e codici di condotta a sé stanti, esse sono state in prima linea sia per l’innovazione che per i modi d’uso delle fotocamere. Le prime sono scienziate come la botanica Anna Atkins e la geologa Anne Biermann; inventrici come Olive Edis e Imogen Cunningham depositano brevetti e scrivono manuali d’uso; molte aprono atelier e diventano ritrattiste come Laure Albin-Giollot e Madame Yevonde, accumulando una fortuna e rendendosi economicamente indipendenti, oppure posano come modelle per le proprie stesse macchine come Virginia Oldoini, contessa di Castiglione; altre ancora sono artiste sperimentali come Gertrund Arndt e Marta Astfalck-Vietz. Più di tutte comunque sono le viaggiatrici incallite a intuire il vero potenziale della macchina fotografica, vedendo in essa un mezzo fondamentale per documentare le loro avventure, sia come ricordo, che come reportage, per fornire prove a chi dubita del loro spirito di intraprendenza o dei loro racconti.
Nel primo volume di Donne fotografe della collana FotoNote, intitolato Le pioniere, scopriamo la storia di alcune di queste coraggiose viaggiatrici documentariste.

Autoritratto a colori di Olive Edis

Iniziamo dalla fotografa e imprenditrice inglese Olive Edis (1876-1955). Appartenente a una famiglia della media borghesia, la sua prima macchina fotografica le viene donata da una donna, Caroline Murray, nota fotografa in India e che è stata anche il primissimo soggetto di Edis. Assieme alla sorella Katherine nel 1905 inaugura il proprio atelier, il primo di una serie che verrà aperta in tutta l’Inghilterra. I suoi soggetti sono membri della famiglia reale, le suffragette in protesta, la vita delle classi meno abbienti. Katherine si ritira nel 1907 dopo il matrimonio, continuando a fotografare come passatempo privato e mostrando una grande abilità con ritratti in bianco e nero. Olive, invece, è tra le prime a sperimentare con i colori attraverso i processi di stampa e nel 1912 produce il suo primo autoritratto a colori, per poi brevettare un proiettore per diapositive di sua invenzione. Tutto ciò la porta a essere uno dei nomi più importanti del settore, una pioniera ampiamente riconosciuta; pertanto nel 1918 viene incaricata dall’Imperial War Museum di Londra di documentare il lavoro delle donne coinvolte nello sforzo bellico in Francia e in Belgio. Questo ha reso Edis una delle prime reporter di guerra: sono 171 le foto realizzate tra il 1918 e il 1919 ritraenti infermiere che si occupano dei feriti, autiste dei camion, cuoche, telegrafiste, donne impegnate nel processo di ricostruzione a guerra finita. La sua fama attraversa l’oceano e la Canadian Pacific Railways, compagnia ferroviaria canadese, le dà il compito di lavorare alla pubblicità delle nuove linee ferroviarie, producendo così le prime foto a colori del Paese.

Olive Edis, Memebri del corpo ausialiario della Queen
Mary’s Army Auxiliary (QMAAC) circa 1919
http://www.iwm.org.uk/collections/item/object/205214327
Olive Edis, una stanza d’ospedale a Chateau Mauricien,
Wimereux, France, circa 1919, Olive Edis http://www.iwm.org.uk/collections/item/object/205214323
Olive Edis, Rachel Crowdy, membro della Voluntary Aid Detachment (VAD) con la sua autista, Miss Figgis, a Boulogne, 1919,
http://www.iwm.org.uk/collections/item/object/205239752

Germaine Krull (1897-1985) è stata pioniera di avanguardismo e fotogiornalismo, autrice di reportage che la resero una delle figure più significative del giornalismo mondiale. Krull viaggia sin dall’infanzia assieme alla sua famiglia e si avvicina alla fotografia nel 1915, quando si iscrive alla Lehr und Versuchsanstalt für Photographie, la scuola di fotografia di Monaco, per ottenere il diploma necessario per l’iscrizione all’università. Successivamente “Zottel”, come viene soprannominata dalle compagne, apre il proprio atelier, realizzando ritratti di nudi femminili e per attori di teatro, nonché di importanti figure politiche come Kurt Eisner e Ernst Toller.

Germaine Krull, autoritratto, 1925
© Centre Pompidou

Nel frattempo si avvicina al comunismo: per aver preso parte a numerose rivolte e per il sostegno alla causa comunista in Ungheria e a Berlino, Krull viene ritenuta un soggetto pericoloso dal governo bavarese e presto espulsa. Assieme al compagno Kurt Adler si trasferisce in Russia, ma la sua opposizione alla linea centralista di Lenin la porta prima al carcere della Lubjanka e poi a una nuova espulsione. Tornata in Germania e sopravvissuta al tifo, Krull riprende in mano la macchina fotografica: a Berlino entra in contatto con le avanguardie e sperimenta con la fotografia erotica, anche omosessuale; nel 1925 è ad Amsterdam, dove realizza Métal, il suo portfolio più famoso, che ritrae diversi punti di vista della zona portuale. L’anno dopo è a Parigi, dove documenta la quotidianità delle classi più povere per conto della rivista VU. Le sue foto vengono esposte in tutta Europa, riscuotendo enorme successo. A seguito dello scoppio della guerra, però, Krull, convinta antifascista, si rifugia in Brasile, dove realizza un reportage sulla città mineraria di Ouro Preto; va poi nell’Africa equatoriale francese, dove si mette a servizio della propaganda coloniale. Nel 1944 è ad Algeri, dove si unisce agli Alleati per documentarne lo sbarco sulle coste meridionali francesi e successive campagne militari. Poco prima della fine della guerra viene ingaggiata per un servizio fotografico nel Sud-Est asiatico, dove diventa simpatizzante della ribellione di Ho Chi Min e critica del colonialismo francese. Viene quindi trasferita a Bangkok dove rimane affascinata dalla cultura tailandese e decide di restare, acquistando l’Oriental Hotel, il più famoso albergo internazionale della città, e dirigendolo con successo per vent’anni, dopo i quali decide di tornare in Francia. Il suo ultimo grande viaggio è in India, dove realizza un libro sul popolo tibetano vivendo con esso per quindici anni, convertendosi al buddhismo. Solo un ictus porrà fine ai suoi viaggi, costringendola a rientrare in Germania per potersi curare e dove morirà a 87 anni.

Germaine Krull, Marsiglia, giugno 1930
© The Museum of Modern Art, New York
Germaine Krull, cerimonia religiosa tibetana
© Estate Germaine Krull, Museum Folkwang, Essen
Germaine Krull, senza titolo

Laura Gilpin (1891-1979) passa alla storia per i suoi ritratti delle popolazioni Navajo e Pueblo e per le sue splendide foto di paesaggi del Sud-Ovest americano. Nata in Colorado, fin da piccola dimostra una naturale passione per le avventure all’aria aperta. Ha in dono la prima macchina fotografica in occasione del dodicesimo compleanno, una Kodak Brownie Camera che porta sempre con sé. Riceve un’educazione musicale ma è ben presto chiaro che è la fotografia la sua vera vocazione. Va a New York per poterla studiare ma è costretta a rientrare nel 1916 a causa di una malattia; a casa a prendersi cura di lei è Elizabeth Warham Forster, infermiera che prima le sarà amica e poi compagna di vita e musa. Il viaggio in Europa nel 1922 influenza profondamente il suo stile, portandola a prediligere soggetti che mostrano la relazione tra l’attività umana e il paesaggio, i segni di un vissuto lasciati impressi nell’ambiente. Per questo percorre tutto il Sud-Ovest americano, immortalando soprattutto le popolazioni native e i luoghi dove esse vivono, fra sentieri e resti archeologici.

Laura Gilpin, le scale di Chichén Itzá de
Castillo a Equinox, 1932
Laura Gilpin, vestito tradizionale Navajo di fine ‘800,
fiera di Window Rock, 1951
Laura Gilpin, Incontro fortuito nel deserto, 1950

Ergy Landau (1896 -1967) è una fotografa franco-ungherese. Nata a Budapest da una famiglia agiata, si forma a Vienna e a Berlino prima di tornare in Ungheria e aprire il proprio studio. Nel 1922 la svolta autoritaria del governo la porta a trasferirsi a Parigi: nel suo atelier si fanno ritrarre i più importanti scrittori dell’epoca, ma si specializza anche nel nudo femminile e nei ritratti di bambini. Sarà poi maestra delle fotografe Nora Dumas e Camilla Koffler, in arte Illa. Negli anni Cinquanta si sposta in Asia: nel 1955 pubblica Aujourd’hui lla Chine, che riassume il suo viaggio in Cina con lo scrittore Maurice Genevoix, e Hololdamba le petit Mongol, che racconta del suo viaggio in Mongolia, testi in cui documenta i veloci cambiamenti sociali e culturali che stavano accadendo nei due Paesi.

Ergy Landau, corteo in Cina
Ergy Landau, due bambine e un bambino in Mongolia, 1955
Ergy Landau, una donna cinese tiene in braccio il nipotino, 1955

La viennese Edith Tudor-Hart, nata Suschitzky (1908-1973) nasce in una famiglia apertamente socialista. Studia fotografia presso la Bauhaus di Walter Gropius, dopodiché si dedica a documentare la vita della classe operaia, convinta che le foto siano il mezzo perfetto per mostrare al mondo le ragioni del suo credo politico. Nel 1933 sposa il medico inglese Alex Tudor-Hart e con lui fugge in Gran Bretagna a causa dell’ascesa del nazismo. La coppia si trasferisce nel Galles del sud, dove Hart documenta la condizione delle persone rifugiate a seguito della Guerra civile spagnola e degli abitanti della zona industriale nel nord dell’Inghilterra, alternando il suo impegno con il volontariato per le famiglie più bisognose. È così che entra in contatto con il Partito comunista, che la ingaggia come spia per conto dell’Unione Sovietica: usando la propria carriera di fotografa come copertura, Hard è infatti responsabile della creazione dei Cinque di Cambridge, una rete di spionaggio che ha dato seri problemi ai servizi segreti inglesi. Una volta scoperta e processata, trovare nuovi incarichi diventa praticamente impossibile: abbandona quindi la fotografia e, dopo aver divorziato, si trasferisce a Londra, dove apre un negozio di antiquariato.

Edith Tudor-Hart, manifstazione di protesta in Galles, 1936
Edith Tudor-Hart, rifugiate basche preparano le verdure, North Stoneham Camp, Hampshire, 1937

Marjorie Content (1895-1984) conosce la meritata fama solo dopo la morte, in quanto molto raramente ha reso pubbliche le sue opere. Di famiglia agiata e nativa di New York, si interessa fin da giovanissima ai movimenti avanguardisti: a 19 anni lascia la scuola per sposare lo scrittore Harl Loeb e seguirlo in Canada, da cui ritorna dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale. Nel 1919 diventa manager di “The Sunwise Turn”, una libreria a conduzione femminile dedicata ai nuovi movimenti artistici, mentre quattro anni dopo divorzia dal marito. La fotografia entra nella sua vita grazie all’amica Consuelo Kanaga. Viaggia col pittore Gordon Grant a Ovest degli Stati Uniti, dove affina la sua tecnica. Negli anni Trenta fa amicizia con la pittrice Georgia O’Keeffe, che accompagna nelle Bermuda per aiutarla a gestire la sua depressione, poi le due si trasferiscono in New Mexico. Nel 1934 sposa il suo grande amore, Jean Toomer, scrittore di origini afroamericane esponente del Rinascimento di Harlem. Da questo momento inizia ad abbandonare la fotografia, soprattutto dopo che si stabiliscono in Pennsylvania, facendo della loro casa un vero e proprio salotto letterario.

Marjorie Content, paesaggio, 1933
Marjorie Content, Adam Trujillo e suo figlio Pat, Taos, 1933

Dorothea Lange (1895-1965) è con ogni probabilità la più famosa documentarista statunitense del secolo scorso. Raggiunge la celebrità documentando la Grande depressione del 1929 e i suoi effetti sulle famiglie, foto che vanno a confluire in An American Exodus, A Record of Human Erosion; armata di macchina fotografica Graflex 4×5, su una Ford modello 40 percorre tutta la California, dove ritrae le condizioni di vita della gente migrante, portando il suo stato miserevole all’attenzione dell’opinione pubblica americana. Nel 1942 documenta invece la deportazione della popolazione nippo-americana nei campi di concentramento. Alla fine della guerra realizza reportage per la rivista Life, per poi iniziare a viaggiare in America, Medio Oriente e Asia meridionale continuando a documentare la vita delle persone comuni.

Dorothea Lange, accampamento di rifugiati dall’Oklahoma
Dorothea Lange, prigionieri nel Mazanar Relocation Center
Dorothea Lange, Madre migrante, 1936

In copertina: fotografia di Charlotte Rudolph.

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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.

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